Pinocchio, il teatro e lo studio della lingua italiana – intervista a Salvatore Orefice
di Tommaso Burdet – RBL Berlin
Originario di Napoli, Salvatore Orefice è un attore italiano a Berlino. Formatosi all’accademia del Teatro Stabile di Parma, ha lavorato nel cinema e nella televisione in tutta la penisola. All’attività di attore, affianca lo studio e la pratica della lingua parlata, cui fa seguito la scrittura di un manuale di dizione con CD audio (Fratelli Ferraro Editori, 2009) e un seminario tenuto in qualità di docente universitario presso il Suor Orsola Benincasa di Napoli: “Agire la lingua, introduzione alle buone pratiche della dizione“. Vive da qualche anno a Berlino e attualmente insegna fonetica, dizione e recitazione in lingua italiana alla VHS Mitte di Berlino, nell’ambito del corso “Italienisch lernen im szenischen Spiel“. Ci siamo incontrati alla mostra “Pinocchio – Märchenwelt Toscana” all’Istituto Italiano di Cultura a Berlino.
Cominciamo parlando del tuo presente. A quali progetti stai lavorando in questo momento?
In questo momento sto lavorando alla realizzazione del programma “Pinocchio” su Radio Banda Larga. Sto poi preparando il nuovo format, “Letteratura d’Intrattenimento”, lettura di classici, in cui intendo proporre una selezione di novelle di Verga e Pirandello, autori che ho scelto sia perché mi hanno sempre appassionato, sia in virtù della loro rappresentatività all’interno della letteratura italiana tra ‘800 e ‘900, e non ultimo del loro eccellente e interessante uso dell’italiano.
Fra le iniziative che mi piacerebbe andassero in porto in futuro c’è anche un progetto editoriale multimediale legato ai libri di testo: questi due cicli di lettura vorrebbero essere rivolti anche alle SESB, Staatliche Europa-Schule Berlin, attraverso una proposta didattica per gli studenti delle scuole superiori e inferiori nelle quali viene insegnata la letteratura italiana. Trovo infatti molto importante dare spazio nella didattica agli aspetti legati alla lingua parlata, aspetti che non è facile approfondire se non ci si trova in un Paese dove si parla la lingua in questione. Avendo lavorato molto sulla dizione e sulla fonetica (ho pubblicato anche un libro sul tema: “Ben Detto!”), ho pensato a un’offerta mirata a colmare questa lacuna, e che sottolineasse anche gli aspetti estetici e stilistici della nostra lingua, come la sua estrema musicalità.
Parliamo del tuo essere un attore italiano a Berlino. Come si concilia il tuo vissuto personale e professionale con il panorama culturale cittadino?
Arrivato qui non mi mi chiesi che cosa potesse fare Berlino per me, ma la domanda che mi posi fu: “che cosa posso fare io per Berlino?“. Ho cercato quindi di valutare che cosa mancasse alla città dal punto di vista della promozione della lingua e della cultura italiana, e ho trovato che il repertorio teatrale in lingua italiana potesse essere meglio rappresentato. Intendo dire che ci sono molte compagnie teatrali di ricerca che, pur svolgendo un lavoro di grandissimo valore, non presentano tuttavia un collegamento stretto con lingua italiana vissuta, con la lingua viva. Io ho cercato di operare da subito in questa direzione.
A questo proposito un progetto che sto cercando di realizzare è quello di dare sistematicità all’offerta culturale berlinese, strettamente legata all’ambito della mia competenza teatrale, per la Comunità Italiana presente nel Land di Berlino. È già un po’ che da più voci sento questa richiesta, questa esigenza della comunità italiana di avere una vera e propria stagione teatrale, un cartellone di teatro classico e moderno, nonché contemporaneo.
Per intenderci, una stagione teatrale che vada da ottobre a maggio come la si può trovare al Teatro Piccolo di Milano e in tutti i teatri della penisola. Nonché l’istituzione di Corsi di Avviamento al Teatro per bambini, ragazzi ed adulti, e da ciò la formazione di una vera e propria compagnia teatrale, una Compagnia del Teatro Stabile Italiano. Va da sé che per la realizzazione del progetto occorre reperire fondi, e per questo la mia idea è quella di coinvolgere direttamente in questo senso l’intera Comunità Italiana e sono convinto che tutti insieme possiamo farcela, e dare così anche ai ragazzi e ai giovani questa bella opportunità di rimanere ancorati, sia pure in una dimensione europea e bilingue, alle proprie radici linguisitiche e culturali.
