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di Nazareno Galiè
Quello che sta accadendo tra turchi e curdi in Siria è destinato ad avere un impatto internazionale inevitabile. Pochi giorni dopo l’annuncio di Trump sul ritiro delle truppe Usa dal nord della Siria è iniziata infatti l’offensiva turca contro le milizie curde. Ufficialmente Ankara vuole rendere sicuro il proprio confine, perché non tollera la presenza di un territorio gestito autonomamente dall’YPG (sigla che indica, in lingua curda, “L’Unità di Protezione Popolare”). Secondo le autorità turche, infatti, questa organizzazione sarebbe la proiezione siriana del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), il quale è stato inserito, anche dall’Unione Europea, nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Il ritiro delle truppe americane, che ha consentito al governo di Erdoğan di passare all’azione, è sembrato un tradimento della coalizione che dal settembre del 2014 combatte il sedicente Stato Islamico. La resistenza dei curdi alle milizie dell’ISIS era stata fondamentale per il ridimensionamento del Califfato, che dopo gli strepitosi successi iniziali aveva trovato un freno nell’assedio di Kobanê, una cittadina al nord della Siria, la cui difesa rappresentò un punto di svolta della guerra contro l’ISIS.
Sono passati cinque anni da allora e l’offensiva turca sta togliendo ogni illusione a chi aveva sperato nella creazione di uno Stato autonomo curdo nei territori difesi e controllati dai miliziani dell’YPG.
La Germania ha appoggiato la guerra contro l’ISIS e l’offensiva di Ankara rappresenta adesso un nuovo motivo di frizione con la Turchia.
Infatti, i rapporti tra i due Paesi si erano già deteriorati negli ultimi anni. Nel 2017, durante la campagna elettorale per il referendum costituzionale, poi vinto da Ĕrdogan, il governo Merkel aveva annullato, per ragioni di ordine pubblico, i comizi dell’AKP (il partito di governo del presidente turco), destinati alle numerose comunità turche presenti in Germania. Precedentemente aveva destato aspre polemiche l’invito di Ĕrdogan ai turchi residenti nella Repubblica Federale, affinché essi mantenessero la loro identità limitando la tentazione dell’assimilazione.
Adesso l’attacco ai miliziani curdi in Siria potrebbe rivelarsi un regalo all’ISIS, di cui è nota la capacità attrattiva e la possibilità che le sue forze possano rinfocolarsi sotto la cenere.
La Germania ha anche un motivo in più per temere questo evento, di per sé catastrofico: numerosi cittadini tedeschi hanno aderito allo Stato Islamico, combattendo al suo fianco. Molti di loro si trovano adesso reclusi nei campi di prigionia allestiti dai curdi.
Il precipitare della situazione potrebbe consentire a questi militanti dell’organizzazione terroristica di fuggire e riparare nuovamente in Germania. Infatti, come si è visto recentemente con il caso di Leonora Messing, una giovane tedesca che si trova adesso in uno di questi campi di prigionia, si è scatenato un acceso dibattito sulla possibilità di rimpatriare questi cittadini per poi eventualmente processarli.
Nel 2015 si era assistito al grande esodo di richiedenti asilo siriani, la cui accoglienza da parte della Germania mise successivamente in crisi gli assetti politici dominati fino ad allora da Merkel, consentendo l’emergere dell’Afd come partito anti-establishment. Un nuovo esodo, questa volta causato dalla nuova guerra proclamata da Ankara, potrebbe definitivamente far franare gli equilibri, dando nuova linfa alle forze populiste di destra.
Occorre ricordare come tantissimi curdi vivono in Germania e sono legati tra loro da forti vincoli identitari. Per questo motivo, l’appello dell’amministrazione autonoma dell’YPG ad una grande mobilitazione in Siria ha avuto una grande risonanza anche nella diaspora curda in terra tedesca. Non ci sarà da stupirsi, se anche in Germania grandi dimostrazioni contro la guerra avranno luogo.
Si sta entrando in una nuova fase di tensione, che investe la Germania da due lati: quello diplomatico, con i rapporti con Ankara e di riflesso con gli Stati Uniti sempre più tesi, e quello della coesione interna, perché la brutalità della guerra potrebbe non solo deteriorare i già difficili rapporti tra la comunità turca e quella curda, ma innescare una spirale d’odio i cui effetti sono difficilmente prevedibili.