Biennale Musica di Venezia – Leone d’oro e Neue Vocalsolisten di Stoccarda

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da sin. Roberto Cicutto, Presidente della Biennale di Venezia, Kaija Saariaho, Leone d'oro alla carriera della Biennale Musica, Lucia Ronchetti, direttore del settore musica della Biennale / Courtesy La Biennale di Venezia - © Andrea Avezzù

Una nuova finestra su Biennale Musica di Venezia. Dal Leone d’oro alla carriera alla compositrice Kaija Saariaho ai Neue Vocalsolisten di Stoccarda: una prima passeggiata musicale. 

di Michele Santoriello

Dalla sala delle Colonne di Ca’ Giustinian una nuova ed ariosa finestra si è aperta sulla 65esima edizione di Biennale Musica con una serie di eventi ed altrettante tappe nella città lagunare, che hanno posto in primo piano le scelte e i temi individuati quest’anno dalla direttrice artistica Lucia Ronchetti, che con il titolo “Choruses – Drammaturgie vocali” ha voluto porre una speciale attenzione alla scrittura ed esecuzione di performance e spettacoli, anche sperimentali, per ensemble vocale, nell’ambito del panorama della musica contemporanea.


Lucia Ronchetti

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Biennale Musica: Leone d’oro alla carriera a Kaija Saariaho

Nella suggestiva cornice del Palazzo di Ca’ Giustinian, venerdi 17 settembre si è svolta la cerimonia per la consegna del Leone d’oro alla carriera alla compositrice finlandese Kaija Saariaho, seconda donna insignita a Venezia di un tale riconoscimento alla carriera nel settore della musica, proprio per il suo plurale percorso compositivo.

In innumerevoli lavori per coro, la compositrice ha creato affreschi sonori dove la voce in ensemble assume dimensioni inedite, ipnotiche e suggestive di comunicazione musicale.

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Paavo-Heininen. Finnish Heritage Agency, CC BY 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/4.0>, via Wikimedia Commons

Un percorso multiforme fino alla “musica spettrale”

Dopo gli studi in musicologia, disegno e succesivamente composizione all’Accademia Sibelius di Helsinki, con il pioniere modernista Paavo Heininen, fondatrice nella metà degli anni ’70 di un gruppo progressista dal nome molto evocativo „Ears open“, a ventinove anni Kaija Saariaho lascia la Finlandia e si trasferisce in Germania per seguire gli insegnamenti di Klaus Huber e Brian Ferneyhough.

Poco dopo, nel mese di maggio del 1981, scopre Parigi, nel bel mezzo dell’effervescenza per l’elezione presidenziali che vedono Mitterand candidato. Tutto sembra un tempo di straordinaria follia. Poi, nell’estate, segue i corsi di Darmstadt e fa un incontro decisivo: la musica spettrale e i suoi capofila, Gérard Grisey e Tristan Murail.

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Il suo desiderio di libertà, in musica e nell’atmosfera, la spinge a trasferirsi nella capitale francese, in cui deciderà ormai di vivere e di comporre musica nonostante, come afferma nella conversazione con il giornalista, abbia avuto “tante difficoltà come giovane compositrice. Volevo soltanto che le persone percepissero la mia musica senza chiedersi se fosse composta da un uomo o da una donna“.
Una donna che non ha mai fatto compromessi e che compone per se stessa, per la propria esigenza di vita, con una forza creativa ed espressiva che ha conquistato le platee dei più importanti teatri del mondo.

Il Leone d’oro alla carriera è un riconoscimento a questa sua vasta produzione per voce, ensemble vocale e coro ed inoltre Kaija Saariaho è stata premiata in particolare per il suo pezzo “Oltra mar”, per coro e orchestra, composto nel 1999, considerato un capolavoro assoluto nell’ambito della produzione musicale contemporanea.

Sulle orme di Debussy

Nel segno di Debussy, compositore di spicco nell’esperienza della musica spettrale e quindi nel percorso estetico dei primi maestri ispiratori di Kaja Saariaho, si è aperto poi la sera del 17 e con il concerto inaugurale, al teatro La Fenice, il Festival Internazionale di musica contemporanea.

Al pubblico è stata presentata una versione per orchestra di sei pezzi del compositore francese dal titolo “Children’s Corner” orginariamante scritti per pianoforte in onore della figlia, chiamata affettuosamente Chouchou, in cui il musicista danese Hans Abrahmansen, attraverso l’allargamento dello spettro timbrico e l’ampliamento dell’organico orchestrale classico – soprattutto nelle percussioni che includono tra l’altro varie tipologie di campane, tam tam, nacchere, piatti e xilofono, e nei fiati con corno inglese, oboe, tromboni tenore e basso tuba – punta a restituire in immagini vivide le sei minianure debussyane. Ricche, queste ultime, non solo di virtuosismi ma di atmosfere sognanti, delicati esotismi e soprattutto di sonorità metalliche nella danza dei fiocchi di neve, che mette in luce l’intima empatia del compositore francese verso i temi legati alla natura, fonte d’ispirazione inesuaribile per Debussy.

