Biennale Musica di Venezia: Dalla scrittura vocale al sublime viaggio della voce
di Michele Santoriello
La passeggiata tra i luoghi e le sonorità di oggi alla Biennale Musica di Venezia ci permetterà di scoprire la potenza, la bellezza della scrittura vocale e del viaggio della voce con due concerti che si sono tenuti all’Arsenale e nella stupenda cornice della Basilica di San Marco. Il SWR Vokalensemble della radio tedesca SWR è il coro più importante e professionale che si può ascoltare a livello internazionale. Un coro che esegue ogni anno opere commissionate dalla SWR e che quest’anno alla Biennale Musica di Venezia ha presentato la prima italiana di “Wölfli-Kantata” del compositore greco Geogers Aperghis.
Insieme a loro – a cantare in questo ciclo di cinque pezzi , ispirati all’opera letteraria e pittorica di Adolf Wölfli – vi era il sestetto vocale dei Neue Vocalsolisten (Leone d’argento di quest’anno) per un concerto, tenutosi martedì scorso al Teatro alle Tese dell’Arsenale in cui la scrittura vocale e l’alternarsi del coro e del sestetto, in un linguaggio dell’esplicito inesprimibile, hanno offerto al pubblico una tessitura vocale e drammaturgica intensa.
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L’incontro artistico fra Geogers Aperghis e Adolf Wölfli
Frutto di una partitura che unisce materiali originati da una scrittura ricca di simboli e segni musicali prodotti dalla creatività di Adolf Wölfli – personalità schizofrenica, segnata da un’infanzia dolorosa fatta di abusi, sfruttamento e solitudine, rinchiuso nel manicomio di Waldau in Svizzera – questo immenso materiale incontra l’alfabeto musicale del compositore greco Aperghis, il quale ha donato musica a quei segni, a quel vissuto tormentato e drammatico di un uomo che solo scrivendo musica, testi e parole immaginarie, nonché un profluvio di immagini, riusciva a dare quiete ai suoi frequenti attacchi di violenza incontrollata.
Il primo pezzo dal titolo “Petrrohl”, per sei voci, della durata di circa dieci minuti, permette ad Aperghis di prendere spunto da singole parole evocative del tema il “re del petrolio” e da poche note iniziali che attraverso una contaminazione crescente produce un tessuto polifonico denso a cui si aggiunge, nella seconda parte, un nuovo tema creato dalla voce del basso e poi nel registro acuto del soprano dove si abbandona la micropolifonia iniziale a vantaggio di una tessitura più estesa.
“Die Stellung der Zahlen” per durata e composizione del coro, composto da ben 36 elementi, rappresenta il movimento più ampio del ciclo e gioca con diverse forme derivate da un parlando quasi esclusivamente ritmico, che occasionalmente assume la forma di un testo da pronunciare in sequenze veloci e che poi si unisce ad una struttura evocativa di ordini fittizi ma plausibili di numeri e cifrati di contenuto astronomico e di nomi spesso immaginari. Un gigantismo polifonico che si tiene grazie all’ordito cumulativo e geometrico creato dal compositore.
Nel terzo pezzo “Vittriool”, si ritorna al sestetto di solisti: questa volta si dipana un inventario di strumenti musicali ed evocazioni sonore che si mescolano con parole immaginarie e suoni onomatopeici. Solenne e cerimoniale è la “Trauer-Marsch” (marcia-funebre). Prendendo spunto dai testi tratti dalla raccolta omonima in cui Wölfli immagina la propria morte, la grande formazione corale elabora una sovrapposizione di tre strati corali: blocchi di accordi tenuti dai soprani, parlando ritmico dei contralti, blocchi veloci nei bassi per poi ridurre le 36 linee vocali, nella seconda parte, solo a sei, quelle del sestetto, che apre ad un nuovo tema.
Infine. Il quinto ed ultimo pezzo dal titolo “Von Wiege bis zum Graab” (Dalla culla alla tomba), riunisce in un’opera di sintesi le sei voci ed il coro prendendo le mosse da un assolo del controtenore, che con la sua melodia continua – che ci parla di un bambino “senza casa, né focolare” insinuato da uno spirito “perfido” – fa da contrasto al clima polifonico del resto dell’opera.
