Che cosa sta succedendo all’estrema destra tedesca
La destra estrema è a disagio con l’estrema destra, tedesca e non. Negli ultimi anni, il dibattito politico tedesco ha visto non poche dichiarazioni che si collocano fermamente nella parte più a destra dello spettro costituzionale e perfino alcune che, a furia di spingere, ne sono scivolate fuori. Alcune sono arrivata da membri del Bundestag, altre dalle frange dell’attivismo, alcune si sono registrate fra le fila di AfD, altre fra i conservatori che normalmente non si identificano con l’ultra-destra e non sono mai stati oggetto di indagini da parte dell’Ufficio per la protezione della Costituzione. Questa premessa serve per dire che non era affatto ovvio che un’inchiesta come quella pubblicata la scorsa settimana da Correctiv, che testimoniava la presenza di membri d AfD e della CDU a un incontro con i movimenti identitari, nel quale l’austriaco Martin Sellner ha parlato di “Rimigrazione”, esponendo piani per deportazioni di massa, si traducesse in qualcosa più che un’ondata di sdegno da parte della sinistra e delle solite voci all’interno della società civile. Eppure, questa volta, non è stato così.
Le reazioni della politica e della società: che cosa deve fare l’estrema destra tedesca, per essere considerata davvero estrema?
Le prime avvisaglie di una reazione più “forte” si sono avute con la partecipazione niente meno che del Cancelliere Olaf Scholz e della Ministra degli Esteri Annalena Baerbock a una delle manifestazioni contro l’estrema destra tedesca che sono seguite alla pubblicazione del reportage. L’importanza di questo fatto si ravvisa soprattutto nel modo in cui la stampa tedesca ha inquadrato la manifestazione, definendola in modo pressoché universale “una manifestazione contro AfD”. Questo colloca il Cancelliere e una Ministra fra i partecipanti e gli ospiti principali di una manifestazione che si colloca specificamente contro un partito che siede all’interno del Bundestag e i cui rappresentanti sono stati eletti all’interno di un processo democratico.
Per contro, i commentatori più legati agli ambiti dell’attivismo liberale e di sinistra si dichiarano niente affatto stupiti. Perché stupirsi, chiedono diversi utenti sui social, se membri di AfD partecipano a una conferenza sulle deportazioni di massa? Non abbiamo forse sempre saputo che deportare gli stranieri è ed è sempre stato l’obiettivo di AfD e di chi la sostiene? Non è questo che ci aspettiamo, internazionalmente, da tutti i partiti che dichiarano di voler mettere “al primo posto” la popolazione “nativa” del proprio Paese, rispetto a chi arriva da fuori ed è portatore di culture diverse e di urgenze sociali specifiche? Qualcuno, fra meme e dichiarazioni “non ufficiali”, si spinge fino ad accusare anche altre forze democratiche, dalla CDU fino addirittura all’SPD, di vagheggiare lo stesso scenario, rivestendolo però di una patina più accettabile socialmente e ostentando di difendere lo stato di diritto e le minoranze.
Eppure, a quanto pare, questo episodio non è semplicemente l’ennesima dimostrazione che AfD si sposta sempre più a destra né si limita a spostare la finestra di Overton del dibattito tedesco di un altro paio di lunghezze in quella direzione. Questa volta, perfino i partecipanti all’evento stesso sembrano quantomeno a disagio all’idea di essere pubblicamente associati alle istanze di Sellner. E così sono iniziate le prese di distanze di una destra che sente il bisogno di rassicurare l’elettorato sul fatto di essere di “destra-destra”, ma non di “estrema destra”. Anche perché la Germania non è un Paese dal passato neutro e ciò che si nasconde dietro il concetto di “estrema destra tedesca” rischia di essere abbastanza da far scappare quella larga maggioranza di elettori che, francamente, non riescono a riconciliare la propria immagine con quella dei “veri” nazisti, anche se condividono non poche istanze con chi invece rientra nella definizione. In altre parole, anche gli elettori più estremisti potrebbero avere bisogno di una destra “presentabile” e l’opinione comune sembra essere che una destra che si accomuna a Sellner sia tutto fuorché presentabile.
AfD e l’Associazione Lingua Tedesca: dimissioni eccellenti e prese di distanze
La dimostrazione la vediamo in due eventi, che sono seguiti alla pubblicazione della famosa inchiesta. Il primo è la rescissione del contratto di lavoro di Roland Hartwig, assistente della leader di AfD Alice Weidel. Hartwig, che era presente al famoso incontro di Potsdam, lascerà la posizione che occupa e la decisione sarebbe stata presa “di comune accordo” con la dirigenza del partito. Difficile allontanare l’impressione che AfD voglia distanziarsi quanto più possibile da chiunque fosse fisicamente presente nella stessa sala con Sellner e da chiunque abbia anche solo ipoteticamente applaudito le sue fantasie sulle deportazioni di massa in Nord Africa di milioni di immigrati o sulla revoca della cittadinanza tedesca agli stranieri naturalizzati.
