Il dialetto berlinese: piccola escursione linguistica nell’anima della capitale
di Axel Jürs
I berlinesi sono un universo a parte, anche linguisticamente. Hanno un verbo speciale per indicare l’atto del parlare in dialetto berlinese, berlinern (che potremmo rendere in italiano con berlinare), e per tanti anni hanno parlato e comunicato prevalentemente in questo modo. Ancora oggi i veri berlinesi, così almeno vogliono i cliché, non capiscono nè parlano altri dialetti e a volte non si rendono neanche conto di quanto il dialetto berlinese contenga interessanti contributi forniti da altre lingue.
I “prestiti” del dialetto berlinese
Le lingue più generose verso il dialetto berlinese, in termini di parole ed espressioni prestate nel corso dei secoli, sono quelle slave (parlate in città al tempo dei primissimi insediamenti), il francese (importato dagli ugonotti e dai soldati di Napoleone), lo Jiddisch (lingua con radici nel tedesco antico e usata e importata dagli ebrei) e, dagli anni ’70, anche il turco. Lo Svevo (Schwäbisch) è invece un dialetto tedesco parlato soprattutto a Prenzlauer Berg, anche se per molti berlinesi sembra essere una lingua straniera, vista anche come “lingua della gentrificazione” da chi adotta una prospettiva politica. L’ex-presidente del Bundestag, Wolfgang Thierse si è lamentato alcuni anni fa del fatto che a Prenzlauer Berg non si trovino più le Schrippen (panini berlinesi) ma solo Weckle (panini svevi) e ha detto addirittura di sentirsi, per questo, “come in una zona occupata”.
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Ci sono diversi esempi di come questi contributi linguistici arricchiscano quotidianamente il dialetto berlinese. Ad esempio il BER, il nuovo aeroporto di Berlino che sembrava non aprire mai ed essere piuttosto una sorta di cantiere infinito, è a volte definito un vero “Schlamassel”, termine che nel dialetto Jiddisch significa “sfortuna”. Di disastri e inconvenienti i berlinesi sono peraltro esperti quasi da sempre, da quando costruirono i primi insediamenti sulla Sprea e si trovarono costantemente minacciati dalle insidie della palude, che vedevano spesso come simbolo politico del pantano in cui viveva chi esercitava al potere. Per dire la verità a volte cercavano anche di produrre quella stessa palude, come ad esempio quando inondavano il cantiere del primo castello per dimostrare che non avevano bisogno di essere governati. Questo fiero desiderio di indipendenza è in realtà un sentimento che per non pochi berlinesi vale anche oggi e non solo nelle case occupate della Rigaer Straße.
Ci sono poi espressioni che si referiscono proprio alla geografia, anche di tanti anni fa. Quando i berlinesi festeggiano a lungo, fino alla mattina, usano a volte l’antica espressione “bis in die Puppen” (letteralmente “fino alle ‘bambole”), riferita alle statue del Tiergarten, parco una volta ben fuori città e quindi simbolo di una camminata o una serata decisamente lunga.
Il carattere “diretto” dei Berlinesi
I berlinesi amano esprimersi in maniera molto diretta e di conseguenza la cortesia a Berlino non esiste o si presenta ben nascosta in fondo all’ironia. Non essendo abituati a trattarsi in modo cortese reciprocamente, è difficile per loro riconoscere la gentilezza degli stranieri. C’è una tipica espressione berlinese che viene bruscamente rivolta a chi abbia un contegno insolitamente cortese: “Woll’n Se ma schmeicheln?“ (Lei sta cercando di lusingarmi?). Una risposta positive creerebbe molti problemi, perché i “veri Berlinesi” tendenzialmente non sanno come rispondere ai complimenti e così il dialetto non offre un ampio vocabolario di cortesia, come lo conoscono altri dialetti tedeschi. I berlinesi sanno inoltre che la loro città è, ed è sempre stata, la più bella del mondo. I berlinesi sono peraltro convinti che tutti, ma proprio tutti-tutti, abbiamo sempre voluto visitarla, in ogni epoca. Storicamente non sono rimasti insensibili al fascino della capitale neanche Napoleone e Stalin, che hanno trovato la città così bella da non portarvi solo le loro famiglie, come fanno i turisti, ma anche qualche migliaio di soldati!
