Perché Il Ministero della disabilità mi fa orrore. La direzione è l’inclusione, non il ghetto

di Amelia Massetti

Cercherò di essere chiara e di spiegare in modo diretto e comprensibile perché un Ministero della disabilità mi fa orrore.
Un Ministero che si occupi appositamente e solo di persone diversamente abili è un ghetto. E in questo ghetto mi sentirei anche io, madre di una figlia con la sindrome di Down, ove avessi un problema specifico. Mi sembrerebbe di fare un tuffo nel passato, sarei indotta a sentirmi improvvisamente la madre di una persona considerata solo in quanto disabile, un’etichetta che vorrei e che vorremmo volentieri scrollarci di dosso.

Nel mondo si stanno facendo tanti progressi sul tema della diversità e nel valorizzare l’inclusione, sia sul piano teorico che su quello strutturale, anche e soprattutto grazie al contributo di pensiero delle persone disabili e delle loro famiglie, che si sono esposte e sono uscite dal ghetto in cui la società voleva relegarle.

By Zachary Kyra-Derksen

Le mie istanze prioritarie, per le quali ho anche fondato un’associazione come Artemisia e.V. inclusione per tutti*e, sono il rispetto dei diritti di mia figlia e di coloro che si trovano nelle sue stesse condizioni all’interno delle strutture burocratiche, sociali e culturali della società, principalmente laddove questi temi non vengono trattati.

Le radici giuridiche dell’inclusione in Europa

Provo a spiegarmi meglio. Il 23 dicembre 2010 l’Unione Europea è diventata ufficialmente Parte contraente della Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008.

Fino ad oggi la Convenzione, che obbliga gli stati contraenti a sostenere la non-discriminazione e altre forme di protezione delle persone con disabilità, oltre a fornire loro i servizi necessari per partecipare pienamente alla vita di società, è stata ratificata da 96 Paesi e dalla UE. Pertanto tutti i suddetti Paesi, tra cui l’Italia e la Germania, sono obbligati ad applicarla e per questo si sta lavorando in modo cooperativo, in Europa e nel mondo, per estendere e applicare il concetto d’inclusione in tutti i settori, scolastici e lavorativi, ma non solo.

By Elevate

L’applicazione di queste leggi non consiste puramente nell’eliminazione delle barriere architettoniche, ma anche in una progressiva evoluzione digitale che favorisca l’accesso alle persone normoatipiche, per dare un segnale, sempre più condiviso, dell’importanza di migliorare sia i servizi che la cultura delle differenze all’interno del rispetto dei diritti umani.

L’obiettivo dell’inclusione è abbattere le barriere mentali per cui ancora oggi le persone disabili sono considerate una categoria a parte, marginalizzata, di cui bisogna prendersi carico attraverso una visione assistenzialistica dello Stato. Ma il vero obiettivo è favorirne la piena partecipazione attiva, e per fare questo è necessario sensibilizzare tutti gli organi competenti della società, in modo trasversale, che sia sul posto di lavoro, nella scuola, nella cultura e negli apparati dello Stato, affinché le persone disabili abbiano un reale riconoscimento delle loro qualità e competenze.


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Il Ministero della disabilità è come le scuole speciali: rende i disabili un “mondo a parte”

Formalmente in Germania, come in tutti gli altri Stati, vengono progressivamente chiuse le scuole speciali, che non a caso le destre populiste vorrebbero mantenere ancora in piedi, e si stanno adoperando perché nel mondo del lavoro aumentino le opportunità di inserimento lavorativo per le persone disabili, eliminando progressivamente i laboratori speciali (Werkstatt), frequentati solo dalle persone diversamente abili.

Ciò nasce dal presupposto che le diversità, qualunque esse siano, possano trovare un canale di gestione adeguato al fine di favorirne il progressivo inserimento nella vita reale, eliminando la costruzione di strutture separate, altamente ghettizzanti, a cui ancora in molti Paesi assistiamo, e tutti devono adoperarsi in questa direzione.

