Il quotidiano tedesco Berliner Zeitung ha dedicato un lungo articolo all’ex presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi, per una ragione che probabilmente nessuno, in Germania come in Italia, avrebbe potuto immaginare. Per una volta, al centro dell’attenzione non ci sono gli exploit politici di Berlusconi né quelli di Forza Italia né gli scandali legati alla condotta personale dell’ex premier, ma i suoi investimenti in terra tedesca e in particolar modo nella capitale.
Silvio Berlusconi, infatti, attraverso la Holding Italiana Quattordicesima (H14), una delle aziende di famiglia attualmente di proprietà dei figli Luigi, Barbara ed Eleonora, ha investito più di chiunque altro nei cosiddetti “unicorni” berlinesi, ovvero nelle startup di maggior successo in Germania.
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Il tono dell’articolo firmato da Marcus Pfeil è critico ma non tanto o non solo rispetto al profilo si Silvio Berlusconi e all’idea che il Cavaliere sia più o meno direttamente proprietario di una fetta significativa della giovane imprenditoria berlinese, ma rispetto al fatto che a investire sui cosiddetti “unicorni” tedeschi siano soprattutto capitali esteri, stando a quanto emerso da una ricerca di Redstone, una società di consulenza specializzata in venture capital, che ha analizzato oltre 1,5 milioni di start-up. I più grandi investitori dopo Silvio Berlusconi sarebbero l’azienda di telecomunicazioni cinese Tencent e gli investitori americani Arena e TCV.
Chi sono gli “unicorni”?
Con il termine “unicorni” si indicano le startup che riescono davvero ad aprirsi una strada e crearsi una posizione solida sul mercato, aumentando enormemente di valore in un tempo realmente breve. Di solito, si tratta di aziende che innovano considerevolmente il settore nel quale operano, al punto da diventare apripista per nuovi trend. Gli esempi più noti sono quelli di Uber e AirBnb, che hanno generato infiniti epigoni e cambiato le abitudini di milioni di clienti. Gli unicorni sono rarissimi, ma la narrativa che li circonda è molto potente e alimenta un mito simile a quello che un tempo era il “sogno americano”, ovvero l’idea che del genio che, con il puro talento e l’impegno, trasforma una piccola attività in un impero.
Nella realtà, le cose sono un po’ diverse. Per arrivare al successo, una startup ha bisogno di strategia, capitali e accesso ai finanziamenti, al mercato e agli attori più importanti della propria industria. Questi benefici si possono ottenere grazie ai programmi di accelerazione o incubazione che possono essere creati da istituzioni pubbliche, fondi d’investimento o capitali privati. Per un privato, chiaramente, investire in una startup all’inizio dell’attività, prima che trovi il proprio sbocco sul mercato aumentando considerevolmente di valore, è un’ottima strategia. Al momento, la H14 possiede azioni di diverse startup tedesche, operanti in vari settori, fra le quali la neo-broker Trade Republic, il portale di viaggi GetYourGuide e la fin-tech WeFox.
Chi investe in startup?
Le startup che accedono a capitali come questo crescono di più e più rapidamente delle altre, poiché l’investitore ha bisogno che l’azienda aumenti di valore per rientrare al più presto dell’investimento.
Questo vuol dire che, complice l’accelerazione tecnologica dovuta alla pandemia, nel 2020 gli investimenti sono cresciuti a dismisura, con movimenti di capitale enormi, mentre il potere d’acquisto della popolazione si è abbassato, a causa dell’aumento dell’inflazione e degli affitti.
In altri Paesi, come gli USA, sono spesso i fondi pensione a investire in startup giovani e innovative, mentre in Germania, come del resto in tutta Europa, si tratta quasi sempre di attori statali e banche pubbliche. La stragrande maggioranza degli investimenti, in Germania, continuano a essere in obbligazioni e immobili, considerati più sicuri rispetto alle startup.
Berlusconi si compra Berlino? Ecco perché l’idea non piace
L’idea di un Berlusconi “padrone di Berlino”, insomma, piace poco a chi si occupa di analizzare la scena startup tedesca, specialmente nella prospettiva di una crescita di valore degli “unicorni” locali, che, qualora riuscissero a sfondare definitivamente sul mercato, finirebbero per non portare ricchezza nella città che li ha visti “pascolare”, ma per giovare ai venture capitalist stranieri, lasciando Berlino al suo irrimediabile destino di città “povera ma sexy”, in cui gli startupper aspettano come principesse Disney di essere scoperti e portati via dal principe azzurro o, meglio, dal Cavaliere.
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