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Brexit: il divorzio senza prospettive e il senso dell’Europa

26/06/2016: l’Inghilterra vota per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Il Financial Times l’ha definito un divorzio amichevole: prima c’è stato il divorzio, poi si è iniziato a pensare agli scenari futuri. Una rivoluzione che è iniziata senza punti di riferimento, quella della Brexit, e che è stata seguita con il fiato sospeso da un intero continente. Quelli fra noi che, avendo scelto di vivere in un altro Stato dell’Unione, hanno fatto della libertà di movimento all’interno dello spazio europeo un punto cardine della propria vita, hanno guardato a questa scissione con non poco sgomento.


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Proviamo ad analizzare quello che sta succedendo per capire cosa è cambiato e in che modo la decisione dell’Inghilterra di separarsi definitivamente dall’Unione Europea influirà sulla nostra quotidianità, oltre che su quella di chi risiede o desidera spostarsi in quel paese.

Brexit: l’incertezza che fa male al commercio

L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea fa da contrappeso ad un visione democratica dell’Europa guidata dalla Germania di Angela Merkel. C’è un accordo scritto di più di mille pagine molto confuso e lacunoso, dove non ci sono punti fermi e priorità (ne è un esempio la rilevanza degli accordi sulla pesca come battaglia politica fra Francia e Inghilterra, laddove si manca di dare adeguato spazio ai servizi finanziari e commerciali).

Le aziende non sanno come muoversi: l’incertezza è diventata la caratteristica principale. L’accordo sulla Brexit prevede che non ci siano dazi, ma sono previsti comunque controlli di frontiera, che possono trasformarsi in costi aggiuntivi improvvisi. Se hai comprato qualcosa dal Regno Unito, ad esempio, puoi trovarti a pagare un importo superiore che non ti aspettavi. Ad accorgersene immediatamente sono state numerose categorie di privati e di aziende: si va dai collezionisti di dischi e oggetti vintage, che improvvisamente devono spendere molto di più per farsi spedire un pezzo dall’Inghilterra, alle piccole aziende enogastronomiche italiane che esportano o vendono al dettaglio alla clientela inglese.

Il Covid-19 è sicuramente una concausa del crollo dell’export del Regno Unito, che si aggira intorno al 68% all’inizio del 2021, ma lo stop è dovuto in particolare alla ridefinizione del ruolo del Paese che non è più Stato Membro e in particolare dei suoi flussi di beni e servizi verso l’Europa. Inoltre, i costi aggiuntivi ricadono sull’acquirente: chi spedisce non sa quali tasse verranno addebitate e queste potranno essere calcolate e pagate solo al momento della consegna. Le catena di distribuzione e le attività logistiche sono in piena crisi, perché a tutti gli effetti non c’è un piano di prestazioni chiaro e con una visione del futuro.

Europei in Inghilterra: cosa cambia per chi ci vive, per chi studia e per chi viaggia

Per chi si trova già nel Regno Unito c’è un accordo di non regresso: i residenti sono salvi. Per tutti gli altri, dal 2021, per andare a lavorare in Inghilterra occorre una richiesta di visto da far approvare in base a un sistema di punti rigorosissimo, ci vuole un’offerta da parte del datore di lavoro (quindi niente più lavoretti non qualificati da svolgere a Londra per fare esperienza e imparare la lingua). Lo stipendio deve superare le 25mila sterline l’anno – una cifra abbastanza alta – e si devono avere già delle competenze. Infine, la domanda stessa costa intorno ai 1000 euro.

Per andare in Inghilterra in vacanza non basterà più la semplice carta d’identità: servirà il passaporto anche per i viaggi brevi. Si prevede però che questa parte della riforma non porti sostanziali stravolgimenti al flusso turistico. Un viaggio potrà durare al massimo 90 giorni e in ogni caso non si potrà stare nel Regno Unito nello stesso anno solare per più di tre mesi.

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Come parte della transizione graduale, che durerà fino al 2025, il governo introdurrà un programma di autorizzazione (ETA) per garantire che tutti coloro che vengono nel Regno Unito abbiano il permesso di farlo prima di iniziare il viaggio.

Con la Brexit, gli studenti dell’Unione Europea non potranno più fare l’Erasmus in Inghilterra: gli studenti provenienti dagli altri Stati dell’Unione dovranno pagare rette più alte nelle università inglesi. Per questo molti di loro hanno cercato di trovare alternative, e sembra che l’Olanda sia diventata un paese molto ambito.


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Scenari futuri: dove sarà la “nuova Londra”?

Il Regno Unito è formato da quattro stati: L’Inghilterra, Il Galles, L’Irlanda del nord e la Scozia. Sono molte le comunità che hanno votato no all’uscita dall’euro, in particolare nell’area di Londra e in Scozia, dove è stato chiesto anche un nuovo referendum per l’indipendenza anche al fine di chiedere il rientro in Europa. È probabile che ci saranno ancora profondi cambiamenti, perché non si tratta solo di un problema economico, ma politico e culturale. Londra, per esempio, è da sempre una città multiculturale, meta ambita dai giovani di tutta Europa, che mal si rassegnano all’idea di un futuro interamente Made in UK. Naturalmente sarebbe semplicistico pensare che anni di cultura e integrazione vengano semplicemente cancellati dalla Brexit né che si possa pensare ad Amsterdam, Madrid o Berlino come “la nuova Londra”: non basta abbinare una vivace vita culturale a una vasta offerta di lavori non qualificati per ricostruire la portata simbolica di un’esperienza come quella inglese dell’ultimo secolo.

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Gli scenari futuri sono ancora molto difficili da pianificare e da prevedere, tanto a livello macroeconomico quanto a livello “micro”, privato e imprenditoriale. Senza dubbio, in un periodo complicato come quello che stiamo vivendo, il significato della cooperazione europea si è palesato in tutta la sua rilevanza e ha stimolato riflessioni che dobbiamo ancora esplorare fino infondo.

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