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Gestione della pandemia: pubblicati in Germania i protocolli Covid che fanno discutere

In Germania si torna a parlare di Covid e, soprattutto, del modo in cui i due governi che si sono succeduti nella gestione della pandemia hanno affrontato la situazione. Come altrove, anche in Germania le misure restrittive sono state oggetto di forti critiche e la società si è polarizzata in modo drastico: da un lato chi seguiva la linea del governo, derubricando qualsiasi critica come figlia di posizioni complottiste e populiste, oltre che sprezzanti del rischio per le categorie più fragili, dall’altra chi contestava le scelte del governo, mettendone in dubbio l’efficacia e la necessità, lasciandosi andare non di rado a eccessi che sono rimasti nella storia della cronaca (anche della nera). Le voci nel mezzo, che vagheggiavano un equilibrio fra sicurezza generale, trasparenza dell’informazione e rispetto dei diritti fondamentali, non hanno avuto molto successo, in quel periodo. Il motivo per cui se ne riparla non è solo il ricorrere del quarto anniversario del primo lockdown tedesco (scattati il 22 marzo 2020), ma soprattutto la pubblicazione dei verbali del team di crisi del Robert Koch Institut, recentemente desecretati su decisione del tribunale, dopo che la rivista Multipolar aveva intentato una causa contro l’istituto perché tali documenti fossero resi disponibili al pubblico.

Lothar Wieler Gestione della pandemia
Lothar Wieler, presidente del Robert Koch Institut.
DFG bewegt, zugeschnitten, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, via Wikimedia Commons

La causa e la pubblicazione

Multipolar è una rivista vicina agli ambienti complottisti di destra e le teorie che normalmente propone non sono prese in seria considerazione dagli altri media tedeschi. Tutte le principali testate, però, hanno accolto con enorme interesse la pubblicazione delle quasi 1000 pagine di documenti interni del RKI e ne hanno tratto diversi spunti di riflessione sul modo in cui la Germania ha gestito la pandemia. ZDF Heute e Der Spiegel, in particolare, parlano di rivelazioni dal potenziale “politicamente esplosivo”, se si considera che il Robert Koch Insitut è stato la principale guida del governo tedesco, nella definizione delle politiche di gestione della crisi sanitaria, compresi gli obblighi e le restrizioni imposti alla popolazione e le relative sanzioni.

Nonostante una gran parte dei contenuti siano oscurati, le informazioni che se ne traggono restituiscono comunque una visione interessante di ciò che l’istituto sapeva e dei dati degli studi effettivamente disponibili nel momento in cui sono state prese le decisioni cruciali per la gestione dell’emergenza Covid.

Il team di crisi era presieduto dall’allora presidente dell’Istituto Robert Koch Lothar Wieler e dal suo vice Lars Schaade, che ora è a capo dell’autorità che riferisce direttamente al Ministero federale della Salute.

I punti controversi

Valutazione del rischio: chi l’ha fatta e quando è stata comunicata al pubblico?

Uno dei punti che maggiormente hanno attirato l’attenzione dei media ha a che fare con l’aggiornamento della valutazione del rischio che la pandemia di Covid-19 rappresentava per la Germania. Il 17 marzo 2020, l’RKI ha aggiornato la valutazione del rischio per la salute dei tedeschi da “moderato” a “alto”. Dal verbale del giorno precedente, si apprende che la nuova valutazione del rischio era già pronta e che avrebbe potuto essere pubblicata non appena un particolare individuo, il cui nome è oscurato, avesse dato un segnale in tal senso. Da questo dato, Multipolar trae la conclusione che la valutazione del rischio non sia stata approntata dall’RKI, ma un soggetto esterno. L’accusa, in questo caso, è di aver delegato a un misterioso attore politico, ad oggi ignoto, proprio quella valutazione che è stata la base di tutte le misure di blocco nel Paese.

Gestione della pandemia

Tuttavia, fanno notare invece ZDF e Der Spiegel, il passaggio dei protocolli suggerisce che solo la pubblicazione l’RKI ha effettuato da sola la valutazione del rischio e ha classificato il rischio come “alto”. Solo la pubblicazione della valutazione del rischio dipendeva quindi dall’approvazione della persona non nominata. L’RKI, comunque non ha ancora commentato la pubblicazione dei protocolli.

Quelli erano i giorni dell’impennata di test e, di conseguenza, anche dell’impennata di risultati positivi: nelle due settimane precedenti i casi registrati erano aumentati del 500%, passando da 28 a 1780. Le percentuali di positivi sui testati, invece, erano cresciute molto meno: dal 6% al 7% nello stesso periodo.

Nello stesso rapporto si leggono cose che oggi ci sono note, ma che all’epoca erano relativamente nuove, ovvero che la malattia andava presa sul serio, che in alcuni casi poteva avere un decorso grave o perfino fatale e che la probabilità di un decorso grave aumentava con l’età e le malattie preesistenti. L’onere per il sistema sanitario, si legge nel rapporto, dipendeva in larga misura dalla diffusione a livello locale e dalla capacità delle strutture sanitarie, nonché dalle misure come quarantena e distanziamento sociale.