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Concerto inaugurale di Biennale Musica, 17 settembre 2021, ore 20.00, Teatro La Fenice, musiche di Kaija Saariaho Leone d’oro alla carriera e Debussy/Abrahamsen, Orchestra del Teatro La Fenice diretta da Ernest Martinez-Izquierdo / Courtesy La Biennale di Venezia – © Andrea Avezz

Kaija Saariaho: un costante dialogo con la natura

Questo dialogo e legame con la natura è la cifra anche della musica di Kaija Saariaho, che nel secondo concerto proposto per la serata inaugurale, dal titolo “Notes on light“, prima assoluta in Italia, ha posto al centro della sua composizione il tema della luce come leit motiv dei cinque movimenti che compongono il pezzo, ognuno dei quali porta un titolo che indaga diversi aspetti della luce, dal “Traslucido, segreto”, a “In fiamme” per proseguire poi con “Risveglio” ed “Eclissi” e concludersi con “Cuore di luce”.

Un dialogo incessante tra l’irrequieta versatilità del violoncello solista e la mutevole timbrica della massa orchestrale: un concerto per solista ed orchestra dove il solista appare un eroe in continuo confronto, collaborazione e anche sottomissione dell’orchestra capace comunque di condurci musicalmente nel cuore stesso della luce.

Leone d'oro
Concerto inaugurale di Biennale Musica, 17 settembre 2021, ore 20.00, Teatro La Fenice, musiche di Kaija Saariaho Leone d’oro alla carriera e Debussy/Abrahamsen, Orchestra del Teatro La Fenice diretta da Ernest Martinez-Izquierdo / Courtesy La Biennale di Venezia – © Andrea Avezzù

Impeccabile l’orchestra diretta da Ernest Martínez Izquierdo

Ineccepibili e brillanti le due esecuzioni da parte dell’orchestra del Teatro La Fenice diretta dal direttore Ernest Martínez Izquierdo. Notevole e di altissimo livello esecutivo l’interpretazione del violencellista Ansi Karttunen, che ha suonato con un violoncello di Francesco Ruggeri di Cremona, risalente al 1670.

Questa collaborazione con il teatro La Fenice si è ripetuta la sera di sabato scorso al teatro Malibran nel quale è stata eseguita l’opera in due parti “Only the sound remains” (Resta solo il suono), nella quale due delle quindici traduzioni e rielaborazioni di opere di teatro giapponese nõ di Ezra Pound sono state lo spunto e lo stimolo letterario che Kaija Saariaho ha cercato per mettere in musica. Testi, come lei stessa afferma, che lasciano spazio alla musica, che parlano di interazione tra umano e soprannaturale e permettono anche di inserire la danza come elemento evocativo e performativo della composizione.

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Biennale Musica di Venezia. Only the Sound Remains opera in due atti di Kaija Saariaho, regia, scene, costumi e video design di Aleksi Barrière, con Theatre of Voices, direzione d’orchestra di Clément Mao-Takacs / Courtesy La Biennale di Venezia – © Andrea Avezzù

I due drammi messi in scena: “Tsunemasa” e “Hagorono”

Le trame dei due drammi prescelti, “Tsunemasa” e “Hagorono“, sono molto diverse tra loro, anche se entrambe giocate sulle voci di un basso-baritono e un contro-tenore che anche con l’apporto del coro uniscono e accompagnano le tessiture delle due voci.
La prima trama, “Tsunesama”, cupa e straziante, racconta il dramma di uno dei favoriti dell’imperatore a cui era stato donato dallo stesso un liuto per rallegrarsi.

Morto in guerra, tuttavia ricordato dal sacerdote del tempio della corte reale (un basso baritono), che offre lo strumento del defunto all’altare con il proposito di donare pace all’anima del guerriero, si trova a confrontarsi con l’ombra, il fantasma di Tsunemasa (contro-tenore), attirato dal suono delle melodie delle preghiere. Un fantasma tormentato dalle vicende cruente della battaglia che l’ha visto perire sul campo e che desidera che siano spente le luci per poter scomparire e che rimanga solo il suono.

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Biennale Musica di Venezia. Only the Sound Remains opera in due atti di Kaija Saariaho, regia, scene, costumi e video design di Aleksi Barrière, con Theatre of Voices, direzione d’orchestra di Clément Mao-Takacs / Courtesy La Biennale di Venezia – © Andrea Avezzù

Il secondo pezzo, “Hogoromo”, invece è un pezzo che tende verso la luminosità, la danza. È la storia di un pescatore, Hakuryo, che, uscito per andare a pesca, trova uno stupendo mantello di piume appeso al ramo di un pino. Mentre pensa di potersi appropriare del prezioso mantello, uno spirito della luce, un Tennin, gli appare e gli chiede la restituzione del mantello senza il quale non può fare ritorno al cielo. Dopo un primo rifiuto di Hakuryo “Il dubbio è per i mortali, con noi non esiste inganno”, afferma lo spirito, Hakuryo acconsentirà solo dopo che il Tennin gli permetterà di vedere una danza celeste, prima di scomparire tra le nubi che avvolgono il monte Fuji.

