di Vincenzo Musacchio
Era il 15 agosto del 2007 quando, per la prima volta, noi italiani abbiamo compreso quanto le mafie italiane si fossero infiltrate nel tessuto sociale ed economico tedesco.
In realtà le mafie sono presenti in Germania sin dagli anni settanta. Dalla strage di Duisburg a oggi sono passati dodici anni e in Germania vivono oltre seicento esponenti appartenenti ad associazioni mafiose di origine italiana (‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra).
Le mafie fanno affari nel settore immobiliare e degli stupefacenti in un territorio definito tranquillo. In realtà hanno compreso che in Germania si può investire su tutto perché non ci sono leggi specifiche sulla repressione della criminalità organizzata. Le agenzie d’intelligence tedesche confermano che la mafia italiana abbia chiaramente aumentato la propria presenza nel Bundesrepublik, poiché le infiltrazioni erano possibili per una mancanza di strumenti di difesa idonei. Due organizzazioni mafiose sono cresciute molto rapidamente. Cosa Nostra, siciliana, ha aumentato la sua presenza di ben quattro volte superiore al 2007, mentre la ‘Ndrangheta, calabrese, si è affermata come la più grande organizzazione mafiosa, con un incremento di cinque volte superiore. Significativa anche la presenza della Camorra.
Dodici anni dopo gli omicidi a Duisburg tutti i gruppi mafiosi italiani sono attivi in Germania e il numero dei presunti membri è aumentato drasticamente. Questo sviluppo chiarisce quanto sia necessario rafforzare la lotta contro la criminalità organizzata a livello europeo e soprattutto transnazionale. A nostro giudizio le dimensioni effettive della mafia in Germania potrebbero essere molto più alte, poiché le cifre anzidette rappresentano solo strutture criminali che i servizi d’intelligence sono stati in grado di confermare con dati alla mano. Nessuno oggi può dirci il reale livello d’infiltrazione, giacché i dati noti alla pubblica opinione non forniscono alcuna stima fondata sulla dimensione delle strutture sconosciute della mafia. Nonostante l’impegno delle forze di polizia e della magistratura teutonica nel reprimere la mafia, i risultati non possono dirsi soddisfacenti.
L’autorità giudiziaria tedesca ha sequestrato beni della mafia per 5,6 milioni di euro in questo periodo, ma va detto che dai dati forniti dal Ministero della Giustizia tedesco, si stima che i mafiosi investano oltre cento miliardi di euro in Germania ogni anno. Si comprende dunque la scarsa efficacia dei sequestri effettuati sinora. La stessa cosa si può affermare circa il numero d’indagini sui gruppi mafiosi. Negli ultimi dieci anni, sono state aperte meno di cento inchieste contro i gruppi mafiosi italiani che, rapportate all’Italia, sarebbero meno di quelle aperte dalla sola Procura della Repubblica di Palermo.
L’assenza di leggi efficaci che consentano azioni mirate contro la mafia è la prima criticità che deve essere affrontata dal legislatore tedesco. Il basso numero d’indagini sulla mafia italiana può essere un segnale molto pericoloso ed è un gravissimo errore che sta commettendo la Germania cui dovrà presto porre rimedio e con decisione se non vuole essere totalmente colonizzata dal crimine organizzato italiano. Dai dati in nostro possesso le mafie italiane sono presenti in Germania, ma non si conosce il reale livello di penetrazione nel tessuto dei singoli territori. Questo perché il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso è presente solo nel codice penale italiano. Di conseguenza, se in Germania fosse commesso un ”reato spia”, come ad esempio il traffico di droga o il riciclaggio di denaro sporco, e l’autorità giudiziaria italiana chiedesse a quella tedesca notizia di reati di mafia, la risposta sarebbe sempre molto vaga, poiché lì manca una legislazione specifica e una cultura investigativa di lotta ai fenomeni mafiosi.
Ovviamente il problema si ripercuote a livello europeo e internazionale e mentre le mafie si sono internazionalizzate, la lotta alle stesse è rimasta ancora un fenomeno nazionale.
Vincenzo Musacchio è giurista, studioso ed esperto di criminalità organizzata e di strategie di lotta alla corruzione e direttore della Scuola di legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise.
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