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In prima linea contro la pandemia: intervista a Giulia Vignoli, del team pandemico di Mitte

Che cosa succede durante una pandemia? Ognuno di noi può rispondere a questa domanda, da quasi due anni a questa parte, in base alla propria esperienza. La nostra percezione, però, è necessariamente condizionata dalla nostra posizione.

Alcuni di noi avranno esperienza del lavoro da casa, altri della difficoltà di vivere con figli impegnati nella didattica a distanza. Poi ci sono i professionisti e le professioniste che con la gestione della pandemia vera e propria, del contagio e dell’assistenza si confrontano quotidianamente. Una di queste persone è Giulia Vignoli, che fa parte del team di gestione della pandemia del distretto di Mitte, a Berlino. In quest’intervista, ci ha raccontato la sua storia e la sua esperienza.


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Come e quando sei arrivata a Berlino quale percorso di studi ti ha portata a svolgere questo lavoro?

Sono venuta a Berlino per il mio compagno, non avevo nessun interesse particolare per la Germania. Mi sono laureata in Relazioni Internazionali e diplomatiche all’Università Bologna e dopo la laurea sono andata a Panama, dove ho lavorato per un periodo come insegnante di italiano. Contavo di rimanerci, ma la vita mi ha riportato in Italia, dove ho frequentato un master in Protezione da Eventi Chimici, Biologici, Radiologici e Nucleari, che si focalizzava quindi sulla gestione dei disastri, come per esempio una pandemia. Il master era organizzato dall’università di Roma Tor Vergata. Nello specifico ho frequentato il master di primo livello, quello per i cosiddetti first responder, quelli che vanno sul campo, come infermieri, militari, medici. Anche chi ha una laurea in scienze politiche e relazioni internazionali può intervenire in queste situazioni.

Al master ho conosciuto Cornelius, un epidemiologo e professore tedesco, che è il mio attuale compagno e lavora al BFS (Bundesamt für Strahlenschutz, Ministero per la Protezione dagli Eventi Radioattivi). Mi sono trasferita a Berlino per lui, non mi attraeva in modo particolare la città. Per due anni ho vissuto fra Italia e Germania, lavorando a distanza nell’azienda di famiglia, poi la pandemia mi ha bloccata per quattro mesi in Italia. Quando mi è stato possibile tornare ho deciso di stabilirmi definitivamente qui, mi sono iscritta a un corso di tedesco e ho trovato lavoro presso il Dipartimento della Salute di Mitte.

Dguendel, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, via Wikimedia Commons

Di cosa ti occupi?

Grazie al master di cui sopra, posso effettuare i tamponi per i test Covid. Quindi quello che ho fatto per quasi tutta la pandemia (anche se adesso non ce n’è più bisogno) è stato fare, presso la Stadtmission, i tamponi alle persone senza fissa dimora. Ogni giorno, con la mia tuta CBRN, facevo tamponi ai senzatetto, alle donne vittime di violenza, ai rifugiati, a chi non aveva un’assicurazione sanitaria, un medico di base né un posto dove stare. Queste persone, spesso, passano l’inverno nei dormitori, ma ovviamente in piena pandemia veniva loro chiesto un test rapido prima di poter accedere ai rifugi comuni. Quelli che risultavano positivi al test rapido venivano mandati da noi per un test PCR, che venivano poi mandati al Robert Koch Institut, per verificare se si trattasse di veri casi di Covid o di falsi positivi. Chi aveva effettivamente contratto il Covid e non poteva quindi dormire con gli altri veniva accolto in una specie di reparto ospedaliero allestito alla Stadtmission, dove potevano trascorrere la quarantena. Lì le persone che hanno sviluppato la malattia sono state curate impeccabilmente.

Capita spesso che un test rapido riporti un falso positivo?

Può succedere, soprattutto nel caso di persone che, come accade spesso ai senzatetto, hanno patologie croniche, infiammazioni dovute a condizioni di salute precarie o al fumo. Se c’è un’infezione in corso al momento del test rapido, questo può risultare leggermente positivo e richiedere un’ulteriore verifica. I test rapidi, inoltre, perdono di affidabilità se vengono effettuati a temperature molto basse, come inevitabilmente capitava a Berlino d’inverno, all’aperto. Non è perà possibile registrare falsi negativi.

Di cosa si occupa il team per la gestione della pandemia di un distretto berlinese?