Fondamentali, poi, sono stati gli incontri con alcune delle personalità italiane a Berlino attive nel campo della cultura. Parlo del Prof. Reitani, noto umanista e inventore del geniale slogan: “L’italiano è voglia di vita!” e con il quale ci siamo lanciati nell’avventura del “corso di dizione” proposto proprio nel 2016 all’IIC di Berlino. Ancora voglio ricordare la Dott.ssa Marzorati, Dirigente Scolastico dell’Ambasciata con la quale intrattengo cordiali rapporti. Vorrei anche citare il Com.It.Es di Berlino a cui mi sento vicino nello spirito, negli intenti e nelle linee programmatiche. Che poi è un genuino spirito di servizio che fin da subito ha accompagnato il mio lavoro qui a Berlino. Vorrei anche ringraziare il primo consigliere di ambasciata Fausto Panebianco, al quale devo il mio incontro con RBL Berlin. In conclusione posso dire che vari sono stati e sono i mentori incontrati lungo il mio percorso artistico, umano e sociale a qui a Berlino
Cosa intendi quando parli di una lingua italiana “viva”?
Attraverso il lavoro teatrale penso che si possa restituire una lingua che aderisce al parlato quotidiano, veicolata dalla gestualità e dell’intonazione della voce. Io mi focalizzo sulla “parola agita”, partendo dal mio contesto spaziale, dal movimento dal corpo e dalla impostazione della voce, cogliendo il più ampio spettro di sfumature possibile. Trovo che il teatro possa rendere un ottimo servizio alla diffusione e all’insegnamento di una una lingua, che possa, in virtù della sua complessità, renderlo più vivo e interessante e completo. Spesso l’italiano “vero” è molto più complesso di quanto non appaia sulla carta: c’è tutta una gestualità che senza l’esempio diretto è difficile rendere. Attraverso il gioco del teatro la lingua si può fruire in un modo più “viscerale”: a livello di percezione non c’è solo la pagina scritta ma anche il sonoro, attraverso cui si gode meglio la vivacità della lingua.
Ho avuto un simile riscontro anche in ambito didattico. Ho tenuto un corso alla VHS in cui gli studenti erano invitati a praticare l’italiano attraverso la messa in scena di un capitolo di Pinocchio. Gli studenti hanno imparato la lingua muovendosi e parlando teatralmente, attivando corpo e voce e imparando a focalizzare l’attenzione non solo su ciò che pronunciavano ma anche attraverso i movimenti del loro corpo. Penso che si tratti di un metodo davvero efficace, in particolar modo per la nostra lingua. Volendo uscire poi dall’ambito didattico, trovo che alla comunità italiana all’estero manchi un italiano non settoriale, che abbracci tutto, ricordando e ritrovando le nostre radici comuni. Vedo dunque il mio lavoro anche come un tentativo di dare un contributo in questo senso.
Parliamo di Pinocchio. Come ti sei avvicinato al romanzo? Perché iniziare una lettura di testi in italiano proprio da lì?
Ho scelto Pinocchio perché la mia sensibilità mi porta verso quei testi che si prestano a una caratterizzazione vocale. Un fatto di linguaggio, dunque, di musicalità, di possibilità di caratterizzare i personaggi lavorando sulla voce. In una recitazione di Pinocchio lavorare sulla voce è importantissimo per restituire la natura archetipica di ciascuno di essi. Da un punto di vista personale, sono arrivato alla narrazione e allo stile favolistico impersonando Mercuzio, personaggio che richiede un’interpretazione sognante, coerentemente al suo essere un personaggio tutto sommato “leggero”.
All’interno del testo collodiano, uno dei capitoli che preferisco è il sedici, dove emerge chiaramente il leitmotiv della disapprovazione per le azioni di Pinocchio: nello svolgersi del racconto, le sue azioni vengono infatti progressivamente giudicate sbagliate e Pinocchio, grazie a quest’atto giudicante, riesce a superare volta dopo volta i propri errori. La sua coscienza si traveste e viene personificata da diversi personaggi, un avvertimento costante che gli suggerisce che quel modo di comportarsi non è corretto e che chi vi si avventura farà una brutta fine. Il personaggio di Pinocchio non è quindi monodimensionale: l’intervento di tutte queste figure esterne ne compongono un ritratto con molte sfaccettature. Non solo un libro per bambini dunque, se letto bene. L’adulto che vi si accosterà con occhio non superficiale, troverà in esso un efficace ritratto della società e delle sue interazioni; mentre per il bambino rimane lo squadernamento di un incredibile spettro di possibilità e uno specchio verso se stesso. In ciò sta l’universalità di Pinocchio.
Per quanto riguarda la mia esperienza da attore, penso che le possibilità emotive che offre Pinocchio ne facciano un testo veramente universale, che fornisce a tutti l’opportunità di rispecchiarvisi attraverso il gioco, caratteristica che del resto ho riscontrato ogni volta che ho lavorato con i testi tratti dalle favole.
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