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“Barbie”, un’insalata troppo mista… ma se fa arrabbiare gli intolleranti va bene lo stesso

Avete presente quando vi sbagliano la gradazione degli occhiali e provate un alienante senso di vertigine? Guardare “Barbie”, con Margot Robbie e Ryan Gosling, per la regia di Greta Gerwig, mi ha fatto lo stesso effetto. Fin dall’incipit ho avuto l’impressione che il film mi disorientasse e fino all’ultimo ho faticato a capire dove volesse andare a parare. Era come se ci fosse sempre qualcosa di sbagliato e questo ha creato una distanza che mi ha impedito di immergermi davvero nella storia.

“Barbie”, il film di cui tutti parlano, ma che nessun è sicuro di aver capito

Intanto non si capisce il pubblico di riferimento. Da un lato ci sono slapstick e personaggi dai tratti esasperati, come nei cartoni, dall’altro speculazioni sul senso della vita e sulle contraddizioni della società contemporanea. Troppo infantile per poter essere un film solo per adulti e troppo complesso per poter essere destinato solo ai bambini, “Barbie” finisce per far sentire tutti un po’ spaesati. A parte questo, c’è tanta di quella carne a cuocere da superare le ambizioni di un barbecue di ferragosto.

“Barbie” è infatti un film sull’emancipazione femminile e sugli effetti del patriarcato sulla società contemporanea, sul rapporto tra la realtà e la fantasia, sulla crisi di identità di Barbie, di Ken e del loro legame, sulla scelta di Barbie di diventare umana e quindi mortale, nell direzione indicata dal “Pinocchio” di Guillermo del Toro, ma anche sulla storia della donna che ha causato lo scompiglio nel mondo creato da Mattel, perché è in crisi anche lei. Parliamo di Gloria, madre di una figlia ribelle che in realtà si ammorbidisce rapidamente, perché il film è talmente pieno di linee narrative che restano abbozzate le principali, figurarsi le secondarie.

Margot Robbie. Gage Skidmore from Peoria, AZ, United States of America, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons

Anche stilisticamente, non si sceglie mai un vero e proprio registro. Si parte con la satira pop e nel giro di qualche scena c’è Ken che si infrange sulle onde finte con un effetto comico vietato ai maggiori di otto anni. Con Barbie Stramba c’è un’apertura fantasy, che ci fa precipitare in una sorta di tana del Bianconiglio, mentre l’incursione nel mondo reale si chiude con una sequenza puramente fisica di inseguimenti rocamboleschi. La parte sul “regno dei Ken”, anche quella ambiziosa e incompleta, sfocia infine in un’inspiegabile scena da musical, a circa tre quarti del film, in cui i Ken cantano muovendosi all’interno di un setting concettuale alla “Cremaster”. E facendo rivivere un po’ lo stesso tipo di trauma.

Che cosa stiamo guardando esattamente?

Il vero problema di “Barbie” è l’eccessiva ambizione, banalmente, il voler dire troppo. Tutto rimane superficiale e calare dall’alto delle prediche a caso non aggiunge profondità. È tutto molto ben scritto, ma niente è contestualizzato e quindi l’effetto finale è sterilmente didascalico e lascia più perplessi che motivati.

L’impressione generale è che il film sia un gigantesco product placement con una grande opinione di sé. Sicuramente curatissimo ed esteticamente perfetto, finisce però per essere esattamente come Barbie: soprattutto famoso.

Non aiuta il clima da arena che lo ha accolto sin dal suo lancio e ha trasformato il confronto, come accade da qualche anno a questa parte, nel solito noiosissimo scontro tra chi si aspetta che un’opera cambi il mondo prima ancora di aver visto di che si tratta e chi si sente male ogni volta che si prospetta la possibilità che qualcosa possa cambiare. Gli appartenenti a quest’ultima categoria, in particolare, si stanno distinguendo per la disperata aggressività delle reazioni.

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Greta Gerwig. Martin Kraft, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Intanto i conservatori reagiscono come se Greta Gerwig fosse Valerie Solanas

Diversi conservatori di successo hanno fatto video o rilasciato dichiarazioni per precisare quanto trovino “Barbie” un film esecrabile. Il giornalista britannico Piers Morgan lo ha definito un insulto e un attacco verso tutti gli uomini e si è lamentato del fatto che i maschi vengano rappresentati come degli zerbini. Notevole. Notevole è il fatto che una rappresentazione grottesca della “tribù dei Ken”, coerente con un mondo FINTO in cui Barbie è l’unica star, sconvolga chi non ha battuto ciglio quando, per decenni, le donne sono state usate dalla pubblicità come esche seminude per far comprare automobili, alcolici e siliconi sigillanti, oppure rappresentate sullo schermo come oche imbarazzanti e servizievoli. Qualcuno ha mai sentito protestare Morgan a riguardo? Io no.

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Andiamo avanti con le esternazioni dei conservatori. Ginger Luckey Gaetz, moglie 26enne del parlamentare repubblicano Matt Gaetz, ha lamentato su Twitter “lo scarso livello di testosterone di Ken”. Fox News, pilastro della destra americana, ha invece dato voce a esponenti di gruppi religiosi, che parlano del film come di un tentativo di allontanare le persone dalla fede e da una società tradizionale e sana, in cui le donne non hanno grilli per la testa e tutti sono felici e devoti.

Il commentatore Ben Shapiro ha fatto addirittura tre video, per dire al mondo quanto è arrabbiato a riguardo. Nel primo dà fuoco a una Barbie e poi si produce in un ranting di 43 minuti sul fatto che il film sia uno sproloquio femminista, con lo scopo di allontanare le donne dagli uomini. Nel secondo parla di come ha reagito al modo in cui le persone hanno reagito al suo primo video. Nel terzo dibatte con un’altra commentatrice, a cui invece il film è piaciuto. Un uomo senza pace, il cui sonno è stato definitivamente compromesso da un film su una bambola senza genitali.

Stanare gli intolleranti: forse “Barbie” ci serve a questo

Sulla stessa scia, moltissime persone continuano ad attaccare non tanto il film, operazione legittima in relazione a ogni prodotto culturale, ma l’idea stessa che si possa parlare di nuove istanze, soprattutto quelle che sono state a lungo soffocate da una narrazione dominante.

A colpirmi è proprio questa levata di scudi. A mobilitarsi contro “Barbie”, prima ancora che uscisse nelle sale, sono state in gran parte le persone che ora attaccano la Biancaneve ispanica del film che uscirà nel 2024, ma che non hanno problemi con la versione Disney del 1937, che ha modificato radicalmente la fiaba dei Grimm, che a sua volta aveva stravolto la versione della tradizione orale tedesca con ben sette rimaneggiamenti. Chissà come mai.

Insomma, il film “Barbie” è per molti un’insalata troppo mista, un’operazione commerciale che fatica a diventare intellettuale e che forse si appropria, in modo anche un po’ ruffiano, di battaglie che non ha combattuto.


biancaneve

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Se però fa infuriare così tanto chi non sopporta sentir parlare di parità di genere o perde il sonno se un personaggio delle fiabe subisce un incremento di melanina, allora forse è anche una cartina di tornasole. Solo annunciando la sua dichiarazione di intenti, infatti, il film di Gerwig ha fatto venire allo scoperto la parte più intollerante della società, quella disposta a salire sulle barricate, pur di ostacolare i cambiamenti che mettono a rischio le forme tradizionali del potere. In ultima istanza, quindi, “Barbie” ci aiuta a vedere e quindi a capire. Obiettivo raggiunto.

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