Il mio si occupava solo di effettuare tamponi ai senzatetto e a chi non potesse essere curato e seguito in casa. Le altre squadre, invece, seguivano le famiglie del quartiere, le persone che si ammalavano o entravano in contatto con una persona positiva e venivano seguite per telefono, come accade in Italia. In entrambi i casi facevamo anche il tracciamento dei contatti, cercando di individuare le catene del contagio a partire da ogni persona che risultava positiva.

covid test pandemia

Come si è evoluto il contagio fra i vostri assistiti?

Il picco peggiore è stato a marzo, registravamo moltissimi positivi. L’ondata brutale dell’inverno si è placata dopo Pasqua, i contagi sono diminuiti non solo fra i senzatetto, ma anche in generale, in tutta la città. Abbiamo iniziato ad avere senza meno pazienti, fino a quando a metà maggio non è stato possibile vaccinare tutti.

Tutti?

Tutti quelli che l’hanno voluto. Quasi tutti i senzatetto di Mitte sono stati vaccinati con Johnson & Johnson, perché questo vaccino, richiedendo una sola dose, rende più facile l’immunizzazione di persone che non necessariamente sarebbero in grado di presentarsi a un secondo appuntamento e che potrebbe essere impossibile ricontattare. La stazione di quarantena della Stadtmission resta aperta per chi ne avesse bisogno.

Chi finanzia il progetto?

Il Senato di Berlino, che ha messo insieme un team di circa quaranta persone fra medici, assistenti sociali e infermieri. Le cure che sono state fornite in quel contesto sono state esemplari: nessuno dei pazienti ha avuto necessità di essere ricoverato in ospedale né di ricevere l’ossigeno. Solo in pochissimi casi si sono rese necessarie cure ospedaliere per problemi preesistenti che non avevano nulla a che fare con il Covid, come le crisi di astinenza da sostanze o alcol o infezioni croniche.

Ci sono delle linee guida chiare per la gestione della pandemia sul campo, a livello cittadino?

Ogni quartiere di Berlino è come una città a sé in questo senso e segue regole proprie. Per esempio, in alcuni quartieri la quarantena era di dieci giorni, in altri di due settimane. A Mitte è stata allestita una hotline a cui poteva rivolgersi chi avesse casi di Covid in famiglia o presentasse sintomi. Queste persone potevano poi rivolgersi al centro test PCR di Wedding, per ricevere un tampone gratuito, analizzato dal Robert Koch Institute e, in caso di risultato positivo, doveva rispettare due settimane di isolamento. Il team pandemico tracciava i contatti di ognuno.


senza fissa dimora

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Quali sono state le difficoltà principali, nella tua esperienza?

Vorrei evitare la retorica, ma nelle prime settimane avevo spesso gli incubi. Per me la cosa più difficile è stata confrontarmi con l’enorme quantità di sofferenza che mi trovavo davanti ogni giorno, con persone vulnerabili, vittime di violenza, anziani disabili e tantissimi tossicodipendenti. Quasi tutti, in realtà, erano eroinomani. Era molto difficile mantenere la necessaria distanza emotiva.

Come si tracciano i contatti di una persona senza fissa dimora?

È molto difficile. Non si poteva fare altro che chiedere alla persona che risultava positiva con chi fosse entrata in contatto e poi si cercava di notificare gli interessati, diramando i nomi anche fra gli altri rifugi e dormitori, ma naturalmente stava poi a loro scegliere se farsi testare o no. Molti non si sono presentati, perché non volevano sentirsi “rinchiusi”. Anche fra chi si trovava nella stazione di quarantena c’era chi scappava per andare a procurarsi gli stupefacenti, perché le crisi di astinenza erano troppo forti, e chi è stato allontanato, per esempio, in seguito a risse fra gli ospiti. Però la stragrande maggioranza hanno accettato di buon grado tutte le cure e sono guariti, per fortuna.

Di cosa si occupa il team per la gestione della pandemia adesso?

Della campagna vaccinale a Mitte, che è gestita in postazioni con tende, con l’aiuto della Bundeswehr. Io fornisco assistenza in italiano, inglese e spagnolo a chi vuole vaccinarsi. Per esempio, di recente abbiamo organizzato un open day per la vaccinazione con Moderna e Johnson & Johnson. Sicuramente ci saranno altri eventi simili in futuro.

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