Ieri sera, ha avuto luogo a Dortmund l’evento in presenza “Storie da urlo – fai sentire la tua voce”, organizzato dal Comites Dortmund e sostenuto dal Consolato, in collaborazione con Ital-UIL Germania e il quotidiano online per italiani in Germania “Il Mitte”.
L’evento si collega a un fortunatissimo ciclo nato nel 2020, con il progetto editoriale “Un Urlo ci salverà – 10 storie da urlo di italiane in Germania” e andato avanti con “Donne da urlo – Grandi storie di italiane all’estero”. Potere vedere qui sotto il video della serata.
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Storie da Urlo – Fai sentire la tua voce!
La serata è stata presentata da Lucia Conti, coeditrice del Mitte, e ha visto intervenire una serie di ospiti, che si sono avvicendate nella sala Parzelle del complesso Depot, per l’occasione abbellita dai ritratti delle 10 donne protagoniste del libro “Un urlo ci salverà”, realizzati dal duo di streetartist Lediseis.
Due di questi ritratti, hanno “magicamente” preso vita all’inizio della serata. Luciana Caglioti, attrice e giornalista, ha infatti guadagnato la scena, in carne ed ossa, come prima ospite della serata, declinando il tema dell’evento in rapporto alla sua esperienza.
Un corpo che non va mai bene e per le donne ruoli stereotipati
Luciana Caglioti ha ricordato come il cinema oggettifichi il corpo delle donne ogni volta che può (il regista di un film in costume, quando era giovanissima, le chiedeva addirittura di respirare in modo da evidenziare il seno), e contemporaneamente proponga alle donne ruoli incastonati nell’eterno quadro narrativo della famiglia borghese basata sugli stereotipi.
Da giovanissime, le attrici possono essere, sullo schermo, figlie modello, problematiche o seduttive, per poi diventare nel tempo “mogli e madri”, con la variante della madre-coraggio o degenere e della moglie “cornuta”, magari in conflitto con un marito che ha scelto una donna più giovane (“un grande classico” ha sottolineato Lucia Conti), occasionalmente cognate e infine, raggiunta un’età più avanzata, nonne con i capelli d’argento o di neve, accoglienti e fulcro della famiglia oppure matte e imprevedibili, in senso macchiettistico. Caglioti su questo non ha dubbi: non si esce dall’affresco familistico piccolo-borghese, che reitera le dinamiche patriarcali.
Sul piano giornalistico, l’ospite ha sottolineato la difficoltà, per le donne, di conquistare ruoli di potere. I direttori dei principali quotidiani sono quasi tutti uomini (le donne sono spesso “vice”, ha ricordato Lucia Conti ironizzando) e alle giornaliste si continua comunque a imporre di coltivare l’ossessione dell’aspertto fisico, on riferimento diretto al caso di Giovanna Botteri, in prima linea in Cina, nel momento massimo panico legato allla pandemia, e tuttavia bersagliata da critiche per il suo aspetto “poco curato”.
Elisa Occhipinti: “Premio Strega: solo 11 vincitrici dal 1947”
La seconda ospite è stata Elisa Occhipinti, scrittrice, accademica ed esperta di letteratura. Elisa ha raccontato episodi che la riguardano direttamente e che le hanno dato la misura della disparità di genere che ancora si registra all’interno della società. Ha ricordato ad esempio di quando un collega la presentò, in un’occasione pubblica in cui era presente come esponente del contesto culturale italiano, come “la moglie di…”. “Sono rimasta basita, perché questa persona conosceva benissimo il mio lavoro” ha commentato Occhipinti, che ha anche parlato di come la disparità agisca all’interno del suo contesto professionale
Sempre in ambito accademico, l’ospite ha ricordato come, al di là delle maggiori difficoltà incontrate nel far carriera, e qui torna il discorso dell’accesso alle top position, alle donne si tenda a diminuire il grado, agli uomini ad aumentarlo. “Ho incontrato docenti che diventavano magicamente ‘professori‘ e professoresse che venivano chiamate ‘signora‘”, ha spiegato. Per quanto riguarda la letteratura, “le donne non fanno particolare fatica ad essere pubblicate, ma vengono recensite con più difficoltà”. Occhipinti ha inoltre sottolineato come, per le donne, sia molto più difficile anche accedere ai premi letterari “che contano”, senza contare il fatto che non li vincano quasi mai: “da quando è stato istituito il premio Strega e quindi dal 1947, hanno vinto solo 11 donne”. Sicuramente uno squilibrio pesantissimo.
