Lo Spiegel la ricorda con l’appellativo romantico di Chansonsängerin, quella che un tempo in Italia si chiamava “la sciantosa”, italianizzazione del termine francese “Chanteuse“, che ricorda le cantanti dei vecchi tabarin. In Italia la conoscevano come “la Rossa” o “la Pantera di Goro”, in ricordo di quando alle interpreti italiane venivano inspiegabilmente assegnati appellativi geo-zoologici (quasi lusinghiero “la Tigre di Cremona” per Mina, meno “l’Aquila di Ligonchio” per Iva Zanicchi). Milva, però, con le categorizzazioni della musica leggera italiana ha sempre avuto poco a che fare: la sua personalità, la sua voce, le sue passioni artistiche si muovevano in mille direzioni contemporaneamente, rendendola al tempo stesso difficilmente classificabile e immediatamente riconoscibile.
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Chiedete a chiunque, in Italia (e a parecchi in Germania) perché si ricordano di Milva e scoprirete che ognuno, in base alla propria personalità e al proprio gusto, la associa a un universo differente.
Per molti Milva è la cantante che portava a Canzonissima i canti delle mondine e le canzoni impegnate della tradizione. Per altri è la musa di Strehler (che mai ha permesso alla personalità del suo Pigmalione di sovrastarla), l’Italiana che osò affrontare Brecht e la lingua tedesca e a farsi amare dagli stessi tedeschi. Per altri ancora, la voce di Milva si associa inevitabilmente ad Alexanderplatz. Esistono due tipi di immigrati italiani a Berlino: quelli che la prima volta che hanno messo piede ad Alexanderplatz hanno canticchiato sottovoce “Auf Wiedersehen” e quelli che mentono.
Eppure, ogni volta che si cerca di classificare Milva, il suo talento sfugge ai parametri e ai confini, perché Maria Ilva Biolcati è stata una di quelle persone – rare, quasi introvabili – che dalla vita e dall’arte riescono a prendersi tutto quello che vogliono e a farlo bene.
L’adolescente dilettante che si faceva chiamare Sabrina nelle balere emiliane ha interpretato Brecht al Carnegie Hall, si è esibita in recital con Astor Piazzolla, ha cantato “Bella Ciao” (se pure in una versione rivisitata) alla RAI davanti a un impassibile Corrado Mantoni, ha interpretato Offenbach e recitato in un documentario di Werner Herzog sulla morte e i delitti di Gesualdo da Venosa, ma anche in commedie di Garinei e Giovannini.
Oggi Milva ci lascia, all’età di 81 anni e noi, come spesso accade con i giganti dello stile e dell’arte, le facciamo il torto di vederla “congelata” nel tempo. Ognuno di noi ricorderà la sua Milva, in italiano, in tedesco o in francese, a ritmo di tango o nel languore dei Lieder, con la voce che parte dal basso come un ruggito lento e poi esplode.
Per gli italiani in Germania e per gli italiani che amano la Germania, così come per i tedeschi che amano l’Italia e la cultura italiana, Milva è stata un simbolo e un’icona. Oggi la ricordiamo così, con alcune delle sue più belle canzoni in tedesco.
Ho sempre apprezzato la bravura ed il talento di Milva. Il suo cantare sofisticato in varie lingue. La sua eleganza. Quando ho visitato Berlino nel 2014, capitai per caso nella bellissima libreria Dussmann das KulturKaufhaus e lí mi resi conto di quanto fosse amata ed apprezzata Milva dai tedeschi. In uno spazio a lei dedicato, c’erano tutti i suoi cd. Ne comprai uno anche io. In visita in Italia con sgomento ho notato invece che era stata dimenticata. Ero alla ricerca di una raccolta dei suoi successi ma anche alla Feltrinelli non trovai che pochi cd impolverati e non aggiornati: erano dei cd che ripercorrevano i suoi successi agli inizi della sua carriera. Come se la sua carriera si fosse fermata nel tempo ai successi da balera. Rimasi molto male perché Milva era ed é stata molto di piú di quei cd impolverati. Nessuno é profeta in patria, ma oggi tutti ne parlano. Peccato perché Milva avrebbe meritato di piú e mi ha fatto piacere leggere questo articolo nel vostro giornale online.