Conseguenze dei blocchi: quando il RKI le riteneva “a volte peggiori del Covid”

Un altro punto “caldo” riguarda le previsioni sulle conseguenze dei blocchi. Nel dibattito polarizzato della società civile, infatti, si sono scontrate a lungo due fazioni: coloro che lamentavano gli effetti negativi delle restrizioni e coloro che definivano tali effetti risibili, se paragonati a quelli della pandemia stessa. Verrebbe naturale immaginare che i membri del comitato di crisi del RKI rientrassero nella seconda categoria, ma il verbale del 16 dicembre 2020 sembra collocarli piuttosto nella prima. Riguardo alla gestione della pandemia a livello internazionale, infatti, il comitato scriveva quel giorno che: “I blocchi a volte hanno conseguenze più gravi del Covid stesso”. L’RKI si riferiva, in quel contesto, in particolare alle misure adottate in Africa.

fine emergenza covid

Mascherine FFP2: la commissione le considerava utili solo in contesti professionali

Il punto forse più controverso, emerso fino a questo momento, riguarda infine l’obbligatorietà delle mascherine FFP2, della quale il comitato ha discusso nella riunione del 30 ottobre 2020. Questo tipo di mascherine, si legge nel verbale, sono una misura di salute e sicurezza sul lavoro, ma, se non vengono utilizzate da personale formato/qualificato, in grado di indossarle e utilizzarle correttamente, non hanno alcun valore aggiunto dal punto di vista della sicurezza. Il team di gestione della crisi chiarisce: “… non ci sono prove per l’uso delle maschere FFP2 al di fuori della salute e della sicurezza sul lavoro, questo [dato] potrebbe anche essere reso disponibile al pubblico”. Tuttavia, il pubblico tedesco non è mai stato reso edotto del fatto che l’utilizzo delle famose mascherine nella vita di tutti i giorni non fosse considerato utile sulla base di prove scientifiche. Anzi: nell’inverno di quell’anno, le mascherine FFP2 sono diventate obbligatorie in diversi Länder tedeschi.

mascherine tedesche Gestione della pandemia

La questione Astrazeneca

I verbali, ovviamente, parlano anche di vaccini e di campagne per la vaccinazione in Germania. Il verbale dell’8 gennaio 2021, per esempio, riporta che l’uso di AstraZeneca “deve essere discusso”. Il vaccino, si legge, non è come gli altri, è “meno perfetto”. Il team del RKI rileva che potrebbero essere necessarie delle restrizioni per AstraZeneca, poiché i dati relativi agli anziani sono molto limitati. Solo due mesi dopo, all’inizio di marzo, la commissione permanente per le vaccinazioni (Stiko) raccomanda il vaccino per tutte le fasce di età e fa riferimento ai nuovi risultati degli studi. Alla fine di marzo, invece la Stiko decreta che AstraZeneca può essere utilizzato solo per gli over 60 e raccomanda la vaccinazione eterologa per coloro che abbiano ricevuto AstraZeneca come prima dose.

Regola 3G e privilegi per vaccinati e guariti: per il RKI non erano “tecnicamente giustificabili”

C’è poi la questione delle restrizioni in base allo status di vaccinazione, la cosiddetta regola 3G (ovvero, quella che permetteva l’accesso a certi luoghi pubblici solo a chi fosse vaccinato, guarito o con un test negativo recente). In questo caso, si nota una discrepanza fra i verbali dell’istituto e quanto poi effettivamente fatto dal governo, su indicazione del team di crisi. Il 5 marzo 2021, una riunione dell’unità di crisi discute se il RKI debba mantenere la sua precedente posizione di applicare le stesse restrizioni a tutti, senza concedere privilegi particolari a coloro che fossero vaccinati o guariti dall’infezione. La conclusione del team di crisi, in quell’occasione, era che le eccezioni non fossero “tecnicamente giustificabili”. Non era quindi scientificamente giustificabile la scelta di permettere a coloro che si erano vaccinati o avevano superato l’infezione una serie di libertà che erano precluse agli altri.

Gestione della pandemia
Il certificato di vaccinazione, in altre parole, doveva servire per registrare gli effetti della vaccinazione stessa, compresi eventuali effetti collaterali tardivi, ma non essere la base per dividere la popolazione categorie e accordare differenti privilegi. Tuttavia, a metà settembre 2021, fu implementata la regola 3G.

I protocolli pubblicati si fermano all’aprile 2021, poiché la causa intentata da Multipolar riguardava solo il periodo da gennaio 2020 ad aprile 2021. Il 6 maggio 2024, la stessa rivista intende rivolgersi al Tribunale amministrativo di Berlino per ottenere l’accesso completo ai verbali senza elementi oscurati.

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