Tiziana Ferrario e il femminismo condiviso: “Abbiamo bisogno di uomini nuovi”

Tiziana Ferrario
Tiziana Ferrario. © Mirta Lispi

Tiziana Ferrario e il suo nuovo libro sulla parità di genere

di Lucia Conti

Uomini: è ora di giocare senza falli è un libro per uomini e donne che vogliano unire le forze e affrontare insieme il problema del maschilismo, realizzando che è possibile un dialogo sereno e costruttivo sul tema.

È un libro interattivo, che descrive il modo in cui il maschilismo si declina in ogni settore della società con un linguaggio scorrevole e coinvolgente e contiene liste e questionari che aiutano a fare mente locale, spazi bianchi per aggiungere note, test di verifica che permettono a chi legge di mettersi alla prova, magari scoprendo, con sorpresa, che il proprio punto di vista cambia durante la lettura.

Ho avuto modo di parlarne con l’autrice, Tiziana Ferrario, giornalista e volto storico di Rai1, a lungo conduttrice delle principali edizioni del telegiornale, corrispondente per la Rai da New York e inviata di politica estera in zone di guerra o luoghi soggetti a crisi umanitarie e per il suo impegno civile nominata nel 2003 Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.

Molte persone ritengono che nelle democrazie occidentali le donne abbiano ormai raggiunto la piena parità, o quasi. Questo libro è una risposta a questo tipo di obiezione?

È un voler dimostrare con esempi concreti come ancora ci sia tanto da fare e che quella parità è una sfida non vinta, è un traguardo non raggiunto e anzi, rischiamo di spostarlo molto più in là, perché il Covid-19 non ci sta aiutando nel cammino verso la parità, anzi, rischia di far fare passi indietro soprattutto alle donne.

Il suo è un libro rivolto anche agli uomini. In che senso?

Il libro è rivolto anche agli uomini perché inizino a interrogarsi su cose che magari danno per scontate, ma che scontate non sono, per poter dialogare e riflettere insieme. Ed effettivamente dal momento in cui è uscito, circa due mesi fa, mi capita di ricevere anche commenti di uomini che si interrogano insieme alle loro figlie, o le loro compagne, quindi vuol dire che questo progetto di avviare un dialogo sereno sul tema sta funzionando.

Tiziana Ferrario. © Mirta Lispi

In una sezione del suo libro si parla del #Metoo, che in America ha di fatto assicurato Harvey Weinstein alla giustizia, ma si è esteso anche ad altri ambiti: finanza, sanità, high tech, giornali e molto altro. Cosa non ha funzionato in Italia?

Diciamo che in Italia se ne è parlato molto, ma con un approccio piuttosto provinciale e se ne è discusso perché c’era un’attrice italiana coinvolta. Gli uomini sono stati molti silenziosi e l’ho trovato strano, anche perché in America molti uomini hanno scritto articoli e partecipato al dibattito, difendendo posizioni anche diverse, ma alimentando la discussione.

In Italia il #Metoo è stato vissuto sostanzialmente come un problema delle donne, mentre invece è un discorso che riguarda tutti, perché riguarda la sicurezza di contesti professionali in cui si muovono anche mogli, figli, sorelle, madri. Avere accanto un molestatore, non fare niente, non dire niente, significa rendersi complici. Gli uomini italiani dovrebbero esprimersi di più su temi come la parità, le molestie e, in ultima istanza, il maschilismo.

Photo by Mihai Surdu

Il suo appello agli uomini affinché si esprimano sul tema è espresso chiaramente, nel libro. A quali uomini si rivolge?

Gli uomini non sono tutti maschilisti e l’obiettivo del libro è anche dare voce a quegli uomini che maschilisti non sono, anche per rompere quell’idea che il mondo maschile sia compatto, che non ci siano differenze.

Ci sono uomini femministi, ma ci sono anche molti uomini che appartengono a quella terra di mezzo che non è più maschilista, ma in cui ancora non si sceglie di parlare apertamente di disuguaglianze che pure non si condividono. Sarebbe il caso di farlo, invece, perché solo così si avvia un confronto sereno e in questo modo si isolano anche i soggetti più maschilisti e violenti. Purtroppo infatti viviamo in un Paese in cui il maschilismo sfocia anche nella violenza e abbiamo un numero impressionante di femminicidi, che sono la degenerazione più estrema del maschilismo.

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I giornali, la Consob, il CSM, le Università, la Corte Costituzionale, ai vertici quasi solo uomini, i numeri parlano da soli. Eppure le donne pubbliche che lo fanno notare sono stigmatizzate come delle fanatiche radicali e molte altre si affrettano a dissociarsi, per non subire la stessa sorte. Come si riesce a far passare per estremista chi commenta una disparità sistemica, dati alla mano?