Con un strumentazione contenuta che comprendeva flauti, il kantele, uno strumento tradizionale finlandese, le percussioni e un quartetto d’archi, nonché un ensemble a quattro voci che permette di coprire un’ampia gamma di tonalità, Saariaho riesce a scrivere una musica raffinata, intima ma capace allo stesso tempo di essere eseguita in ampi spazi come quelli teatrali anche con l’uso dell’elettronica. La ritmica, infine, sempre più veloce della danza del Tennin, la creatura incantata, permette di scoprire al pubblico “Una nuova gioia per gli uomini”.

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Biennale Musica. Kaija Saariaho riceve gli applausi al termine di Only the Sound Remains / Courtesy La Biennale di Venezia – © Andrea Avezzù

La terza tappa: il gruppo dei Neue Vocalsolisten di Stoccarda

La terza tappa di questa prima passeggiata musicale tra i luoghi della Biennale Musica si ferma all’Arsenale, al teatro alle Tese, con due performance del gruppo vocale Neue Vocalsolisten di Stoccarda, premiati questa mattina con il Leone d’Argento per ensemble vocali per “Le loro interpretazioni che si distinguono per teatralità ed efficacia drammaturgica, lasciando emergere la peculiarità di ogni voce e la personalità di ogni componente del gruppo” come dichiarato da Lucia Ronchetti nella Laudatio.

Ieri sera hanno presentato il pezzo “AMO” di George Lewis, per cinque voci ed elettronica e l’opera documentario, sempre per 5 voci cantanti, elettronica e video dal titolo “Die Einfachen”.

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Biennale Musica. I Neue Vocalsolisten Stuttgart interpretano Amo di George Lewis / Courtesy La Biennale di Venezia – © Andrea Avezzù

I due concerti sono ispirati a due episodi storici

Entrambi i concerti prendono spunto da due episodi storici poco conosciuti che fanno vibrare le corde di aspetti della nostra attualità. Nel pezzo “Amo”, il compositore Lewis si ispira alla figura del filosofo Anton Wilhelm Amo, ex schiavo del Ghana, bambino strappato dalla sua terra per essere portato in Germania nel 1707 dalla Compagnia delle Indie e donato al duca di Augusto Guglielmo di Brunswick, Lüneburg.
Trattato però dalla famiglia aristocratica illuminata come una persona di famiglia, ebbe l’opportunità di istruirsi, di frequentare l’università di Halle, di prendere il dottorato in filosofia all’Università di Wittemberg ed esercitare sia a Halle che a Jena la professione di docente universitario, prima di decidere di ritornare in Africa verso il 1747.

La partitura vocale creata per i Neue Vocalsolisten si compone di una vocalizzazione a più lingue (tra cui tedesco, latino, inglese, olandese e twi, la lingua materna di Amo), a cui si aggiungono dei ritardi digitali interattivi di musica live elettronica, trasformazioni timbriche in cui le voci degli interpreti vengono trasformate nei loro doppi creando così attraverso la sala un’esperienza immersiva per il pubblico presente.

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Biennale Musica. I Neue Vocalsolisten Stuttgart interpretano Die Einfachen di Sergej Newski / Courtesy La Biennale di Venezia – © Andrea Avezzù

La seconda performance: lettere dalla Russia

Nella seconda performance invece l’ensemble corale si è confrontato con il libretto di Sergej Newski basato sulla scoperta di lettere dalla Russia degli anni ’20, lettere pubblicate da Irina Rodulgina dell’Università di Oxford.

Tra queste vi è la storia di Nika Polyakov che racconta in una lettera inviata al celebre neurologo Becherev, in viaggio per la Russia rivoluzionaria per una serie di conferenze pubbliche sulla libertà sessuale nei nuovi tempi della rivoluzione, la sua scoperta di una identità omossessuale, emersa quando era studente in Germania e legata all’attrazione per un compagno di studi. Ma dopo i primi anni di fermenti libertari a San Pietroburgo, con l’avvento di Stalin, l’omosessualità viene dichiarata illegale e Nika viene arrestato e interrogato dalla polizia segreta staliniana per poi scomparire nel nulla.

Altre lettere di giovani fanno da substrato al testo del libretto. Con i fili di quelle voci dimenticate Newski ha intessuto una drammaturgia musicale polifonica ottimamente interpretata, con monologhi sovrapposti dalle voci dei Neue Vocalsolisten capaci di dare voce, anche corale, ai “semplici” che la Storia vorrebbe dimenticare e rimuovere dalla memoria.

La dimensione corale della musica contemporanea

Insomma questi primi tre giorni della Biennale Musica ci hanno permesso, tra i tanti appuntamenti in programma e dei quali si sarebbe potuto scrivere, di assistere a spettacoli in cui musica e voce si sono espresse in modalità plurali e combinate e con tecniche compositive che rispecchiano la vivacità dell’espressione e l’utilizzo dell’ensemble corale nella musica contemporanea.

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