Esecuzione complessa e molto articolata – superbamente interpretata dal coro della SWR e dai Neue Vocalsolisten di Stoccarda e ben diretta da Yuval Weinberg – quella di questa cantata nella quale la musica vocale trae spunto e forza dalla sua posizione mediana tra il teatro musicale e le logiche formali della musica concertistica.
Delizie musicali nella Basilica di San Marco alla Biennale Musica di Venezia: Christina Kubish e il viaggio nella polifonia del passato
Se arrivare a Piazza San Marco la sera rappresenta già un’esperienza d’incanto, assistere nella Basilica dorata di San Marco ad un lavoro della compositrice tedesca Christina Kubisch – ovverosia un concerto con pezzi rinascimentali cantati dalla Cappella Marciana nel quale l’antico dialogo tra corale polifonica, il suono modulato e composto dagli strumenti che la tecnologia digitale attualmente offre e le complesse e acusticamente non facili caratteristiche archittetoniche tipiche di edifici sacri bizantini – ha permesso al pubblico di rivivere attimi di intensa sonorità vocale e musicale, regalando brani policorali dei grandi compositori e maestri di Cappella della Basilica del ‘500 e ‘600.
Tra i brani eseguiti con maestria ed eccellenza quelli di Adrian Willaert (O Magnum mysterium, 1545), Gioseffo Zarlino (Virgo Prudentissima, 1566) Andrea e Giovanni Gabrieli (Maria Stabat ad Monumentum, 1587 e Inclina Domine, 1587) Claudio Merulo (Cumque Beatissimus, 1578) e Claudio Monteverdi (O gloriose Martyr, 1609), esponenti della secolare tradizione polifonica della scuola veneziana. Un concerto organizzato con la Basilica e la Procuratoria di San Marco anche per celebrare i 1600 anni dalla fondazione della città di Venezia (421-2021).
“Il viaggio della Voce” (travelling voices), tema proposto dalla Kubisch, si è arricchito dell’intensa collaborazione con l’istituzione musicale corale più antica al mondo, la Cappella Marciana, ed ha preso le mosse proprio dalla sfida più grande – già riscontrata nel cinquecento e seicento dai maestri di cappella di allora – cioè quegli spazi particolarissimi della Basilica che con due cantorie poste ai lati, e quindi distanti, colonne, iconostasi, nicchie, gallerie e cupole, creano veri e propri ostacoli da superare per la resa acustica, a causa del ritardo nella propagazione del suono.
La tecnologia digitale al servizio dell’arte: il lavoro di Christina Kubisch e Marco Gemmani
Una sfida che la compositrice insieme al coro ed al suo direttore Marco Gemmani hanno affrontato, sfruttando ancor di più le potenzialità del suono digitale rielaborato, moltiplicando le fonti sonore, e con esso la complessità dell’intreccio polifonico, utilizzando anche effetti musicali e di distribuzione delle voci in funzione di effetti timbrici particolari e coinvolgenti per l’ascoltatore. Sono stati infatti registrati, precedentemente, a Venezia, con l’utilizzo di microfoni speciali dei pezzi cantati dalla Cappella Marciana, ri-registrati successivamente in luoghi fuori Venezia, modificati e messi insieme digitalmente in nuove costellazioni.
Se ogni luogo, ogni modalità di registrazione lascia la sua impronta acustica questo ha permesso alla compositrice di riportare questo materiale così rielaborato – in forma di tre nuove composizioni denominate “Viaggio I, II e III ed arrivo” – a San Marco per essere diffuso come tessitura alternata con il canto reale del coro.
Quindi un’immersione nella coralità e rielaborazione del suono, sia digitale che dal vivo, che ha risuonato nella Basilica di San Marco con le sue molteplici situazioni acustiche di diffusione, fonte d’ispirazione dei maestri di cappella nel cinquecento e nel seicento così come della capacità compositiva di adesso: un progetto che ha ridato consapevolezza dell’importanza di non perdere un patrimonio musicale, quello della policoralità e strumentalità in spazi così eccezionali, esperienze e composizioni musicali che hanno permesso di creare una musica che ha fatto scuola in tutta Europa, contribuendo molto alla nascita della cultura musicale occidentale che noi tutti apprezziamo.
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