“The Woddafucka Thing”, questa è Berlino oggi. Intervista a Gianluca Vallero e Carlo Loiudice
“The Woddafucka Thing” è il primo lungometraggio di Gianluca Vallero, regista e speaker piemontese, a Berlino fin dalla fine degli anni ottanta. Presentato in anteprima mondiale nell’aprile del 2023, il film ha vinto il primo premio nella categoria “miglior produzione in lingua tedesca” al Filmfest di Brema. Parla di Berlino e del suo mondo cosmopolita, vibrante e ostico, in cui si muovono personaggi singolari e storie che si accavallano, con lo stesso ritmo con cui pulsa il cuore della città.
Abbiamo intervistato Gianluca Vallero e Carlo Loiudice, uno degli attori protagonisti.
Ciao Gianluca, ti abbiamo intervistato in pandemia e ti abbiamo ritrovato a presentare in anteprima mondiale il tuo primo lungometraggio al Filmfest di Brema. Complimenti! Parlaci di “The Woddafucka Thing”. Com’è nato e di cosa parla?
“The Woddafucka Thing” è uno spaccato della Berlino underground, la Berlino che si muove sotto il famoso “cielo di Wenders”, regista che mi ha fatto innamorare di questa città.
È la storia di un incontro casuale e dell’inizio di un’avventura. Quello tra Sweetie, la protagonista interpretata da Dela Debulamanzi e Gino e Ninja, rispettivamente interpretati da Carlo Loiudice e Marc Philipps.
Questi tre personaggi sono mossi dalla paura di non farcela e pertanto non esitano a ricorrere a qualche espediente, pur di sopravvivere nella giungla urbana berlinese, ma non sono del tutto malvagi. Celano una grande umanità e il loro incedere risponde a dei principi etici ben precisi, seppur discutibili.
Il film ha vinto nella categoria “Miglior produzione in lingua tedesca”. Molto banalmente, te lo aspettavi? E cosa pensi sia stato apprezzato?
Quando si partecipa ad un Festival, qualche aspettativa la si nutre, ma davvero non mi aspettavo che, tra tanti film in concorso, avremmo vinto il primo premio. È stato per me, e per noi tutti, il riconoscimento di un percorso lungo sei anni e fatto di mille ostacoli, ma che ci ha portato a fare un film forse difficilmente classificabile, ma che ha un carattere forte e riconoscibile.
Al party post premiazione, i giurati ci hanno raccontato che sono stati subito colpiti dal film: “questa è Berlino oggi” si sono detti.
Berlino è nell’immaginario di molti registi. Che Berlino hai scelto di raccontare, tu? Che volto ha?
Sono arrivato a Berlino quando ancora c’era il Muro ed ho visto questa città cambiare di giorno in giorno. Nel film non la racconto, però, con occhio nostalgico, con quella narrazione tipica di chi si lamenta del presente. Al contrario. La mia è un’istantanea in bianco e nero di quello che è oggi la città. “The Woddafucka Thing”, in maniera comica e un po’ grottesca, è uno sguardo attento della Kreuzberg e della Neukölln contemporanee e anche di alcuni quartieri dell’Est, i cui palazzi a breve scompariranno, per far spazio ai nuovi grattacieli.
Il regista documentarista Marino Bronzino ha realizzato un making of (reperibile su You Tube) che racconta tutto questo nel dettaglio. È un ottimo antipasto prima del film.
Carlo, raccontaci il tuo personaggio, Gino. Chi è e che fa? E come hai lavorato alla sua costruzione?
Gino è il coprotagonista del film ed è un personaggio che vive la sensazione di essere stato abbandonato in una città che non riesce a sentire sua fino in fondo. È figlio di un padre italiano che non ha mai conosciuto e di cui si è costruito un’immagine idealizzata e poco attendibile, attraverso i racconti della madre. Là si cela un segreto che come attore non svelerò mai al pubblico, ma che è un espediente fondamentale per dare tridimensionalità al personaggio.
Gino ha inoltre un fratello che è molto diverso da lui. È una figura misteriosa ed enigmatica ed è il suo unico legame di sangue. Gino vive una situazione economica e lavorativa precaria e soprattutto, come tanti expat oggi a Berlino, conosce poco il tedesco.
Il tuo personaggio non riesce a pagare l’affitto. Al di là del registro comico del film, pensi che Berlino abbia un problema, da questo punto di vista?
Il problema affitti a Berlino è diventato “Das Problem”, il problema principale. Una stanza costa oggi più di quanto costasse un monolocale cinque anni fa. Questo è purtroppo un fenomeno che coinvolge molte città anche italiane, basti pensare a Milano.
Un tempo Berlino era un posto accogliente, sotto questo punto di vista, ora sembra che a volte ti respinga e che ti costringa a dover andare via. Questo è esattamente quello che nel film vivono Gino e Ninja, costretti come sono a lottare contro le grandi agenzie immobiliari che posseggono la città.
Com’è stata la tua esperienza del set? Come hai interagito con gli altri protagonisti? E cosa ti ha lasciato “The Woddafucka Thing”?
Girare questo film è stata un’avventura incredibile. Abbiamo impiegato due anni per le riprese, perché Gianluca ha deciso di girare il film, nonostante non avesse reperito alcun finanziamento.
Abbiamo girato blocchi di quattro, cinque giorni, ogni due o tre mesi. Puoi immaginare cosa significhi, per un attore, tornare a Berlino, spesso dopo una tournée teatrale in Italia, e vestire nuovamente i panni di un personaggio lasciato mesi prima chissà dove (dato che i film non vengono girati secondo la sequenza temporale). Ho dovuto tenere il doppio taglio ai capelli per tutto il periodo, temendo, tutte le volte, che il barbiere mi sbagliasse il taglio.
Nel periodo delle riprese Gianluca è stato un ottimo coach. Ci ha guidato con molta pazienza nel riprendere il filo narrativo ed emozionale dei personaggi. Ho trovato colleghi molto generosi e una troupe che ha lavorato con grande attenzione ad ogni particolare.
“The Woddafucka Thing” segna il momento più bello della mia carriera di oltre venticinque anni d’attore. E poi il giorno della premiazione al Bremen FilmFest… quello lo porterò per sempre nel cuore.
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