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Libri, i consigli del Mitte: “Lettere dalla Kirghisia” di Silvano Agosti

Che senso ha lavorare dodici ore al giorno per avere più soldi e potersi permettere una vacanza in cui sentirsi “obbligati” a riposare perché si è lavorato tanto tutto l’anno? O peggio ancora vendersi a un datore di lavoro disonesto per essere sottopagati, infelici e frustrati? Che senso ha vivere in una società che ci fa sentire costretti a trovare un lavoro per non morire di fame, anche se fa star male, anche se costringe a curarsi dai malanni che esso stesso ci causa? Queste sono alcune delle domande che Agosti si pone e pone ai lettori.

Liberi e liberati dall’obbligo di lavorare: un Paese diverso

Lo scopo dello scrittore è quello di suscitare delle riflessioni su tematiche importanti, centrali. Agosti è infatti convinto del fatto che solo un’umanità liberata dall’obbligo di lavorare per guadagnare sempre di più è veramente felice e più produttiva. A questo scopo scrive delle testimonianze da un luogo da lui stesso scoperto per caso: la Kirghisia.

L’autore si rivolge ai lettori con delle lettere, nelle quali racconta le incredibili scoperte fatte in questo piccolo paesino sperduto nel cuore dell’Asia. Il fulcro di questa società è l’essere umano con i suoi desideri e le sue necessità e non un’economia che fagocita i lavoratori. Qui la giornata lavorativa è di sole tre ore e tutti hanno diritto a un pasto gratuito al giorno, finanziato con i soldi un tempo destinati a tribunali, armi, prigioni, guardie, polizia, politici etc..

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Lake Son Kol, Kirghisia. Benjamin Goetzinger, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

Kirghisia: magnifico miraggio o vera alternativa al modello occidentale?

In Kirghisia i rapporti umani sono completamente nuovi, non esistono tensioni sociali, nevrosi, depressioni, insoddisfazione. Non c’è mai traffico, nessuno va di fretta e tutti hanno ben ventuno ore giornaliere da dedicare a se stessi e agli altri, alla propria serenità e quella di amici, familiari e vicini di casa. I politici non sono corrotti perché sono volontari. Si va a scuola nei parchi chiamati “valli della vita”, dove si gioca e si impara piuttosto che studiare. Invece che leggi ci sono consuetudini, basate sulla convinzione che ognuno è premiato o punito per ciò che è: se si è ladri, la punizione è già l’essere un ladro, se si mente, la punizione è già l’essere un bugiardo. La patria non è la terra per cui morire, ma il popolo stesso, che non è sacrificabile per la patria e anzi con essa coincide.

La Kirghisia è una società senza accumuli inutili di ricchezze né sprechi, senza potere e senza crimine e quasi senza malattie, perché tutti si nutrono in modo sano e nessuno beve, fuma, si droga. Gli ospedali sono di conseguenza quasi vuoti e i medicinali restano invenduti sugli scaffali.


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Molti lettori trovano le testimonianze di Agosti davvero incredibili e si dicono ammirati. Altri invece restano freddi, distanti e stentano a credere che una tale organizzazione della società possa davvero esistere. L’autore interpreta tale resistenza come una testimonianza di completa sottomissione al sistema occidentale, poiché ogni essere che viene al mondo, spiega Agosti, cresce nella libertà e si atrofizza nella dipendenza.

Una domanda sorge sicuramente spontanea: esiste davvero la Kirghisia, o come l’Utopia di More è un non luogo, cioè un sentimento che dimora negli animi gentili e nell’inconscio collettivo come archetipo delle origini dell’umanità?

A voi scoprirlo, e come sempre, buona lettura.

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