Intervista a Garbo a 40 anni dall’uscita di “A Berlino… Va Bene”. Come è cambiata la musica?
La new wave italiana ha conosciuto un’evoluzione molto particolare, diversa da quella anglofona, portata a espandersi verso le sonorità che venivano da oltreoceano o da oltremanica, partendo dalle solide radici cantautorali della tradizione nostrana. Uno degli esponenti più rappresentativi di questo genere, in Italia, è Garbo, al secolo Renato Abate, forse l’unico artista di quella scena a poter vantare una produzione ininterrotta, con diciannove album – pubblicati tanto con le major quanto con etichette indipendenti, fino alla fondazione della propria label, la Discipline Musica. A settembre di quest’anno, Garbo ha celebrato il quarantesimo anno dal suo primo grande successo, dal titolo “A Berlino… va bene”, il cui video fu girato nella capitale tedesca ancora divisa dal muro. Un anniversario importante, sugellato da una tournée che ripercorre la carriera di un artista capace di reinventarsi restando fedele a se stesso. In questa intervista, Garbo ci racconta la sua carriera, la sua idea di musica e il suo sguardo su una Berlino sempre diversa.
Che influenza ha avuto Berlino sui tuoi esordi musicali?
Fin da bambino (mio padre visse da militare la seconda guerra mondiale) fui attratto dal nostro travagliato passato in Europa. Mio padre aiutò a far crescere la mia curiosità attraverso i suoi tanti racconti e tutto sembrava ruotare attorno a quella città, simbolo di confine tra due culture diverse e opposte. Crescendo e desiderando comunicare le mie idee attraverso il suono e la parola fu inevitabile trattare uno dei temi e dei luoghi che più mi attraevano e affascinavano. Da lì il passo fu breve. Dedicai il mio primo album a Berlino, che utilizzai come strumento per toccare argomenti “esistenzial-sociali” che mi interessavano.
Quali sono i ricordi più intensi che ti legano a questa città?
Sicuramente uno su tutti. Quando per la prima volta arrivai a Berlino nel 1981, percepii non solo psicologicamente, ma anche fisicamente uno stato nuovo, una condizione mentale deflagrata e atemporale. Sembrava non esistesse il presente, ma il passato e il futuro presenti, a portata di mano. Una condizione mentale aperta a ogni possibilità e una conseguente potenzialità creativa enorme.
A distanza di 40 anni, ti è capitato di rivedere Berlino?
“Sì, tre anni fa tornai a Berlino per realizzare un mio concerto. Ero accompagnato dai miei musicisti, dal manager e da mia moglie… spiegai loro come trovavo quella città cambiata radicalmente. Ancora ci respiravo tanta creatività e dinamismo, ma solcato da quella che oggi noi chiamiamo “globalizzazione”. Una inevitabile omologazione che rende questa città sempre più simile ad altre metropoli europee.
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Che differenze hai notato rispetto alla tua esperienza del 1981?
Una radicale differenza… e a seconda del punto di vista, cioè, nel bene, nel male o in equilibrio, con una Identità Sbiadita dal tempo, dalla Storia, dagli eventi di umana decisione.
Come è cambiata la musica italiana, soprattutto quella indipendente negli ultimi 40 anni
A partire dagli anni ’60 (grande boom economico), attraversando gli anni ’70 e almeno il primo lustro degli ’80 sono avvenute vere rivoluzioni, non solo sociali e di costume, ma anche e sopratutto legate alla tecnologia e la comunicazione.
L’elettronica, il digitale hanno permesso alla musica di essere realizzata e divulgata in modo completamente nuovo e diversificato. Chiunque può potenzialmente esprimere il proprio suono e divulgarlo. Paradossalmente, più è avvenuto tutto ciò, più si è creata omologazione e staticità creativa. Una grande volontà di mercato e l’assenza di “Avanguardie”.
Questo paludamento culturale non sta offrendo eccitanti cambiamenti. Ciò che è stato realizzato decenni fa può apparire estremamente attuale e avanti, mentre quello fatto oggi appare spesso datato o citazionista. Il tempo è esploso rispetto la nostra storica percezione.
Che cosa racconti in questa tournée?
Me stesso in estrema sintesi, cioè un uomo del novecento che ha avuto la fortuna di assistere e vivere il passaggio da un secolo all’altro e attraversare il confine di due millenni… detto così sembra di trovarsi di fronte ad un vampiro o un immortale. In realtà io me ne andrò con il mio bagaglio e non sapendo, forse, se posso essere considerato un Artista, ma di fatto, se sarò considerato tale, cioè un Artista, la mia Arte al di là di me sta attraversando e attraverserà il tempo.
Garbo: A Berlino… Va Bene (1981)