By Nathan Anderson

Ora questo significa che l’inclusione riguarda tutti gli ambiti, politici, culturali, scolastici, lavorativi e sociali. In parte tutto questo riguarda le barriere architettoniche, che di sicuro vanno eliminate in tutte le strutture abitative, lavorative e sociali.

Nei nuovi modelli di progettazione è formalmente e legalmente impensabile costruire scuole, uffici, luoghi di incontro, centri sportivi, ambulatori o centri commerciali senza prendere in considerazione questo presupposto. Questo in Germania, ma sicuramente anche in Italia e in Europa.
Ma ci sono anche altri fattori da considerare.

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L’inclusione non riguarda solo le persone disabili

Normalmente infatti viene presa in considerazione, quando si costruiscono nuove strutture, anche l’opportunità di consultare le varie componenti sociali che le abiteranno, per confrontarsi e interagire con loro nella definizione degli ambienti. Per esempio si considera sempre più spesso la possibilità di offrire uno spazio adeguato alla preghiera, per le persone che seguono una religione particolare. Per cui la definizione e l’ampliamento dell’idea dell’inclusione significa ideare e progettare in base alle necessità non solo delle persone disabili ma anche di tante altre persone (anziani, donne con bambini, persone che hanno degli infortuni temporanei, culture differenti e via dicendo).

Teoricamente sono le stesse prerogative contemplate, per esempio, nel progetto di transizione ambientale, tanto citato dal nuovo governo, che significa pensare a un nuovo progetto di sviluppo e alle infrastrutture che verranno costruite nel prossimo futuro tenndo conto dell’impatto ambientale.

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Ora in tutti i settori quindi deve passare questa linea trasversale denominata inclusione, di cui la digitalizzazione può essere potente strumento attuativo. Pensiamo ad esempio a una digitalizzazione che prenda in considerazione la lingua facile o audiovisiva, che possa favorire l’accesso alle persone disabili e non solo. Pensiamo alle tante persone che sono analfabete funzionali e hanno serie difficoltà nella comprensione di testi complessi, o alle persone anziane che fanno fatica a seguire il progresso tecnologico e rischiano di essere tagliate fuori.

Il progetto di inclusione prevede e sancisce che questi temi vengano inseriti in tutti gli ambiti della società, rendendola sempre più accessibile e inclusiva per l’intera collettività.

Un Ministero della disabilità mi fa orrore, perché ci riporta indietro di 50 anni, soprattutto in Italia, Paese in cui l’inclusione è un fiore all’occhiello, se pur con tutte le difficoltà di applicazione su tutto il territorio.


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I limiti della Germania

In Germania abbiamo per ogni quartiere (Bezirk) il Rappresentante statale per le persone con disabilità, Behinderte Beauftragte, ma perché qui esistono ancora delle strutture differenziate. Tipo le scuole speciali, purtroppo ancora esistenti sul territorio tedesco, e i laboratori per persone diversamente abili (Werkstatt), o le residenze per persone disabili (Whonstätt), che isolano i loro ospiti dal resto della società.

Questo significa concretamente che se sei una persona disabile in Germania, hai tutta una serie di strutture che ti tutelano e ti offrono un percorso anche di autonomia, sempre relativa, ma in questo percorso il divario tra le persone normo-atipiche e le persone normo-tipiche diventa un abisso insuperabile.

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Per questo motivo la Germania fa molta fatica ad implementare l’inclusione. E non a caso sono i Land tendenzialmente di destra, ad opporsi agli investimenti che andrebbero fatti per applicare l’inclusione.

Questo è tutto un sistema che apparentemente funziona come un orologio a carillon. Da fuori può sembrare molto efficiente e ben strutturato. Ma al suo interno esistono migliaia di insoddisfazioni e discriminazioni delle persone disabili, che non si sentono rispettate per quello che valgono e che trovano in questo sistema una camicia di forza che non permette loro di muoversi in una società che si definisce democratica, ma che al contrario li ghettizza.

