“Mai sprecare una crisi. E guardare sempre al futuro”: intervista con il nuovo Ambasciatore, Armando Varricchio
Abbiamo intervistato Armando Varricchio, il nuovo Ambasciatore italiano a Berlino, insediatosi nella capitale tedesca da quasi tre mesi.
Nato a Venezia nel 1961, ha assunto il suo primo incarico a Budapest nel 1988, in uno scenario storico-politico internazionale caratterizzato dalla dissoluzione del Patto di Varsavia. L’ultimo incarico prima del suo insediamento a Berlino risale invece al 2016, anno in cui è Armando Varricchio è diventato Ambasciatore d’Italia a Washington. Tra questi due poli temporali c’è una lunga carriera che lo ha visto, tra le altre cose, capo missione a Belgrado dal 2009 al 2013, anno in cui è tornato a Roma come Consigliere Diplomatico del Presidente del Consiglio e suo Rappresentante personale/Sherpa per il G8 e il G20. Lo presentiamo oggi ai nostri lettori.
(di Lucia Conti)
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Armando Varricchio, prima di insediarsi a Berlino è stato capo missione a Washington, dove ha vissuto in ultimo la transizione da Trump a Biden. Come è stata la fase finale del suo mandato americano?
Sono stati cinque anni intensi e straordinari, segnati da cambiamenti epocali, negli Stati Uniti e nel mondo. La storia corre molto veloce di questi tempi.
Io sono arrivato negli Stati Uniti nel 2016, con Obama, e ho assistito all’emergere del fenomeno Trump. Un personaggio nuovo in politica, che dopo aver sbaragliato 16 concorrenti repubblicani ha sconfitto una donna potente, un’insider di Washington che conosceva molto bene la Casa Bianca. I quattro anni di Trump sono stati segnati da grandi contrasti e tensioni, ma anche da novità che hanno portato alla ribalta un’America che ha spesso dichiarato di sentirsi trascurata. Un fenomeno molto americano, ma non solo, nel senso che una parte della popolazione ha espresso anche in Europa la volontà di avere una voce diretta nella politica, al di là di quelli che sono i partiti tradizionali.
Infine ho assistito a una nuova campagna elettorale, che ha portato alla sconfitta di Trump, sconfitta che peraltro lui ancora non riconosce. Trump è ancora convinto di non essere stato battuto alle urne, anche se di fatto si è trattato di un’elezione certificata da tutte le autorità preposte.
E quindi arriviamo a Joe Biden
Joe Biden è stato eletto per la prima volta in senato nel 1972 e quindi è l’esatto contrario di Trump, nel senso che è un veterano di Washington, che ha ricoperto tutti gli incarichi e che prima di diventare presidente era stato otto anni vicepresidente di Barack Obama. È un uomo che sa parlare all’anima profonda del Paese. Pur essendo un veterano della politica, sa parlare direttamente ai cosiddetti colletti blu, cioè alla classe media e alla componente operaia del Paese, che vedono in lui un punto di riferimento.
All’inizio di questo suo nuovo incarico, Armando Varricchio, si trova invece in un contesto geopolitico completamente diverso. Cosa significa per lei ripartire da Berlino e da un’Europa post-Brexit?
Per me è un ritorno a casa, perché l’Europa è la mia casa, lo spazio che considero il mio punto di riferimento. In tutta la mia attività diplomatica mi sono ovviamente sentito rappresentante dell’Italia, ma ho sempre avuto anche la stella polare europea ben presente di fronte a me. E la Germania è il cuore pulsante dell’Europa, non solo geograficamente. Da anni ormai la politica europea è infatti fortemente influenzata da Berlino, tanto più nei lunghi 16 anni di cancellierato Merkel.
Leggevo oggi un servizio interessante sul Financial Times, che raccontava Angela Merkel attraverso gli occhi dei ragazzi e soprattutto delle ragazze tedesche, che nella loro vita hanno conosciuto solo lei. Una ragazza di 17 anni commentava: “Per me c’è Angela Merkel. Non c’è altro”. E questa è una prospettiva interessante, perché vuol dire che in questi anni, in cui gli avvenimenti si sono succeduti con una rapidità frenetica, la Germania di Angela Merkel ha rappresentato una roccia di stabilità.
Si è ormai insediato da quasi tre mesi. Che impressione ha ricavato dai primi incontri istituzionali avuti a Berlino? Qual è la sua percezione degli equilibri attuali?
Intanto partirei dal grandissimo amore per l’Italia che ho riscontrato in tutti i miei interlocutori.
E poi ho percepito la piena coscienza di vivere una fase di transizione profonda, in cui gli esiti sono tutti da scrivere, nel senso che questa è una campagna elettorale viva, peraltro molto civile, ma non per questo meno calda. E i leader che si contrappongono sono tutti convinti di poter vincere. Sicuramente lo sono il candidato della CDU, il candidato dell’SPD e la candidata dei Verdi. Vediamo come tutto questo si tradurrà in voti, tenendo però presente che in questo Paese si vota certamente il candidato o la candidata, ma forse, ancora di più, si vota il partito.
Questo è un momento chiave per la Germania, che si prepara a diventare definitivamente post-Merkel. Come vive questa transizione?
