Roberto Giardina, un uomo tra le 10 donne di “Un Urlo ci salverà. Dieci storie da urlo di italiane in Germania”

Roberto Giardina
Un ritratto di Roberto Giardina presente nel libro "Un urlo ci salverà. Dieci storie da urlo di italiane in Germania".

Dopo il grande successo della prima edizione, “Un Urlo ci salverà. Dieci storie da urlo di italiane in Germania” torna con una seconda edizione e tante sorprese.

Tanto per cominciare tre dei racconti sono stati tradotti in tedesco, per meglio creare una connessione tra gli expat e i neo-tedeschi di seconda e terza generazione. E poi c’è una nuova e undicesima storia, che stavolta è quella di un uomo, lo scrittore e giornalista Roberto Giardina.


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Roberto Giardina, un uomo tra le dieci donne di “Un urlo ci salverà”

Parliamo con Giardina per commentare la sua partecipazione al progetto e il racconto di vita che il giornalista ha regalato a questa seconda edizione del libro. Un racconto che riguarda la sua lunga esperienza in Germania, come professionista e come uomo.

Nel 1969 Roberto Giardina lavorava ad Amburgo ed era il più giovane corrispondente dall’estero. Non ha conosciuto dunque solo la Germania “di Bonn e Berlino”, ma anche quella del nord, la cosiddetta Germania anseatica, capendo subito quanto diverse fossero le sfumature del popolo tedesco, irriducibile, come quello italiano, a un blocco facilmente identificabile.

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Resistere significa ricordare le proprie radici

“Un Urlo ci salverà. Dieci storie da urlo di italiane in Germania” parla di resistenza alla pandemia, ma il concetto viene sviluppato ed esteso, perché nella vita, e non solo durante il Coronavirus, sorge spesso la necessità di resistere a qualcosa.

Alla domanda su quale sia stata la sua particolare forma di resistenza, Roberto Giardina risponde che ha resistito ricordando le sue radici. Si spiega, ripercorrendo a grandi balzi la sua storia: “Mi sono sempre sentito una sorta di ‘estraneo’, sin da quando, a dodici anni, mi sono spostato da Palermo a Roma, facendo già un salto notevole. All’epoca, infatti, l’Italia non era quella di oggi e le differenze erano consistenti, anche tra regione e regione. Da Roma mi sono spostato a Torino e poi ad Amburgo, quindi a Parigi e infine a Milano”.

roberto giardina
Un Gastarbeiter italiano in una miniera di carbone della Germania occidentale. Ludwig Wegmann, Public domain, via Wikimedia Commons

Il giornalista sottolinea di rendersi perfettamente conto di essere stato un privilegiato. “Non ho avuto ovviamente le esperienze di un Gastarbeiter e sono stato fortunato anche dal punto di vista economico, ma in virtù di questo continuo spostarmi non sono mai stato a casa mia. La mia resistenza è stata quindi questa… non perdere di vista le origini” riflette.

Torna poi con il pensiero a Palermo, da dove tutto è iniziato e che forse ha assunto ormai una connotazione disincarnata e sospesa. “Probabilmente la mia Palermo non esiste più o non è mai esistita, è una Palermo ideale” commenta. Aggiunge quindi di essersi sempre integrato, dovunque andasse, ma di non essersi mai assimilato: “Per questo ho almeno cinque Heimat“.

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L’opinione di Roberto Giardina sul progetto editoriale del Comites di Dortmund

Commentando il libro realizzato dal Comites di Dortmund, Giardina sostiene che sia “Una bella idea e un modo al tempo stesso ideale e molto concreto per dare voce a chi generalmente non riesce a farla sentire“. Trova inoltre che il libro abbia il pregio “di essere molto sfaccettato” e di rappresentare “le numerose sfumature che qualificano un’esistenza ‘fuori’… perché non voglio dire ‘all’estero’ in un’Europa in cui siamo ovunque anche un po’ a casa nostra, oggi”.

Oltre alla sua storia, nel libro sarà ovviamente presente anche la traccia audio con il motto del giornalista, che sarà attivabile insieme a tutte le altre per mezzo di un QR code.


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La parità di genere: una battaglia ancora in corso

Alla domanda sul tema della parità di genere, che questo libro sviluppa e che continua a essere dibattuto, Giardina fa una riflessione sulle importanti conquiste realizzate in questo senso negli anni ’60 e ’70, a costo di grandi sacrifici e battaglie. Ma il presente non raccoglie solo le vittorie del passato, ne riflette anche, purtroppo, le sconfitte.

Guardando al mondo contemporaneo, Giardina solleva ad esempio il problema tutt’oggi esistente della disparità salariale, ancora presente non solo in Italia, ma anche in Germania, dove le donne guadagnano in media il 20, 25% in meno, a parità di esperienza e competenza.

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Il ricordo delle giornaliste degli anni ’60

Il giornalista ricorda infine la sua esperienza professionale negli anni ’60 e il ruolo delle donne nel suo settore. In particolare ci riferisce che quando lavorava per la Gazzetta del Popolo di Torino, che ora non esiste più, aveva una sola collega, che si occupava di cosiddetta cronaca bianca, perché la cronaca nera non era considerata adatta alle signore. Quando approdò a La Stampa le colleghe erano due, di cui una vice-capocronista, quindi di sicuro parliamo di un passo in avanti, ma in redazione erano comunque tutti uomini.

Un problema, quello sollevato da Giardina, che oggi si accompagna a quello del cosiddetto “glass ceiling“. Parliamo di quell’invisibile “soffitto di vetro” che blocca l’ascesa professionale delle donne e compromette il loro accesso alle cosiddette posizioni di potere, dalla direzione dei giornali all’editoria, dalle università agli istituti finanziari e alle banche. Rendendo di fatto importantissime iniziative come quella lanciata da questo progetto editoriale. Imperniato su un racconto corale, inclusivo e teso a superare gli ostacoli contro cui è ancora il caso di urlare.

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