E d’altra parte, il ruolo di Hartwig gli avrebbe impedito di dichiarare di aver partecipato alla conferenza come “privato cittadino”, come ha fatto Ulrich Siegmund, capogruppo parlamentare di AfD in Sassonia-Anhalt. Se il consigliere personale di Alice Weidel finisce nella traiettoria di una colossale ondata di fango “bruno”, è inevitabile che qualche “schizzo” finisca anche sulla leader del partito. Impossibile dire per certo se sia stata questa la considerazione a base del “comune accordo” che ha visto l’allontanamento di Hartwig da Weidel, ma le illazioni, inevitabilmente, gravitano in quella direzione.
Il Movimento Identitario, d’altra parte, è nelle liste di quelli che AfD considera “incompatibili” con le proprie istanze – un fatto che potrebbe stupire chi non ne fosse a conoscenza, dal momento che, a sentir parlare Sellner e, per esempio, Björn Höcke, l’aggettivo “incompatibili” non è esattamente fra i primi dieci che vengono in mente all’ascoltatore medio.
Quella di Hartwig non è l’unica “uscita di scena” illustre seguita alla pubblicazione degli elenchi dei partecipanti all’ormai noto evento di Potsdam: anche Silke Schröder, membro del consiglio direttivo della Verein Deutsche Sprache (VDS), ovvero “Associazione Lingua Tedesca” si è dimessa dall’incarico. “Con le sue dimissioni, la signora Schröder ha anticipato l’esclusione dell’associazione alla riunione del consiglio direttivo di venerdì prossimo”, ha spiegato Walter Krämer, presidente dell’associazione. Schröder non ha solo rinunciato a fare parte del direttivo, ma ha addirittura l’asciato l’associazione – la quale, peraltro, aveva già preso le distanze da quelle che aveva definito le “attività private del membro del consiglio di amministrazione”.
Curiosamente, almeno fino al momento in cui viene scritto questo editoriale, fra le formazioni, politiche e non, i cui membri risultavano essere presenti a Potsdam, solo dalla Werteunion (costola della CDU iper-conservatrice e talmente sbilanciata a destra da rischiare di cadere in braccio ad AfD) non si è dimesso nessuno.
Presentabili e impresentabili, divieti e strategie politiche
Insomma, la destra tedesca ha trovato i suoi “impresentabili” e ha avuto la fortuna di trovarli prevalentemente all’interno non dell’estrema destra tedesca, ma di quella austriaca. Se questo rappresenti una linea di demarcazione “formale” che l’elettore non è pronto a oltrepassare o un autentico risveglio della preoccupazione per i destini della democrazia rappresentativa, è difficile a dirsi in questa fase.
Il risultato, per ora, è un coro di voci che si sono levate a chiedere (per l’ennesima volta) la messa al bando di AfD, alle quali si oppongono personaggi più o meno eminenti della scena politica. Fra queste, Friedrich “Cunctator” Merz, che ha esordito come leader della CDU minacciando la scomunica a chi avesse anche solo ipotizzato di stringere la mano a un membro di AfD, per poi dire che, insomma, a livello locale, nell’interesse della governabilità, si poteva anche pensare di allearsi, per poi fare marcia indietro e comunicare che no, con l’AfD non si piglia neppure un caffè al bar, ma che comunque non bisogna vietare il partito per non farne “delle vittime”.
Contraria al divieto anche Sahra Wagenknecht, il cui soprannome è passato da “Sahra la rossa” a “Sahra la rossobruna”, per via delle sue posizioni su temi come l’immigrazione e i rapporti con la Russia, al punto di essere stata invitata pubblicamente a unirsi al partito, che sostiene che AfD non si combatte con i divieti, ma portandone via l’elettorato (anche se, ci ha tenuto a precisarlo, la sua nuova formazione non mira agli elettori che votano AfD per convinzione, ma solo a quelli che lo fanno “per protesta”).
Nel grande mercato degli indecisi, inaspettatamente, le parole più dure non sono venute da sinistra, ma dall’azzimato centro-destra liberale e liberista dell’FDP, nello specifico da Marie-Agens Strack-Zimmermann, che di recente è risultata essere fra i personaggi politici più amati del Paese e che, sull’estrema destra tedesca, pur senza fare nomi, ha le idee molto chiare: “Più grande è il mucchio di merda, più mosche ci sono”.
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