“Ikea sfruttò prigionieri della DDR” – le accuse di due giornali tedeschi
Avete in casa un divano Ikea, modello Klippan, di trent’anni fa? Oppure un vecchio mobile componibile Falkenberg? Allora potreste possedere un prodotto realizzato da prigionieri politici, che furono impiegati come “dipendenti” da Ikea nelle carceri di Cuba o della Germania Est negli anni ’80.
Nel giro di 48 ore, due gravissime accuse – ancora tutte da verificare – sono state lanciate contro la multinazionale svedese, da parte di due testate giornalistiche europee: il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung e la televisione di Stoccolma Svt. Continuano dunque ad addensarsi le nubi attorno all’azienda fondata da Ingvar Kamprad, che già nel recente passato aveva dovuto affrontare dure critiche per il suo passato filo-nazista (da lui definito «una sbandata adolescenziale»).
Secondo un’inchiesta pubblicata dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, nel 1987 il ramo tedesco di Ikea (Ikea Trading Berlin) avrebbe stretto accordi con il governo cubano per la realizzazione di circa tremila mobili modello Falkenberg e 45mila tavoli low cost, attraverso il lavoro dei prigionieri detenuti dal regime castrista. Nella attenta ricostruzione svolta dal giornale di Francoforte, il contratto sarebbe stato siglato direttamente tra esponenti della Ddr e il ministro dell’interno cubano. A incaricarsi della commessa la Emiat, azienda guidata dal colonnello di Fidel Castro, Enrique Sanchez, lei cui fabbriche erano ospitate proprio all’interno delle carceri dell’Havana. L’articolo cita come fonte alcuni documenti rinvenuti negli archivi della Stasi, la polizia segreta della Germania Est.
Leggi anche:
Attivista per i diritti civili eletta commissaria federale per le vittime della DDR
L’accusa dell’Allgemeine Zeitung non giunge però isolata. Proprio ieri sera, infatti, la televisione svedese Svt ha trasmesso in prima serata un documentario che svelerebbe gravi retroscena sulle tecniche di produzione utilizzate da Ikea negli anni ’70 e ’80. Anche in questo caso, le fonti sono i documenti interni conservati nell’archivio della Stasi. Secondo i giornalisti di Svt, Ikea avrebbe utilizzato manodopera proveniente dalle carceri tedesche orientali per produrre migliaia di mobili, tra cui i divani Kippan, uno dei pezzi di maggior successo mai commercializzati dalla catena svedese.
Le rivelazioni della Svt fanno il paio con quelle trasmesse, circa un anno fa, dal canale tedesco Wdr. In quel caso, un documentario denunciò l’utilizzo di lavoratori forzati in almeno 65 stabilimenti sparsi all’interno della Ddr. Proprio oggi, invece, il Berliner Kurier ha intervistato un ex prigioniero-lavorante, Dick Maschke, che nel 1985 venne condannato a 19 anni di carcere e che, ben presto, cominciò a produrre cerniere per i mobili nelle catena di montaggio del penitenziario. «Le guardie non facevano mistero del fatto che quei prodotti fossero destinati all’Ikea», racconta oggi Maschke, 48 anni. «Ci sbeffeggiavano: “Finiranno in Occidente, dove voi non andrete mai».
La multinazionale svedese, dopo aver annunciato che svolgerà un’indagine interna, ha dichiarato di non essere a conoscenza dell’eventuale utilizzo, in passato, di carcerati all’interno della propria filiera produttiva. «Se così fosse, sarebbe totalmente inaccettabile», ha spiegato un portavoce di Ikea alla Frankfurter Allgemeine Zeitung. L’azienda ha promesso che verificherà le accuse e ha formalmente richiesto l’accesso ai documenti giacenti negli archivi della Stasi, per controllare direttamente l’esistenza degli accordi risalenti ai tempi delle due Germanie.
(pubblicato originariamente su Linkiesta.it)
P.S. Se questo articolo ti è piaciuto, segui Il Mitte su Facebook!