Lucia Ronchetti: Roma-Berlino, passando per Parigi

© Stefano Corso

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Lucia Ronchetti [© Stefano Corso]
di Alessandro Brogani

Un po’ a tutti è capitato da piccoli di sognare di voler fare l’astronauta piuttosto che la ballerina, e in qualche raro caso tali desideri si sono poi avverati.

È questo il caso di Lucia Ronchetti, compositrice musicale romana, attualmente di stanza in Germania, fra Berlino, Dresda e non solo. L’abbiamo incontrata inizialmente lo scorso 13 gennaio presso l’Istituto Italiano di Cultura, in occasione del dibattito tenutosi per la presentazione dell’opera Mise en abyme che la vedrà impegnata per il debutto il 22 febbraio, presso la Semperoper di Dresda.

A tale incontro, moderato dalla critica musicale Helga de la Motte, era presente anche la giovane drammaturga tedesca Anne Gerber che collabora con la compositrice italiana. Tre giorni dopo abbiamo intervistato la nostra connazionale mentre si recava in treno nella capitale della Sassonia (Dresda per l’appunto) per le prove con l’orchestra ed i cantanti.

Sig.ra Ronchetti, ci parli un po’ di lei, di come ha iniziato ad avvicinarsi alla musica e di come è diventata compositrice.

Ho iniziato ad interessarmi alla musica all’età di tre anni. Con i miei genitori e le mie sorelle vivevamo in un quartiere, in quell’epoca, periferico di Roma. I nostri vicini di casa erano due simpatici ed un po’ stravaganti signori anziani. Lui era stato un compositore che, non essendo riuscito nella propria professione, faceva il riparatore di orologi; lei, che di lui si era innamorata e lo aveva seguito in Italia dalla Svizzera, era stata una cantante d’opera. Ebbene, assieme alle mie sorelle (una delle quali, Paola, è poi diventa cantante lirica), andavamo spessissimo a trovarli, essendo la loro piccola casa piena di ogni sorta di strumenti musicali, la maggior parte dei quali in pessimo stato viste le non rosee condizioni economiche dei nostri vicini. Comunque per noi quel posto rappresentava una sorta di mondo dei balocchi e loro erano più che grati di volercelo aprire perché ci potessimo avvicinare a ciò che più di ogni altra cosa nella loro vita aveva contato: la musica. Fu così che iniziai ad interessarmene e da allora non ho più smesso.

In pratica la fiaba che tutti noi vorremmo interpretare.

Si, ma non creda che sia stato tutto cosi facile. La mia non era una famiglia agiata. Mio padre era un medico che svolgeva la sua professione in una periferia molto disagiata e, spessissimo, s’accontentava d’essere pagato anche in prodotti agricoli dai suoi pazienti, che erano in gran parte dei poveri contadini. Quindi i sacrifici per farci studiare, alle mie quattro sorelle e a me, erano notevoli. L’aspirazione dei miei era che diventassimo tutte delle professioniste affermate e la musica, come purtroppo si sa, almeno in Italia, difficilmente è considerata un investimento sul proprio futuro. Quindi, quando a sedici anni rimasi come folgorata ascoltando alla radio un pezzo di Bruno Maderna, Aura, e decisi che l’ambiente musicale sarebbe stato il mio futuro lavorativo e di vita, dovetti tenerlo nascosto ai miei. Andavo a seguire le lezioni del prof. Mauro Bortolotti, presso il conservatorio di Frosinone, di nascosto dai miei genitori, seppur con la complicità dei miei professori che mi “coprivano”. Fu così che potei giungere alla laurea a 24 anni e poi trasferirmi a Parigi, dove feci un dottorato con una borsa di studio presso la cattedra del professor Gerard Grisey, con una tesi su Ernest Chausson. Furono anni molto importanti per la mia formazione odierna.

E poi?

E poi, dopo diversi tentativi fatti in Italia, nonostante tutte le specializzazioni che nel frattempo avevo accumulate, in Italia non riuscivo a trovare sbocchi. Decisi così di provare a partecipare ad un concorso nel 2005 a Berlino, organizzato dalla D.A.A.D. (Deutscher Akademischer Austauschdienst). Risultai una dei quattro vincitori. Mi diedero la invidiabile opportunità di lavorare in grande autonomia per un anno intero, assicurandomi anche un sostentamento economico ed un alloggio. Dopo le esperienze negative italiane, praticamente un sogno. Ho collaborato inoltre, sempre a Berlino, con la Konzerthaus, la Staatsoper ed al festival MaerzMusik.

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Parliamo di questa sua nuova opera. Come nasce? Come si è sviluppata la sua collaborazione con la Semperoper di Dresda?

È partito tutto tre anni fa quando, l’allora direttore artistico, Eytan Pessen mi contattò dopo aver ascoltato la mia Lezioni di tenebra. Mi propose di comporre per i primi due anni un intermezzo alle versioni già esistenti dell’opera L’impresario delle Canarie di Metastasio, quella di Sarro e quella di Padre Martini; quest’anno, il terzo per l’appunto, è musica completamente mia sempre sul testo di base di Metastasio. Ne verrà fuori un intreccio di personaggi incredibile, fra la mia versione di Didone abbandonata, L’impresario delle Canarie, con Metastasio, interpretato anche in quest’occasione da Roland Schubert, che interagisce con tutti gli altri protagonisti. La Semperoper mi ha dato la possibilità di lavorare per tutti e tre gli anni con le stesse persone, dal regista (Axel Koehler) alla drammaturga (Anne Gerber), dal direttore delle luci al direttore d’orchestra.

Altre cose a cui sta lavorando?

Quest’anno ci sarà anche una seconda mia opera a Mennheim dal titolo Esame di Mezzanotte, di cui il librettista è Ermanno Cavazzoli, il regista Achim Freyer e con la quale debutterò il prossimo 29 maggio. Farò poi un’opera radiofonica assieme alla giornalista Aureliana Sorrento, per la Deutschlandradio Kultur dal titolo Fiore di campo, dedicata a Peppino Impastato.

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Un anno particolarmente felice questo che le si sta aprendo allora!

Beh, sì. Non potrei essere più felice. La Germania mi ha dato opportunità invidiabili e per questo non finirò mai di ringraziarla.

Mi volto verso il finestrino e m’accorgo che siamo già arrivati a Dresda. Il tempo è volato, soprattutto grazie all’entusiasmo che la signora Ronchetti trasmette all’interlocutore. Segno evidente della passione che traspare dalle sue parole, e ne ha ben donde: è stata la prima compositrice, e per giunta straniera, a cui la Staatoper di Berlino ha commissionato ben due volte un’opera (Lezioni di tenebra e Last desire). Segno questo di una maturità artistica riconosciuta e di un talento apprezzato al di sopra di ogni campanilismo artistico. In Germania si può!