Perché qualcuno vuole difendere dei privilegi e teme che la parità li comprometta. In realtà la parità produrrebbe dei miglioramenti nella società, gli economisti ci dicono che più le donne lavorano e fanno carriera più il benessere delle famiglie cresce, crescono i consumi e cresce anche il Pil, senza contare il fatto che ci sarebbe maggiore armonia nelle case, perché una donna realizzata è una donna più serena.

Però c’è ancora tanta gente che pensa che questo significhi perdere territorio, perdere potere, perdere spazi, e allora ecco che si crea questo cortocircuito per cui si comincia a negare che ci sia un problema, a dire che le quote non servono, a dire “ma cosa volete, avete già tutto!”. E questo è un atteggiamento  che io nel libro denuncio e che è trasversale, perché il maschilismo è un atteggiamento, una mentalità. Espressa in gran parte dagli uomini, ma anche da alcune donne.

Photo by Samantha Sophia

Quelle che lei chiama le donne ancelle…

Le chiamo anche donne maschiliste, in alcuni casi uso anche il termine di suddite. C’è poi una parte del libro dedicata a quelle donne che una volta arrivate ai vertici non aiutano le altre donne, non credono al gioco di squadra, cercano di fare squadra solo con gli uomini o con il capo e sono di fatto delle nemiche delle altre donne, perché anche loro riproducono un comportamento maschilista.

Parliamo del maschilismo nella narrativa giornalistica, che spesso descrive in generi in base a vecchi stereotipi. Come chiedere costantemente alle donne se abbiano figli o abbiano intenzione di avere figli

O chiedere a una donna quali siano i suoi hobby anche se vince il premio Nobel…

Quanto si è consapevoli nelle redazioni di questa arretratezza e come se ne parla?

L’Ordine dei giornalisti ha creato carte deontologiche e di comportamento sul linguaggio, sono stati fatti corsi di formazione ma evidentemente bisogna continuare perché chi fa comunicazione ha una responsabilità in più, in quanto trasmette messaggi e modelli di comportamento. E questo riguarda non solo i giornali, ma anche la televisione e i programmi che vanno in onda. Non a caso nel mio libro ci sono anche delle lettere aperte a conduttori televisivi, conduttrici, autori, alcuni immaginari, altri reali.

Quali messaggio sbagliati passano, nelle trasmissioni televisive?

È chiaro che se io organizzo un parterre di tutti uomini, il messaggio che mando è che le donne non siano esperte dell’argomento di cui si parla.
Un’altra cosa che accade è invitare tanti uomini competenti e insieme a loro una bella donna che discute genericamente di qualunque cosa e il concetto che passa è sempre quello: le donne non sono esperte di nulla, non hanno competenze specifiche.
Oppure, se al centro di un programma c’è sempre un conduttore uomo circondato da donne, trasmetto il messaggio che chi comanda è l’uomo e le donne sono lì a fargli aria, a servirlo, a coccolarlo. Questo per quanto riguarda l’intrattenimento, che comunque è ciò che arriva in tutte le case. C’è poi il problema dell’informazione.

A questo proposito, lei nel libro fa riferimento anche all’emergenza Covid19 e in particolare agli esperti invitati in tv

Durante la pandemia, inizialmente, abbiamo visto solo facce di uomini. In seguito abbiamo scoperto che ci sono anche virologhe competenti, ma c’è voluto un po’ perché nelle task force venissero inserite anche delle donne e nelle trasmissioni intervenissero anche donne competenti. È chiaro che chi fa si occupa di comunicazione abbia delle responsabilità in più.

Recentemente abbiamo visto quanto è accaduto durante il programma “Detto fatto” e mi riferisco al tutorial su come fare la spesa in modo sexy. È stupefacente che una cosa del genere sia potuta passare in un programma del servizio pubblico, nel 2020. Io mi sono chiesta: ma a quegli autori non sono suonati dei campanelli d’allarme, mentre immaginavano quella scenetta?”. E poi: ma quelle due signore, la conduttrice e l’attrice che inscenava quello spettacolino pietoso, non hanno avuto il coraggio di protestare?

Io capisco che siano persone a contratto, ma non si può svendere la dignità a qualunque costo. Per questo non bisogna smettere di parlare dell’argomento e formare adeguatamente gli operatori di settore.