E già a quei tempi i berlinesi sapevano presentare perfettamente quel misto di orgoglio e sofferenza provata di fronte a visitatori temporanei. Dove in altre città tedesche si chiede ai turisti “Gefällt Ihnen/Euch unsere Stadt?” (Le/Vi piace la nostra città?), i berlinesi si innervosiscono quando il turismo disturba la loro vita normale e sono disposti a chiedere senza pietà “Habta keen Zuhause?” (l’equivalente dell’italiano non avete una casa?), o arrivano a dire dei turisti “Ick hab die nich jerufen!” (Io non li ho chiamati!).
Andando quasi sempre di fretta, inoltre, i berlinesi amano mangiare fuori e anche “im Gehen” (camminando). E infatti, nel dialetto berlinese, se una persona è stata male e la si rivede di nuovo in giro, si dice che “is’ wieder uff’m Damm” (è di nuovo per strada), dove Damm è la parola berlinese usata per strada. E “uff’m Damm sein” vale anche come sinonimo di “star bene”.
Mangiare cose buone per strada è sicuramente segno di aumento del benessere. Così i cibi più popolari a Berlino sono quelli che si possono tenere in mano camminando. La versione berlinese del Sandwich si chiama Klapp-Stulle e si tratta semplicemente di una fetta di pane scuro piegata, anche se a Berlino si trovano ovviamente tutte le versioni più moderne e interculturali della stessa specialità. All’occorrenza si può anche ordinare una Schrippe, che sarebbe un panino con una Bulette (polpetta) dentro, ma molti oggi molti preferiscono il cibo “da strada” più berlinese che ci sia: il Döner, inventato a Berlino da un turco e poi esportato in tutto il mondo, anche in Turchia.
Ovviamente anche il Döner, a Berlino, esiste in tutte le possibili varianti “hip” della versione base: vegetariano, vegano, halal, kosher, mediterraneo, etc.. E il dialetto berlinese viene in soccorso anche per rispondere alla domanda su quante e quali salse aggiungere: “Mit allet!” (in tedesco sarebbe “Mit alles”), con tutto.
Si può imparare il dialetto berlinese? Sì e no. Meglio non pretendere di imitare il dialetto locale, che neanche tanti berlinesi parlano più proprio bene. Ma nel caso voleste inserire qua e là un suono berlinese o una parola dialettale per fare un simbolico piccolo inchino all’orgoglio locale, vi diamo di seguito qualche piccolo suggerimento:
g all’inizio o in mezzo a una parola diventa j (jut invece di gut)
s alla fine della parola diventa spesso t (allet invece di alles)
ir alla fine diventa -ia (mia/dia invece di mir/dir, me/te), come -ür diventa -üa (Tüa invece di Tür, porta)
au diventa spesso oo (ooch invece di auch, anche; oojen invece di Augen, occhi)
ei diventa ee (weeß ick invece di weiß ich, lo so)
In “berlinese” si parla spesso in modo astratto, evitando i pronomi ich (io) e wir (noi). Per esempio si preferisce dire “Det hat man nich’ jewusst” invece che “Das wusste ich nicht!” (“Questo non si sapeva” invece di “Non lo sapevo”).
Si preferisce inoltre il trapassato prossimo come unico modo di riferirsi al passato. “Det war schön jewesen!” si preferisce a “Das war schön!” (Era bello).
In “berlinese”, inoltre, i casi si usano proprio “a caso” e spesso in modo contrario alla grammatica tedesca:
“Ick kenn’ dir” invece di “ich kenne dich” (ti conosco), “Det is Kalle seene (seine) Kalesche” invece di “Das ist Karls Auto” (È la macchina di Karl).
Naturalmente i berlinesi, con il loro umorismo secco, usano battute per spiegare la grammatica berlinese e le sue “trappole” e per fare degli esempi raccontano a volte una barzelletta, quella dell’uomo che vuole fare una dichiarazione d’amore alla bella ragazza che ha appena conosciuto:
“Ick liebe Dir!” (Amo a te!), dice il ragazzo alla ragazza, che lo corregge subito: “Ich liebe Dich!” (Amo te!). Lui è felicissimo della risposta e le risponde: “Du mir ooch? Wusst ick’s doch!” (Anche tu mi ami? Lo sapevo).
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