“Siete andati tutti a scuola, avete tutti studiato la storia della letteratura: quante donne avete incontrato, sui vostri libri di testo?” ha rilanciato Lucia Conti, rivolgendosi alla sala. Considerando che le donne sono sempre state la metà della popolazione mondiale, l’inevitabile risposta è sconfortante. A questo proposito Elisa Occhipinti ha ricordato alcuni nomi di letterate sottratte al buio di un minore riconoscimento: dalle più note, come Sibilla Aleramo ed Elsa Morante, comunque “condannata” dal continuo riferimento alla sua relazione sentimentale con Moravia, alle meno note, come Renata Viganò e Anna Maria Ortese, per arrivare infine alle autrici di nuova generazione, tra le quali Marilù Oliva, Simona Baldelli e Nadia Terranova.
Laura Neboli: lottare come leonesse ai limiti delle possibilità fisiche
È stato quindi il momento dell’atleta Laura Neboli, ex calciatrice di serie A e attualmente allenatrice e responsabile per le pari opportunità per un noto istituto di credito tedesco. Il calcio è forse l’ambito in cui la disparità di genere emerge di più e la storia di Laura ne è stata la prova. Come atleta di serie A, all’inizio dei 2000, percepiva solo 300 euro al mese e il padre doveva accompagnarla ad allenarsi in un’altra regione quattro o cinque volte a settimana, affrontando quindi ingenti spese non rimborsate. Anche solo un quattordicenne destinato alla serie A, invece, normalmente ha già il procuratore, contratti con compensi importanti, fisioterapista e la possibilità di dedicarsi solo al calcio.
Con il tempo Laura è arrivata a percepire fino a 1500 euro al mese (comunque una miseria, rispetto ai colleghi maschi), ma le difficoltà sono sempre state tante. Compensi minori e spese continue costringono infatti le atlete a trovarsi anche un altro lavoro, ad allenarsi nel tempo libero, a non riposare, a mangiare di corsa, senza seguire il regime alimentare necessario prescritto. Questo le è accaduto anche in Germania, Paese in cui si è in seguito trasferita: “Mi svegliavo alle cinque del mattino, andavo ad allenarmi, lavoravo otto ore, dopo il lavoro mi allenavo. Giocavo in prima Bundesliga”. “Come hai fatto a resistere?” ha chiesto Lucia Conti. “Perché sono una donna” ha sorriso Neboli.
Lucia Conti e Angela Fiore: le donne nell’editoria
“È ora giunto il nostro momento e di parlare della nostra storia” ha detto Lucia Conti invitando sul palco Angela Fiore, coeditrice insieme a lei del quotidiano online per italiani in Germania “Il Mitte”. Conti ha sottolineato come il mondo dell’editoria sia a tal punto dominato dagli uomini da non riuscire neanche a pronunciare la parola editrice.
“Non è difficile, siamo le proprietarie del giornale e quindi siamo le editrici” ha spiegato, spiegando tuttavia che molte persone attribuiscano a entrambe ogni possibile qualifica, tranne quella giusta. Assistenti, collaboratrici, le “ragazze” del Mitte (“i precedenti editori erano più giovani di me, ma nessuno li ha mai chiamati ragazzi” ha precisato Conti), frasi come “se non sbaglio lavori per Il Mitte”, “con chi dobbiamo parlare per fare una proposta al Mitte?”, “ma prima di te c’era un uomo!”, per arrivare all’allucinante “ovviamente i vostri mariti vi aiutano, con questa storia del giornale!”. Ancora una volta, appare complicato associare una donna a una posizione di vertice, mentre appare facile e “intuitivo” associare un uomo a una posizione di comando.
Angela Fiore ha raccontato invece alcuni aneddoti tragicomici, legati a come il mondo le abbia ricordato che essere una donna, in alcuni casi, può costituire un problema. Da quando, a un colloquio di lavoro, le preferirono un diciannovenne privo di esperienza perché “mi fido di più di un uomo”, a quando lavorava nell’organizzazione di concerti e un gruppo di altri organizzatori cercarono paternalisticamente di spiegarle dettagli ovvi del suo lavoro, nella stessa occasione in cui lei notava, invece, che conoscevano talmente male la mega-band di cui avrebbero dovuto organizzare l’after-show da scriverne il nome così: The Pesc Mod.
Valentina Piano: carriera o famiglia? La pressione sulle donne nella scienza
È stato quindi il momento di Valentina Piano, biologa e ricercatrice prima presso il prestigioso Max Planck Institut di Dortmund e attualmente group leader presso l’Università di Colonia, dove si occupa di ricerca legata alle malattia genetiche in qualità di group leader. Uno dei principali problemi lamentati da Valentina, che è stata anche gender equality officer nel suo ambiente di lavoro, è proprio la pressione esercitata sulle donne in relazione alla possibilità che possano trovarsi a scegliere tra carriera e famiglia.
Il campo di Valentina richiede un impegno pressoché costante e ogni anno è prezioso, se ci si vuole affermare. La mancanza di sostegno, nel caso in cui una donna decida di avere figli, la porta a essere inevitabilmente tagliata fuori, quando diventa madre. E quindi a dover scegliere tra carriera e famiglia, situazione atroce in cui gli uomini non si trovano mai.