Io certamente, alla luce anche della mia esperienza americana, ricordo sempre di essere un osservatore, attento, ma un osservatore, non un giocatore in campo. E dimostro in ogni occasione come l’Italia guardi alle dinamiche che riguardano altri Paesi con grandissima attenzione e fortissimo interesse, ma anche con grande rispetto. Sono anche consapevole che chiunque vinca, e chiunque poi sia in grado di formare un governo, si muoverà all’interno di un perimetro profondamente europeo. Nel senso che i leader dei principali partiti che si contrappongono hanno messo in chiaro di non voler entrare in coalizione con frange più estreme dello schieramento politico, che non hanno l’Europa al loro centro. Unione, SPD, Verdi e Liberali hanno tutti una fortissima matrice europea.
E poi seguirò la fase successiva, perché, se posso usare questa espressione, le elezioni tedesche sono in due turni. Il primo turno è il voto e il secondo è il contratto di coalizione. E anche questa seconda fase sarà estremamente interessante, come sarà interessante capire i negoziati tra i diversi partiti politici, per definire assetti e programmi.
Una fase che potrebbe essere più o meno sofferta, più o meno lunga…
Le elezioni daranno un risultato, che ci auguriamo chiaro, ma da lì si dovrà partire, nel senso che la sera del 26 settembre sarà finito solo “il primo tempo della partita”. Ma poi ci sarà il secondo tempo. Quanto durerà questa seconda fase? Non lo sappiamo, la volta precedente è durata quasi sei mesi, io penso che questa volta il periodo sarà inferiore, ma certamente parliamo di settimane.
Per quanto mi riguarda sarà importante assicurare la continuità dei rapporti politici tra Italia e Germania e riprendere prima possibile il filo di un rapporto che non si può interrompere, perché i rapporti tra gli Stati non ammettono pause. Ci sono tante cose che dobbiamo fare insieme, nei rapporti bilaterali, europei, sul piano internazionale. Basti pensare al tema dell’Afghanistan, che è così centrale, in questi giorni. Insomma, è un lavoro che non si esaurisce nel corso della notte elettorale, ma che continuerà anche dopo.
Ci è nota una sua grande attenzione per l’innovazione e per la digitalizzazione. Crede che la pandemia sia stata un momento in cui ci siamo resi conto del potenziale delle nuove tecnologie?
Assolutamente sì e qui cito una frase americana: mai sprecare una buona crisi. Non bisogna mai sprecare le crisi, bisogna coglierne gli aspetti positivi. Questa è stata una crisi profonda, in qualche modo lo è tuttora, perché non ne siamo completamente fuori, ma durante una crisi può nascere qualcosa di completamente nuovo. Ed è proprio in queste fasi che bisogna rinnovare, pensare, andare avanti, porre le basi per il futuro, non bisogna aver paura di ciò che abbiamo davanti.
Per tornare alla sua domanda, sicuramente in questo lungo periodo ci siamo resi conto che sono state rimesse in discussione modalità di lavoro e di comunicazione, nessuno pensa di poter tornare al punto di partenza. E bisognerà adattare questi cambiamenti per gestirli al meglio, perché non dobbiamo mai farci guidare dalle novità, ma dobbiamo pilotarle in modo attivo. Questa rivoluzione tecnologica, che è la vera cifra del mondo di oggi, sta cambiando completamente il nostro modo di vivere e interagire. E in questo l’Italia vuole essere ancora una volta all’avanguardia. C’è un interessante articolo dell’Handelsblatt che mostra come, in termini di percentuale di crescita legata al progresso tecnologico, l’Italia sia avanti rispetto agli altri Paesi europei. Inclusa la Germania.
Armando Varricchio, come capo missione a Berlino si troverà a interagire con la comunità italiana. Come intende impostare questo dialogo?
Con grande attenzione e curiosità per una realtà, quella di Berlino, in cui la comunità dei connazionali rappresenta davvero tutti i colori dell’Italia, tutte le sfumature del nostro Paese. Ci sono italiani che vivono qui da lungo tempo, altri che sono arrivati in anni più recenti, quella italiana è una comunità viva, che rappresenta diverse professioni, sensibilità, visioni politiche e continua a essere nutrita da linfa nuova. Ci sono sempre ragazzi giovani che continuano ad arrivare nella capitale tedesca e a me fa molto piacere.
Ricordo però sempre, e l’ho capito anche nei miei lunghi anni all’estero, che non esistono al giorno d’oggi biglietti di sola andata. E consiglio di mantenere un rapporto strettissimo con l’Italia, un Paese straordinario che ha moltissimo da offrire, moltissimo da dare. Un rapporto continuativo con l’Italia può essere un motivo di arricchimento, di crescita e anche di prospettive future.
Forse anche perché la nuova mobilità e il contesto in cui si inserisce non rende così definitivo il radicamento, come ai tempi della vecchia migrazione?
Certamente. E infatti questo mio profondo convincimento si proietta naturalmente nel contesto europeo. Il più straordinario successo della costruzione dell’Europa è quello di aver abbattuto le frontiere, frontiere fisiche, ma anche mentali e culturali.
L’Europa è il nostro spazio, viviamo a Roma e a Bologna, così come a Magonza e a Berlino, ma ci muoviamo, giriamo, torniamo, ripartiamo, siamo parte di uno stesso mondo e ci confrontiamo continuamente. In questo senso e in questa accezione, non ci si dice più addio.
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