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Un cane di nome Hitler – la storia dell’indagine più ridicola del Reich

Fra il 1940 e il 1941, è ragionevole pensare che il ministero degli Esteri tedesco avesse parecchio da fare. Il Reich aveva in programma di invadere l’Unione Sovietica e la macchina del potere nazista era impegnata a dispiegare tutta la propria forza per esercitare un dominio inflessibile su un impero che si riteneva destinato a crescere smisuratamente. Questo vuol dire forse che le autorità non avessero tempo per le idiozie? Assolutamente no. Mai si potrà accusare un potere dittatoriale di indulgere al senso dell’umorismo né di sottovalutare il potere del ridicolo o i pericoli della lesa maestà. Ed è per questo che, secondo quanto si evince da un documento scoperto negli archivi del Ministero stesso e pubblicato da diversi giornali tedeschi e internazionali qualche anno fa, in pieno conflitto e con il peso dell’odio mondiale sulle proprie spalle, uno dei ministeri chiave del Terzo Reich decise di occuparsi di un cane. Nello specifico, di un cane di nome Hitler.

D’altra parte, Hitler ai cani ci teneva particolarmente. È cosa nota che amasse il pastore tedesco Blondi così tanto da avvelenarlo con il cianuro prima di suicidarsi. Verrebbe quasi da pensare che, per il Führer, l’idea che qualcuno potesse mettere nome “Hitler” al proprio cane fosse un complimento (indipendentemente dal parere del cane), eppure non fu così.

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Adolf Hitler ed Eva Braun con i loro cani. Il pastore tedesco sulla destra è la celebre Blondi.

Tor Borg e il suo cane

Ad attirare le attenzioni del Ministero degli Esteri di Berlino, dell’Ambasciata tedesca a Helsinki, del Consolato tedesco nella città finlandese di Tampere, del Ministero dell’Economia del Reich, della Cancelleria presidenziale del Führer e della più grande azienda chimica del Reich, la IG Farben, fu il povero Tor Borg, quarantunenne dal senso dell’umorismo scarsamente teutonico. Borg non era un combattente, un partigiano, un membro della resistenza né un attivista politico. Era semplicemente il proprietario e gerente dell’azienda di famiglia, la Tampereeen Rohduskuppa Oy, che commerciava in prodotti farmaceutici. Borg, che aveva studiato in Germania, era sposato con la tedesca Josefine Neisius dal 1923 e la sua azienda aveva stretti rapporti commerciali con aziende chimiche tedesche, tra cui Merck e Bayer Leverkusen, quest’ultima facente parte del gruppo IG Farben. Si diceva che Borg e sua moglie non avessero simpatia per il nazionalsocialismo – ma d’altra parte questo tipo di illazioni giravano piuttosto facilmente, specialmente fuori dalla Germania.

Eppure, Borg aveva qualcosa in comune con il Cancelliere del Reich: amava gli animali. La famiglia Borg aveva infatti un cane, un incrocio di dalmata, nonché l’origine di una serie di speculazioni e problemi che causarono ai suoi padroni più di una notte insonne. Nel 1940, infatti, un anonimo, zelante sostenitore del regime fece arrivare al Ministero degli Esteri una soffiata degna della sceneggiatura di “Le vie del Signore sono finite”: l’imprenditore finlandese Tor Borg avrebbe chiamato il proprio cane “Hitler” e gli avrebbe insegnato ad alzare la zampa destra a comando, imitando il saluto nazista.

Per motivi ignoti, nessuno, nelle alte sfere del Reich, prese questo fatto come un complimento. Apparentemente, un cane straniero, per quanto residente in uno Stato amico del Reich, non poteva rispondere al nome Hitler e salutare a zampa tesa. Per questo fu lanciata un’indagine con tutti i crismi, che inizialmente coinvolse soprattutto le autorità diplomatiche tedesche in Finlandia, che evidentemente, in quel momento, non avevano letteralmente nient’altro di importante da fare.


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L’assurda indagine sul dalmata di nome Hitler

Se Borg avesse effettivamente voluto burlarsi del Führer non possiamo saperlo con certezza. Non c’è dubbio, però, che qualsiasi forma di ilarità deve averlo abbandonato il 22 gennaio del 41, quando fu convocato formalmente presso l’ambasciata tedesca a Helsinki per giustificare il proprio comportamento. L’imprenditore smentì di aver chiamato il cane con il nome “Hitler”, riconducendo il pettegolezzo, probabilmente, “a un episodio dell’estate del 1933, avvenuto solo nella mia cerchia familiare e senza secondi fini politici”. All’epoca, riferì Borg, sua moglie notò che il cane tendeva ad alzare la zampa in modo insolito e per questo ebbe l’idea di soprannominarlo “Hitler”. Giammai, assicurava tuttavia l’uomo, i Borg avrebbero voluto offendere il Reich in alcun modo né tantomeno, come insinuavano alcuni accusatori, Josefine avrebbe chiamato il cane Hitler perché “il suo abbaiare ricordava il Cancelliere del Reich”. Inutile dire che i nazisti, che quando sentivano odore di ridicolo non mollavano facilmente la presa, non si accontentarono delle scuse e delle smentite del cittadino finlandese e continuarono a indagare su di lui.

