Unconventional Berlin Diary: lo schianto del volo della Germanwings

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Sto prendendo l’aereo per Berlino, dall’aeroporto di Köln-Bonn, a poche ore di distanza dall’annuncio dello schianto del volo della Germanwings sulle Alpi francesi.

Ho prenotato con la Germanwings anch’io e lo scenario che mi trovo davanti è desolante. Ci sono pochissime persone, silenziose e attonite.

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Germanwings, a poche ore dallo schianto

I controlli di sicurezza sono stati maniacali, appena qualche tacca sotto la West Bank. Mi hanno fatto tirare fuori ogni possibile dispositivo elettronico dal bagaglio, inclusi i caricabatterie dei cellulari, mi hanno fatto togliere le scarpe e la felpa, mi hanno controllato il corpo con uno scanner e mi hanno perquisita.

Molti voli sono stati cancellati, altri, incluso il mio, ritardati. Nonostante ogni legge statistica renda decisamente improbabile che lo stesso incidente si ripeta a poche ore di distanza e per giunta ai danni della stessa compagnia, non riesco a rilassarmi e soprattutto non riesco a smettere di pensare a quelle centocinquanta persone e alle loro famiglie.

Mi identifico con le vittime, mi identifico con i parenti, mando giù un bretzel durissimo che mi raschia la gola, faccio un paio di telefonate, scrivo. Scrivo per calmarmi e per liberarmi dal suono ossessivo dei jingles che risuonano tra le sedie vuote e i banchi semideserti.

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Gli occhi rossi del comandante, nessuno sa nulla

Nell’attesa di sapere qualcosa di più sulla catastrofe, non si esclude nulla. Si parla di un guasto, ma il fatto che nessun membro dell’equipaggio abbia mandato un segnale di soccorso, mentre l’aereo precipitava, fa emergere in modo sinistro altre ipotesi, inclusa quella di un attentato.

Il comandante è venuto a chiederci di non fare domande ai membri della crew, ancora scossi da quanto accaduto ai loro colleghi. Aveva gli occhi lucidi e rossi e ci ha detto che nessuno sa ancora niente.

Respiro questo disorientamento, che vedo riflesso nei volti dei miei pochissimi compagni di viaggio. Cosa succederebbe se stasera si ripetesse quello che è già accaduto stamattina? La mia piccola esistenza e quella di altri passeggeri si estinguerebbe con la paura degli ultimi momenti. Il mondo parlerebbe delle cause, delle conseguenze e delle implicazioni di una nuova tragedia e poi andrebbe avanti, ponendo nuove questioni.

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Butto giù queste righe al gate, poco prima di imbarcarmi. Per la prima volta da quando tengo questa rubrica, scrivo in tempo reale. Se leggerete tutto questo vorrà dire che il mio martedì sera è diventato mercoledì, poi giovedì e infine venerdì e che nonostante la paura di morire tutti noi, in procinto di prendere l’aereo delle 21.15 per Berlin-Tegel, abbiamo ancora un futuro.

Per altri, purtroppo, non è stato così.

(Aeroporto di Koeln-Bonn, 24-03.2015. Dedicato alle vittime del disastro dell’A320 della Germanwings)


barba copyright Il Mitte

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(AGGIORNAMENTO SUCCESSIVO: In seguito si è venuto a sapere che a far precipitare l’aereo è stato il copilota, Andreas Lubitz. La notizia è stata data dal tabloid Bild. Il voice recorder della scatola nera ha registrato gli ultimi scambi tra il pilota Patrick Sonderheiner, chiuso fuori probabilmente dopo essere andato in bagno, e Lubtiz, barricato all’interno della cabina di pilotaggio.

Apri questa maledetta porta!” urla Sonderheiner a Lubitz. Silenzio all’interno, solo il rumore del respiro regolare del copilota. Sempre il voice recorder testimonia il tentativo della crew di entrare in cabina, probabilmente usando un’ascia, ma senza successo. Gli ultimi suoni registrati sono le urla dei passeggeri e subito dopo lo schianto, avvenuto a 700 chilometri orari, su un versante delle Alpi Francesi. Nessuno dei 150 passeggeri è sopravvissuto. Si è trattato, quindi, di un omicidio-suicidio)

Machete

Machete vive a Berlino dal 2013.

Ama anche la musica, il cinema, la letteratura e la serotonina.

A otto anni sperava che prima o poi qualcuno avrebbe inventato una pillola contro la morte. Un po’ lo spera ancora.

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