L’impegno di Valentina sul campo continua, con determinazione e lo sguardo rivolto alle donne di scienza che ce la stanno facendo e ce l’hanno fatta e che spesso si trovano a essere ricondotte, anche dai media, all’interno della stessa dinamica distorta. Un esempio tra tutti, quello di Samantha Cristoforetti, eccellente capo-missione a cui tutti chiedono come faccia a gestire la prole.
Gioacchino Di Vita e l’omaggio a Marilena Rossi
È salito quindi sul palco Gioacchino Di Vita, presidente del Comites di Dortmund, che tanto si è speso per rendere “Storie da urlo” un evento curato in ogni minimo dettaglio.
“Vorrei usare questo spazio per ringraziare una donna in particolare e per fare questo farò con voi un gioco… ricordate ‘Indovina chi?’” ha esordito Di Vita, rilanciando con grande divertimento del pubblico un famosissimo gioco che molte persone ricordano. Il presidente del Comites ha fatto prima alzare tutti in piedi e poi ha cominciato a enunciare una serie di caratteristiche della “donna misteriosa”, esortando le persone che non rientravano nella descrizione a sedersi: “questa donna è nata in Italia tra gli anni cinquanta, sessanta e settanta… lavora a stretto contatto con stranieri… è o è stata membro Comites”. A quel punto il “personaggio misterioso” è stato rivelato e sul palco è stata invitata Marilena Rossi, che è stata omaggiata di una targa e di un quadro contenente una biografia, con menzione dei suoi traguardi più importanti.
Anche Lucia Conti ha ribadito i ringraziamenti di Gioacchino Di Vita, nel riconoscimento del lavoro di Marilena Rossi a fianco di pensionati, donne, giovani e della comunità italiana in Germania, con Ital-UIL Germania, nella promozione della lingua madre e dell’identità culturale degli italiani all’estero e in relazione alle bellissime iniziative da lei lanciate come ex presidente Comites: il libro “Un Urlo ci salverà”, il podcast e talk show “Donne da Urlo” e lo stesso evento “Storie da Urlo”, in sinergia con il nuovo Comites guidato da Gioacchino Di Vita.
Il gran finale di “Storie da Urlo”: il quadro interattivo e il monologo di Morena Rossi
A questo punto, come undicesima opera, da aggiungere idealmente ai dieci ritratti delle Lediesis presenti sulle pareti della location, è stato fatto entrare un tabellone sul quale alcuni dei presenti avevano scritto, già prima dell’inizio della serata, i loro pensieri sul tema affrontato. A leggerli e a chiudere l’evento con un monologo, toccante e divertente al tempo stesso, è stata Morena Rossi, scrittrice, autrice e conduttrice, nonché presidente dell’associazione di promozione sociale “Donne all’ultimo Grido”.
Morena ha parlato del “concetto di cura” come di primo segno di civiltà in una cultura. Questo primo segno di civiltà, secondo l’antropologa Margareth Mead, non fu un manufatto, ma un femore rotto e poi guarito. Nessun animale sopravvive, in natura, a un femore rotto. Prendersi cura di qualcuno in difficoltà finché non si è rimesso, invece, ha consentito agli uomini di divenire civili. La domanda che però Morena si è posta e ha posto al pubblico in aggiunta a questo primo rilievo è: quanto le donne, sempre propense ad accudire, si prendono cura di loro stesse? Quanto si consentono di stare male, di essere fragili, di essere stanche, di non farcela più, di sottrarsi all’impegno estenuante del cosiddetto “caring”, a cui sembrano destinate?
Parlando di medicina di genere, della tendenza delle donne a sopportare anche più di quanto dovrebbero, ma anche di arte, introspezione e rapporti umani, Morena ha poi ripercorso la storia di un genere, quello femminile, a cui viene richiesto “il doppio dello sforzo per avere la metà dei riconoscimenti”, ma anche di trattenersi, di non lasciarsi andare, di sopportare per non essere considerate deboli.
Dopo aver letto alcuni dei post-it approdati sul tabellone (“Urla che ti passa”, “Se non esprimi quello che vuoi, nessuno ti potrà aiutare”, “Ma come, sei bionda e leggi Kafka?”, “Rivendico il diritto di essere stanca” e altri) Morena Rossi ha concluso l’evento con il “marchio di fabbrica” della sua associazione: l’urlo. In precedenza erano stati distribuiti al pubblico alcuni sacchetti con all’interno dei gadget. Rossi ha chiesto a ciascuno di urlare nel sacchetto un bisogno, un desiderio o una frase catartica, per poi chiuderlo e portarselo idealmente sempre dietro. Non ci sono dubbi: l’urlo gioioso e liberatorio della sala è stato la conclusione perfetta della serata “Storie da Urlo, fai sentire la tua voce”.