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WORMANWEAR, la moda di chi ama restare underground. Intervista al fondatore del brand

                                                                               Contenuto promosso da WORMANWEAR

Postpunk e spiazzante, WORMANWEAR si pone sulla scia di quella rivoluzione della creatività, della moda e della comunicazione che parte da Vivienne Westwood e si alimenta di tutte le vibrazioni destrutturanti del linguaggio contemporaneo.

Radicale e pop come un loop di immagini e veloce come un vagone della metropolitana lanciato a tutta velocità nel cuore di Berlino, WORMANWEAR è urbano e suburbano, al tempo stesso.

Il suo creatore è, per sua stessa definizione, “the best unknown photograph and videomaker in Berlin”. Lo abbiamo intervistato per capire chi sia, come sia nato il suo brand e cosa rappresentino le sue creazioni.


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Entriamo subito nel vivo: scopriamo dal tuo Instagram che sulle tue creazioni ci sono messaggi molto “forti”. Che cosa ti interessava comunicare con questa scelta?

Descrivo semplicemente quello che vedo intorno a me. Non sono un perfezionista e non pianifico mai un lavoro nei dettagli. Così rimane sempre una certa tensione che mi porta ad ottenere risultati abbastanza vicini alla realtà.
Spero che fra 100 anni le mie foto serviranno a capire come si viveva a Berlino in questi anni di crisi e sviluppo.

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Quali sono le tue ispirazioni nel campo della moda e del design?

Per il design al primo posto metto il cinema, come contenitore che racchiude tutte le arte visive. Lars von Trier e Tarantino sono i migliori perché, pur avendo budget importanti, fanno film che sono tutto fuorché mainstream. I loro lavori sono lezioni di grafica, musica, montaggio video, fotografia.

Mi piace molto l’architettura. Spesso scelgo come location per i miei shooting fabbriche ed edifici abbandonati. Posti dove si respira la storia e il futuro della città.
Molte delle location che trovate nei miei canali social adesso sono chiuse o ristrutturate, ma per fortuna a Berlino c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
Per quanto riguarda la moda, ho una collezione di maglie da calcio (soprattutto della Magica Roma), e quattro paia di Adidas che sono comodissime per chi, come me, ama macinare chilometri nella Hauptstadt.

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La tua attività è la quintessenza dello spirito berlinese: maglie di seconda mano, stoffa riciclata, capi barattati con servizi fotografici. Quanto ti ha influenzato questa città, sul piano professionale e umano?

Sono arrivato qui nell’estate del 2011. Da piccolo ho cambiato spesso città e questa esperienza mi ha portato, dagli anni universitari in poi, a spostarmi in giro per l’Italia e l’Europa per provare le stesse emozioni. Vivere a Berlino dà la possibilità di viaggiare restando fermi. Bisogna lasciarsi trasportare dalla corrente di milioni di persone che vivono qui, senza annegare.

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Quanto è importante la sostenibilità nel tuo lavoro?

Credo nella cultura del riparare le cose. Questo concetto però è un lusso in una società dove manca sempre il tempo, e in cui il mercato spinge verso un consumo smodato. Nei Flohmarkte vedo lo spreco attraverso le montagne di oggetti comprati e poi buttati, ma allo stesso tempo la possibilità di trasformare questi scarti in qualcosa di valore.

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Il tuo progetto di moda ha un carattere fortemente “interattivo”: pensi che la comunicazione online possa cambiare il nostro modo di vedere la moda?

Io uso Facebook per entrare in contatto con le persone che fotografo. Tutte persone normali e più o meno sconosciute. Come me. Il risultato, dopo anni di lavoro, sono poche manciate di followers. Lo stile punk creato da Vivienne Westwood nel suo atelier veniva propagato attraverso i Sex Pistols, che erano gli influencer di quell’epoca.
Quindi le cose non sono poi così cambiate, negli ultimi 50 anni.

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Per l’ultima domanda, torniamo alle origini: ti va di raccontarci come nasce e cosa significa il nome WORMANART?

Nasce in un sacco a pelo, a Milano, dopo un concerto dei System of a down, nel lontano 2002. WORM/MAN/ART, l’arte dell’uomo verme… potete immaginarvi come ero ridotto!
Da qui deriva poi il logo, che sembra un verme o un insetto.
Ciò che mi accomuna davvero ad un verme è che mi piace rimanere underground.

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