La violenza di genere riguarda chiunque. Intervista con Valentina Primavera

Valentina Primavera
Valentina Primavera

Abbiamo intervistato Valentina Primavera, regista italiana che vive a Berlino dal 2010.

Una Primavera è la sua opera prima ed è un documentario che, partendo dal percorso biografico della madre, indaga il problema dell’abuso domestico con un approccio globale. Quello della violenza di genere, infatti, è un fenomeno diffuso, che riguarda l’intera società.

Parleremo con Valentina Primavera del suo film il 21 aprile alle ore 19.00, su Zoom (questo il link per accedere), in una diretta moderata dalla direttrice del Mitte Lucia Conti. Questo è l’evento facebook ufficiale, in cui potrete trovare tutte le informazioni sulla diretta. Qui invece potete acquistare il film.

L’incontro è il secondo capitolo del ciclo “Paura non abbiamo – combattere la violenza di genere a Berlino“, nato dal Mitte e da UIM Germania, in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia a Berlino e il Comites Berlino. Interverranno durante la live del 21 aprile anche, Lisa Mazzi e Annalisa Maggiani, entrambe esperte di violenza di genere.

Fiorella, videostill “Una Primavera”

“Una Primavera” è una fotografia della difficile storia dei tuoi genitori, costellata da dinamiche di abuso mai realmente risolte. Una scelta complicata per un’opera prima. Come e perché hai deciso di affrontare questo tema?

L’idea del mio documentario nasce in primo luogo dalla forte esigenza di raccontare la storia di una donna, Fiorella, mia madre, e da un suo gesto fortissimo, di estremo coraggio e consapevolezza. Volevo coglierne l’essenza e fare un film che ponesse tutta una serie di domande che io stessa mi facevo, e che portasse a una riflessione profonda sulla famiglia, sulle strutture patriarcali, sui ruoli che la società determina per noi, e su taluni meccanismi che la collettività mette in atto.

Per me non si trattava di rendere pubblica una storia privata, quanto di capire cosa ci fosse, nella mia e nella nostra storia personale, di più grande, universale, comprensibile ad un livello emotivo e razionale più ampio, che cosa rendesse la nostra storia vicina e comprensibile alla storia di tant* altr*, e che tipo di analisi della società potesse venirne fuori.


valentina primavera

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Come hanno reagito i tuoi genitori alla presenza della telecamera? E cosa hai provato, tu, mentre giravi?

I miei genitori sono stati estremamente coraggiosi, cosi come chiunque abbia partecipato al film. Io avevo un progetto in mente, con un obiettivo ben preciso fin dall’inizio, e sapevo perché avevo preso in mano una camera in un momento tanto complicato. Queste persone si sono fidate di me, si sono messe in gioco, hanno compreso le mie intenzioni e mi hanno permesso di realizzare il film che ingloba frammenti delle loro vite. Sarò loro sempre grata per avermi dato la possibilità di raccontare questa storia.

La storia di tua madre è quella di una donna che a quasi 60 anni decide di evadere da una situazione in cui si sente prigioniera e che alla fine torna sui suoi passi. Una dinamica difficile da raccontare. 

Nel momento in cui mia madre è venuta a stare da noi a Berlino, è scattato qualcosa in me. Era come se mi si rivelasse qualcosa che fino a quando avevo vissuto a casa dei miei genitori mi appariva sotto un’altra luce. In quel momento, ormai adulta, avevo davanti a me una donna di 58 anni, con una storia incredibile sulle spalle e un desiderio fortissimo di cambiare le cose, di ribellarsi a quel sistema, di essere ascoltata. Io ho cercato di ascoltarla, ho provato a darle la possibilità di raccontarsi, concentrandomi sul suo viso, non sempre sono le parole a raccontare.

Non direi che Fiorella torna sui suoi passi, Fiorella prende una decisione che io da filmmaker non giudico, ma non è la stessa persona, ha fatto un percorso e porta dentro di se una consapevolezza diversa e importante.

Fiorella, videostill “Una Primavera”

Alla fine della lavorazione ti sei scoperta diversa rispetto a quando hai cominciato? “Una primavera” in qualche modo ti ha cambiata?

Non direi “alla fine”. Durante la lavorazione del film Fiorella mi ha raccontato cose che non sapevo, mi ha confidato le sue paure, le sue aspettative, mi ha rivelato che cosa avesse significato diventare madre, dandomi la possibilità di cogliere le innumerevoli sfaccettature e contraddizioni presenti nella personalità di ogni essere umano.

Il dolore, la mancanza di solidarietà e di empatia, la solitudine hanno conseguenze devastanti sulla vita delle persone. Fiorella, ad un certo punto nel film, mi dice “Tutta la sofferenza e quello che subisci fanno di te un’altra persona”. Questa sua frase mi ha fatto riflettere moltissimo e sì, un po’ ha cambiato la mia percezione dell’altr*.

Che valenza vorresti avesse questo film? Come vorresti fosse interpretato dal pubblico?

Spero che “Una Primavera” dia in primo luogo la possibilità ad una donna di raccontarsi e di essere ascoltata e spero che il film riesca ad andare oltre la storia della mia famiglia e a raccontare sentimenti, strutture e condizionamenti molto spesso violenti che sono assolutamente universali poiché riguardano moltissime donne, e che con caratteristiche a volte molto simili sono riconoscibili anche in luoghi e contesti diversi tra di loro.

La violenza sulle donne si esercita su molti piani diversi, io lo definirei un programma politico ben determinato. La superficialità con cui il problema viene affrontato, dimostra che l’interesse primario della politica è conservare una precisa idea di potere patriarcale e del suo esercizio.

Spero soprattutto che il film faccia porre domande al pubblico, minando certezze e invitando alla riflessione, non soltanto chi è già sensibile al problema e lo condanna, ma anche chi lo sottovaluta o lo pensa lontano da sé.

Hai già qualche idea per il tuo prossimo film e in generale a cosa stai lavorando in questo momento?

In questo momento sto lavorando a diversi progetti teatrali, sono una scenografa e costumista a Berlino. Ho in mente un progetto di ricerca che incroci due mie grandi passioni, il cinema documentario e la ricerca sullo spazio come luogo di non-rappresentazione.

Un ringraziamento speciale va a tutt* coloro che mi hanno sostenuta e aiutata in questo progetto, collaborat* e artist* bravissim* e in particolare al montatore Federico Neri che ha saputo trattare il materiale con estrema sensibilità, comprendendo l’essenza del film e preservando umanità estrema nei confronti di tutte le persone coinvolte.