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Perché il Ministero della disabilità è un grosso sbaglio

L’istituzionalizzazione della disabilità significa creare un recinto con un perimetro ben definito dove poter tutelare i diritti delle persone disabili. Ma le persone disabili da lungo tempo in quel recinto non vogliono più stare, vogliono essere partecipi della vita della società in tutti i suoi ambiti.

Le persone disabili e le loro famiglie non stanno elemosinando assistenza, ma vogliono riconoscimenti, qualificazione, possibilità di evolversi e avere tutti gli strumenti a disposizione per poter contribuire al benessere della società. Le persone diversamente abili vogliono poter interagire con il mondo considerato “normodotato” per costruire norme nuove che favoriscano i bisogni emotivi e basilari di tutti e tutte.

Photo by Maria Oswalt

Vogliamo essere presenti in quegli ambiti della società che hanno da sempre marginalizzato le persone diversamente abili creando per loro dei percorsi a senso unico in cui non esiste una via di uscita ma solo un finale, quello preventivamente pianificato da chi non vuole interagire con le cosiddette “categorie protette”, ma offrire una stanza dei bottoni dove creare l’illusione che tutto sia predisposto per venire incontro alle loro esigenze.

No non è questo che ci si aspetta. Per questo rinvio idealmente al mittente il pacchetto che viene proposto da Draghi, coniato dalla Lega, di creare un Ministero della disabilità, tra l’altro senza portafoglio. Perché quello che temo si nasconda in questo pacchetto è lo stop all’inclusione e il ritorno a strutture separate e forse anche alle scuole speciali, cavallo di battaglia delle destre populiste. E invece l’inclusione è e resta l’unica strada possibile.

Mario Draghi. Photo by INSM

Le persone disabili vogliono partecipare alle scelte che le riguardano

Vogliamo inoltre che le decisioni di cosa mettere in quel pacchetto vengano da coloro che quel pacchetto devono riceverlo e siano quindi loro a decidere quali sono le loro priorità e necessità.

Non a caso la Ministra proposta da Salvini non è né una persona diversamente abile, né tantomeno ha un familiare con una disabilità, quindi probabilmente conosce questo tema ma solo marginalmente, per essersene occupata in relazione a un piano di urbanistica che contemplasse le necessità delle persone disabili.

Photo by Danny Nee

Tutto qua? Pensate che il percorso dell’inclusione che riguarda le persone disabili sia soltanto avere la scala mobile o il gradino accessibile? No questo è solo una delle prime cose che una società dovrebbe costruire e che tra l’altro favorisce chiunque. Il problema è molto più ampio e complesso.

Una società che fa dell’inclusione la sua priorità deve destrutturare le idee conservatrici in cui i benefici economici sono l’obiettivo su cui basare il proprio programma. Significa dare considerazione a chi non l’ha mai avuta, ma non come una concessione che proviene dall’alto. Significa ascoltare i bisogni degli altri e non diventare veicoli di luoghi comuni e di falsa commiserazione.

Photo by Clay Banks

Dal Ministero della della disabilità al Ministero dell’Inclusione. E la distanza dalle destre populiste

Per questo vorrei un Ministero dell’Inclusione, sarebbe un messaggio progressista e sarebbe bellissimo se partisse dall’Italia.

Ma quel Ministero, attenzione, non potrà mai essere gestito Lega o alle destre populiste, perché la visione dei diritti umani che hanno queste forze politiche non mira all’inclusione e non la considera un valore fondamentale.

Non appartengono alle destre il concetto di rispetto delle differenze e per le persone Lgbtqia+, la lotta all’omostransfobia, il diritto alla procreazione e all’aborto, il diritto ai matrimoni omosessuali e alle differenze di genere, i diritti dei profughi e delle persone di culture e religioni differenti. No, le destre che conosciamo non lasceranno mai che questi diritti si espanano nella nostra società. Quindi non lasciamo a loro un Ministero dell’inclusione. Non appartiene al loro DNA.