Il termine linguaggio di genere (o paritario) indica la trasformazione di una lingua al fine di riflettere una maggiore uguaglianza tra i generi perseguita e realizzata nella società.
Nello specifico, il linguaggio di genere si prefigge cioè di rappresentare maggiormente le donne, fortemente penalizzate da un’impostazione tradizionale tarata prevalentemente sull’universo maschile. Di questo argomento si parla spesso anche in Italia, con riferimento ad esempio al cosiddetto maschile generico o alla declinazione solo al maschile di particolari qualifiche professionali o ruoli istituzionali in altri tempi esclusivo appannaggio degli uomini. Oggi le donne hanno conquistato spazi sempre maggiori di emancipazione e in virtù di questo si chiede l’adeguamento del linguaggio, oltre che la trasformazione della società, in una direzione più inclusiva.
Wolfgang Kubicki: “Linguaggio d’élite”
Anche in Germania, sempre più media stanno adottando lo stesso approccio e in questo senso il politico FDP e vicepresidente del Bundestag Wolfgang Kubicki ha rilasciato un’intervista a Bild esprimendo posizioni molto critiche sul linguaggio di genere: “Quando si usa un linguaggio d’élite per trasmettere un messaggio, si accetta che una gran parte delle persone si senta linguisticamente esclusa”.
La paura di Kubicki, dunque, è che l’adozione del linguaggio di genere da parte, ad esempio, del servizio radiotelevisivo pubblico, possa non essere “tollerato” da molti spettatori. Sulle stesse posizioni si è collocato anche Wolfgang Steiger del Consiglio economico della CDU, che si è tuttavia spinto anche oltre. Steiger vorrebbe infatti vietare ad ARD e ZDF di utilizzare il linguaggio di genere, come dichiarato a Bild. “Soprattutto le autorità e le emittenti pubbliche sono obbligate alla neutralità, dovrebbero comunicare in modo grammaticalmente corretto e senza sovrastrutture ideologiche” ha commentato Steiger.
Che significa “linguaggio corretto”?
Ma cos’è il linguaggio “grammaticalmente corretto” in questo ambito specifico? Molto spesso, le voci critiche usano motteggiare le istanze legate linguaggio di genere, ad esempio storpiando in modo forzato il femminile di alcune parole. In Germania lo ha fatto su Twitter anche Friedrich Merz, uno dei due candidati sconfitti alla presidenza della CDU. A voler esaminare in modo neutrale la questione, tuttavia, non è esattamente vero che queste richieste siano per principio in contrasto con la cosiddetta correttezza grammaticale.
Da tempo docenti di linguistica di diversi Paesi le hanno definite legittime (in Italia, per esempio, Cecilia Robustelli, collaboratrice dell’Accademia della Crusca dal 2001), estendendo oltretutto la riflessione sulla sotto-rappresentazione delle donne nel linguaggio anche ad altre minoranze, per esempio quelle di ambito lgbtq+.
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Non si tratterebbe dunque, per coloro che non sposano le posizioni dei conservatori tedeschi, di “cambiare unilateralmente una lingua”, come lamentato da Merz, ma di non escludere a priori che possa essere trasformata in senso più inclusivo, tenendo anche conto, tra gli altri fattori, che il linguaggio è sempre stato fluido e soggetto a cambiamenti paralleli a quelli della società.
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