In un rapporto inviato a gennaio dal viceconsole tedesco Willy Erkelenz si legge che, alla fine, Borg aveva ammesso di aver chiamato il cane Hitler quando aveva un anno, ovvero otto anni prima (è ragionevole pensare che Borg volesse datare tale “oltraggio” a un periodo in cui la Germania non aveva potere sull’Europa e sulla Finlandia). Erkelenz, a quanto pare, si interrogava sul perché una questione del genere tornasse a galla dopo tanto tempo e, forte della capacità di distinguere le vere priorità del suo ruolo, continuò a indagare e a cercare testimoni che avessero incontrato il cane in questione. A nessuno, pare, venne in mente di mandare a chiamare il quadrupede per verificare se rispondesse o meno al nome di Hitler e se fosse capace di tendere la zampa destra a comando.

Il boicottaggio economico

Nonostante la difficoltà di comprovare un’accusa tanto ridicola, le cose per Borg cominciarono a mettersi piuttosto male. L’indefesso Erkelenz coinvolse nella questione anche il Ministero dell’Economia del Reich, poiché era inconcepibile che le aziende tedesche facessero affari con un uomo che si permetteva di mancare di rispetto al Führer. L’imprenditore finlandese rischiava di essere portato in tribunale anche nel proprio Paese, nonostante la presunta “offesa” riguardasse il Cancelliere tedesco, e divenne presto chiaro che le aziende tedesche avrebbero dovuto boicottare la sua impresa.

Dal momento che i delatori non scarseggiano mai in tempi di dittatura, verso la fine di gennaio 1941, alla Bayer Leverkusen spuntò un testimone. Si trattava di un certo Suchanek, il quale dichiarò di essere stato in visita di lavoro a Tampere e di essere andato a casa di Borg nel 1934 o 1935. In quell’occasione, avrebbe sentito i padroni di casa chiamare il cane con il nome del Führer. Nel riferire l’episodio, ovviamente, lo zelante Suchanek dichiarò di aver espresso tutto il suo vibrante sdegno per tale condotta irrispettosa, e che, inseguito al suo energico intervento, Borg aveva promesso di cambiare nome al suo animale domestico. Per non essere da meno, anche il viceconsole Erkelenz a Tampere produsse un testimone, provvidenzialmente anonimo, il quale avrebbe dichiarato “di aver visto e sentito il cane di Borg rispondere al nome Hitler e alzare la zampa” a comando in pubblico.

Una storia a lieto fine

Nel corso dell’indagine, prevedibilmente, emersero anche critiche alle opinioni politiche di Borg, il cui atteggiamento filo-tedesco venne messo in dubbio. Sembra infatti che, in passato, l’imprenditore avesse manifestato scarsa aderenza agli ideali nazionalsocialisti. La Bayer, enfaticamente filo-nazista, si dichiarò quindi pronta a boicottare l’azienda di Tampere fino ad annichilirla, purché si trovasse un altro modo di garantire la distribuzione dei prodotti Bayer in Finlandia.

Il Ministero degli Esteri di Berlino, intanto, era intento a verificare se ci fossero abbastanza testimoni per portare Tor Borg a processo in un tribunale finlandese. Per somma fortuna di Borg, il testimone anonimo prodotto dal viceconsole non poteva essere di alcuna utilità in un vero processo. Nel frattempo, un altro testimone ritirò le proprie dichiarazioni e perfino il fido Suchanek, della Bayer Leverkusen, non è più così sicuro di ricordare l’episodio del “cane Hitler” e della sua zampa alzata. Alla fine, per fortuna del povero imprenditore finlandese, la questione fu chiusa senza ulteriori conseguenze. Di lui si sa che sopravvisse alla seconda guerra mondiale e che il suo amore per gli animali non fu offuscato dall’incresciosa questione. Dopo la serena dipartita di Hitler (il cane), Tor Borg acquistò un cocker spaniel, che chiamò Jackie. Tor Borg morì nel 1959 all’età di 60 anni. La sua azienda che ha cambiato nome in Tamro, divenne il principale grossista di prodotti farmaceutici del Nord Europa.

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