“Madame”: tracce di Street Art parigina a Berlino

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di Letizia Chetta

Se ci si aggira nei pressi di Oranienburgerstraße, più precisamente sulla Bergstraße e quasi di fronte alla piccola chiazza di verde che è lo Zille Park, ci si può imbattere in un grande murale metà a colori e metà in bianco e nero, emerso giusto da qualche giorno e orgogliosamente firmato in rosso con il nome di “Madame”, più un bel paio di baffi pieni e tondi.
Non si tratta di una spontanea manifestazione artistica, ma di uno dei minuziosi lavori che la street artist parigina Aurélie Bidault, conosciuta sotto lo pseudonimo di Madame, realizza prima nel suo studio, stampa in formato extra large e poi incolla sui muri delle città in cui passa. Un po’ a mo’ di indizio in una caccia al tesoro, il murale della Bergstraße, dominato peraltro dal motto tanto vero “Welcome to life’s circus”, ci conduce fino alla Schröderstraße 11, dove il 4 agosto di quest’anno ha avuto luogo l’esposizione di alcune delle opere di Madame.

Quando sono arrivata alla galleria “Open Walls” per porre qualche domanda all’artista, ho trovato un piccolo luogo confortevole. Alle pareti era appesa poco più di una decina di lavori il cui genere è difficile da definire. Non si può parlare di “quadri”, perché le opere emergono dalla necessaria molteplicità dei piani su cui avviene la scena. Non si tratta nemmeno di “sculture”, nonostante la tridimensionalità di certe immagini e personaggi, degli attori, per così dire, possa suggerirlo a primo impatto. A me verrebbe da chiamarli “palcoscenici in miniatura”, realizzati attraverso la forma del collage a partire da materiali antichi: giornali, fotografie, scritte, pubblicità, reperiti in mercatini delle pulci, case vuote, immondizia. E riciclati. Tramutati in arte. Ogni lavoro si fonda quindi su un meticoloso procedimento di selezione, ritaglio, incollaggio delle parti fino ad ottenere più piani, scannerizzati l’uno dopo l’altro per conservare quello che sarà il doppio, seppure appiattito, da affiggere in un contesto urbano.
La differenza fra l’originale e la sua copia in bianco e nero è incredibilmente forte, ma in un certo senso l’uno completa l’altra. Nel primo si esibisce fortemente la dimensione teatrale della scena con i suoi numerosi punti di vista, che infatti, non a caso, riflette anche la prima formazione di Madame, che è stata a lungo attrice prima di dedicarsi completamente all’arte e ai viaggi. Nel secondo, di contro, emerge prima di tutto lo spirito un po’ irriverente, ironico, che vuole interpellare i passanti facendoli subito diventare una sorta di pubblico.

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“Je voulais emmerder le monde”, si legge in una passata intervista a Madame: è questa una delle intenzioni dell’artista. Stuzzicare, stimolare l’altro, coinvolgerlo. “È vero”, dice la donna, “sui muri non si può capire immediatamente la relazione fra teatro e street art, semplicemente perché è la strada a diventare palcoscenico. In strada io e i miei lavori siamo solo attori, non creatori”. È nell’atelier, nella sua casa di Parigi, sulle note morbide di Chopin o di qualche musicista jazz, che avviene la creazione. Quella è la sede del suo lavoro, dove l’artista può trovare la calma e l’ispirazione necessarie.
Altrimenti, Madame viaggia moltissimo, costantemente. É stata quasi dappertutto: in Asia, America del Nord e del Sud, India. “Voyager, c’est ma drogue”, afferma. Non posso che darle ragione. Anche perché è il continuo movimento fisico e intellettuale ciò che nutre la sua arte: nell’accostamento inusuale di colori brillanti si nota la sua passione per i realisti messicani e la cultura indiana, nelle forme comicamente sproporzionate delle figure ci sono riferimenti all’arte di Niki de Saint Phalle e a Matisse, e poi emerge il forte interesse per la fotografia di Diane Arbus e Joel Witkin, per citarne solo alcuni. Ma ciò che Madame più ricerca è la sorpresa. Il risultato inatteso a cui si arriva mescolando frammenti che si pensavano perduti, riportati alla vita attraverso il riciclaggio artistico. E così, non troppo dissimile da un dottor Frankenstein al femminile, la vediamo unire momenti, parti di visi e corpi diversi con l’intento di creare nuovi significati, i cui confini sono spesso labili e suscettibili di più interpretazioni. Sfiorare le frontiere, confondere i generi (maschile, femminile, teatrale, letterario, artistico) e i volumi: questo è il lavoro di Madame.
C’è un che di profondamente vero e filosofico nella percezione del tempo che sottende la sua arte: un lato effimero, finito, fugace della vita, che si reimpasta e riutilizza.
Ognuno dei suoi piccoli palcoscenici di cartone mette dunque in scena questa storia, senza paura di mostrare cosa si nasconde dietro le quinte: ogni dettaglio è visibile, dalle corde sottili che tengono appese le sue marionette ai chiodi affissi a qualche cuore infranto, a colla e gancetti di ogni genere. Madame si riconferma cioè come artista del suo tempo, un momento post-moderno in cui la rivelazione meta-artistica di ciascun linguaggio della vita sembra essere diventata un aspetto tipico di noi. Il tutto unito, però, ad una importante dose di (auto)ironia, curiosità e gioia di scoprire il diverso.
Insomma, cari berlinesi di adozione, vale veramente la pena farsi un giro della cittá per cercare altre tracce lasciate da Madame: molte si trovano già a Mitte, alcune a Kreuzberg.

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