Kamala Harris, vice del neo-presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Photo by Gage Skidmore

A 75 anni dall’ingresso delle donne nella politica italiana, il quadro è ancora deprimente. Nessuna presidente del consiglio, nessuna donna nei ministeri cosiddetti “chiave”. Nel suo libro parla dei trucchetti con cui si ostacola e a volte si impedisce la presenza delle donne in politica. Di che si tratta?

La politica è un mondo in cui il maschilismo è molto presente e trasversale, lo si vede in tutto l’arco costituzionale.

Nel capitolo “Come riconoscere il maschilismo in politica” parlo di comportamenti maschilisti che mi sono fatta raccontare da parlamentari di vari schieramenti e che tendono a ripetersi: interrompere la collega quando prende la parola, non dare visibilità alle colleghe dello stesso partito o appropriarsi della visibilità frutto del loro lavoro, invitare ai convegni solo colleghi maschi, usare le donne come figurine senza far gestire loro alcun potere o circondarsi solo di donne gregarie e non protagoniste, per evitare di rimanere in ombra.

Altri comportamenti maschilisti sono affidare alle donne solo i ministeri della famiglia, affari sociali, ambiente, lavoro e pari opportunità e non farle mai arrivare a ricoprire i ministeri cosiddetti “importanti”. Noi non abbiamo mai avuto una ministra all’economia, ad esempio, ma d’altra parte nel libro dico anche che, nel mondo, in 190 paesi solo 27 donne sono alla guida dei ministeri dell’economia.

Una di loro è Janet Yellen, che Biden ha scelto come segretaria del tesoro e che è già stata presidente della Federal Reserve. Yellen era in un posto delicatissimo, cioè nel “forziere” degli Stati Uniti, e ora è al tesoro, in un ruolo altrettanto chiave. Noi non ci siamo ancora arrivati e non perché non ci siano economiste.

Nel libro lei parla anche di come viene aggirato il vincolo delle “quote rosa” in Parlamento.

Viene aggirato ad esempio candidando la stessa donna in più collegi, per cui, in caso di vittoria in più collegi dovrà lasciare automaticamente il posto al secondo in lista, che per via dell’alternanza è un uomo.

Un meccanismo diabolico

È diabolico, ma qui bisogna stare attenti, perché anche le donne non devono essere conniventi, non possono accettare un trucchetto concepito apposta per fare eleggere più uomini.

Nel libro lei chiama questa connivenza “fuoco amico”

Accettare di farsi candidare in più collegi significa in qualche modo far saltare la regola della parità. Perché tu sai che stando al gioco accetti di penalizzare le donne.

Parliamo di Incel e Redpillati, un fenomeno che nasce in communities online in cui si incolpa la società del fatto che alcuni uomini non riescano a trovare una partner o si pratica attivamente una misoginia ideologica

In Italia se ne parla poco, ma è un problema serio. In America e in Canada ci sono state delle stragi messe in atto da uomini che odiano le donne e si rifanno a un modello patriarcale imperniato sul dominio maschile.

Da noi si limitano a navigare nel web, più sottotraccia, non ci sono state stragi, per fortuna.
Le autorità canadesi e americane riconducono invece ormai questo fenomeno al terrorismo, perché alcuni gruppi si radicalizzano in rete e quando vengono compiuti attacchi contro le donne c’è in genere una rivendicazione. Ci sono state delle condanne con l’aggravante del terrorismo, come nel caso di un ragazzo che a febbraio del 2020 ha accoltellato a morte una donna. L’omicidio è stato considerato riconducibile ad attività terroristica ispirata dall’idologia incel. Lavorando al libro ho avuto modo di parlare di questo tema con Jonathan Lewis, ricercatore nel programma sull’estremismo della George Washington University.

Parliamo di uomini femministi, a cui lei dedica un’ampia porzione del suo libro. Fa anche un breve elenco di quelli che chiama “uomini nuovi”, proiettati in un futuro più giusto per tutti. Come sono questi uomini?

Alcuni sono politici, ma non italiani, per esempio Obama o Trudeau, che si dichiarano tranquillamente femministi e spiegano il perché. È molto difficile trovare un politico che si dichiari femminista in Italia. Qui al massimo dicono cose come “credo nella parità”, ma la parola “femminista” non viene mai usata.

Gli altri uomini di cui parlo sono molto diversi tra loro per età, storia personale e professione e secondo me ogni uomo che leggerà le interviste potrà trovare in loro riflessioni e risposte con cui identificarsi. La caratteristica che li unisce è aver fatto delle scelte controcorrente rispetto all’idea stereotipata su cosa sia un uomo, cosa debba fare e come debba comportarsi nella società. Ognuno di loro spiega quando è cambiato, chi ha determinato quel cambiamento e cosa è successo, da quel momento in poi.

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