Licenziato per gli insulti sul gruppo WhatsApp: il tribunale del lavoro conferma

WhatsApp

Le chat private di gruppo su piattaforme come WhatsApp sono generalmente considerate zone franche, dove ci si esprime molto liberamente – spesso anche in modi meno rispettosi di quanto non si farebbe in un contesto pubblico. Tuttavia, recenti sviluppi legali, in Germania, mettono in luce quanto questo senso di “sicurezza” nell’alzare i toni della comunicazione rischi di essere fallace. In particolare, la Corte federale del lavoro ha stabilito giovedì, a Erfurt (caso 2 AZR 17/23), che gli insulti e le dichiarazioni offensive rivolte a colleghi o superiori in gruppi WhatsApp possono avere conseguenze gravi, persino fino al licenziamento, se il loro contenuto diventa pubblico.

Insulti sessisti e xenofobi nel gruppo WhatsApp dei colleghi: dipendente licenziato in tronco

Secondo quanto deliberato dalla corte dopo la denuncia di un dipendente licenziato per questo motivo, i membri di gruppi di chat chiusi sulle piattaforme online possono contare sulla protezione della riservatezza solo in casi eccezionali, specie in presenza di commenti razzisti o insulti rivolti ai colleghi di lavoro. Il tribunale ha chiarito che, in questi casi, il licenziamento senza preavviso è una delle possibili conseguenze alle quali il dipendente può andare incontro, se il contenuto delle conversazioni viene divulgato.

Questo principio è stato applicato in un caso che coinvolgeva un gruppo WhatsApp presso la filiale dell’operatore turistico Tui Tuifly in Bassa Sassonia. A ricorrere al tribunale è stato un ex dipendente, che, quando lavorava per Tui, faceva parte di un gruppo di chat WhatsApp con altri cinque colleghi. Il gruppo esisteva dal 2014 ed era un’arena informale dove i cinque, che erano amici di lunga, si scambiavano messaggi. Due dei membri erano fratelli. Nel novembre 2020, un altro ex collega si è aggiunto al gruppo. Tuttavia, quando sono sorti conflitti sul posto di lavoro, i toni si sono repentinamente alzati. Insulti xenofobi e sessisti a colleghi e supervisori, oltre a dichiarazioni nelle quali si vagheggiava di possibili azioni violente, sono comparsi nella chat. La situazione è precipitata quando questi messaggi sono arrivati sotto gli occhi del datore di lavoro, il quale ha licenziato senza preavviso l’autore dei commenti.

Il dipendente, a questo punto, ha sollevato una controversia legale in merito alla violazione della riservatezza della comunicazione protetta, sostenendo che la chat era destinata esclusivamente a conversazioni private e il datore di lavoro non fosse autorizzato a utilizzarla come motivo di licenziamento.

Il Tribunale federale del lavoro, però, gli ha dato torto. La corte ha stabilito che tale riservatezza si sarebbe potuta invocare solo se il dipendente avesse potuto ragionevolmente presumere che la chat sarebbe rimasta sempre riservata.


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I giudici di Erfurt, comunque, hanno rimesso il caso al Tribunale del lavoro della Bassa Sassonia per ulteriori valutazioni. Il tribunale dovrà stabilire se il dipendente poteva effettivamente aspettarsi che la riservatezza fosse mantenuta, considerando la natura delle chat di WhatsApp, la dimensione del gruppo, l’identità dei membri e i rapporti fra di loro, nonché il diverso grado di partecipazione di ognuno alle conversazioni.

Il tema è più complesso di quanto non sembri. È la prima volta che il più alto tribunale del lavoro tedesco affronta la questione del livello di confidenzialità che si può applicare a un piccolo gruppo Whatsapp, specialmente in merito a dichiarazioni che, se fatte in pubblico, sarebbero gravemente offensive e sanzionabili. La giurisprudenza sulle dichiarazioni diffamatorie nei gruppi chiusi dei servizi di messaggistica è ancora relativamente poco sviluppata, non solo in Germania, ma a livello internazionale.

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