Il soldato che saltò verso la libertà: storia di una fotografia leggendaria

Scultura sulla striscia del Muro in Bernauer Straße (vicino a Ruppiner Straße) a Berlino-Mitte; commemora il soldato dell'NVA Conrad Schumann, che il 15 agosto 1961 (due giorni dopo la chiusura del confine) si lanciò dalla Ruppiner Straße meridionale attraverso un filo spinato verso Bernauer Straße (dal settore sovietico a quello francese). Jotquadrat, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons
di Sara Lazzari

Il soldato è riuscito a malapena a chiuder occhio. Una notte, due notti praticamente insonni, a districarsi tra nuovi ordini ed equipaggiamenti, ad allacciare le stringhe degli scarponi con le palpebre ancora gonfie di sonno, occhiate brevi ai soldati intorno. In quelle ore buie d’agosto, quand’era suonato l’allarme, non aveva fatto in tempo ad accedere agli interrogativi che gli riempivano la testa, che già le ipotesi cadevano mormorate dalle bocche dei compagni: “gli Ami hanno aperto il fuoco”, “è un’altra fottutissima esercitazione”, “è scoppiata la terza guerra mondiale”.

È il 13 agosto 1961 e Berlino pullula di divise: nell’Est da giorni si raccolgono truppe dell’NVA, chiamate a fronteggiare la minaccia fascista che preme sulla città. Metri e metri di filo spinato vengono srotolati e mattone su mattone la Differenza prende forma.

In quell’angolo di Wedding, al posto di blocco tra Bernauer e Ruppiner Strasse, il sottufficiale Schumann si fuma via la stanchezza e l’inquietudine. La sigaretta sfrigola contro la fiamma quando ne aspira la prima boccata, la più buona: le successive le dimentica, e più che il fumo, soffia fuori i pensieri che gli affollano la mente.

Dal primo mattino è stato assegnato alla sorveglianza di quel confine ancora da costruire e da allora pattuglia il lato della strada che da in faccia al nemico; infila un passo sull’altro, con forzata monotonia, e di quando in quando sposta il fucile da una spalla all’altra. Davanti a lui, a pochi metri, la barriera dentata.

A causa del riarmo atomico nella Germania Ovest, ho deciso di prender parte alla difesa della Repubblica Democratica Tedesca. Mi offro volontario a prestare servizio d’onore nelle fila della Bereitschaftpolizei. Mi impegno ufficialmente a non fare ingresso nei territori del settore Ovest di Berlino o della Germania Ovest, e a non attraversarli. Sono consapevole che l’infrazione di tale regola verrà severamente punita a livello disciplinare.

Conrad Schumann, il soldato che rimase nella storia

Sotto a quelle righe, appena qualche mese addietro, Conrad Schumann aveva aggiunto la sua firma: il Socialismo lanciava un appello all’azione, e lui aveva risposto, lasciando un arrivederci ai pascoli della Sassonia e dirigendosi a Dresda, dove aveva affinato il suo senso del dovere e la sua fedeltà alla DDR.

Quel primo addestramento però deve esser stato troppo breve per il giovane di Zschochau, o forse invece è l’irrequietezza dei suoi diciannove anni che lo rende ora ansioso e combattuto, mentre, immobile, lancia sguardi nervosi all’altro lato del confine.


Photo by manhhai
Leggi anche:
La vita ai tempi del Muro: la televisione, il rock ‘n’ roll e il sesso

 

 

 


C’è della gente, dall’altra parte: perlopiù passanti e abitanti del quartiere, ma anche qualche giornalista, un cameraman e un fotografo. Nessuno di loro parla ad alta voce, nessuno grida; passi lenti, facce tese e curiose, come una platea rispettosa che assiste a un dramma. Probabilmente qualcuno ha già notato l’inquietudine del giovane soldato, lo scatto obliquo del suo capo quando si volta nella loro direzione.

Di certo lo ha notato Peter Leibing, il collaboratore di un quotidiano di Amburgo spedito in fretta e furia nella Capitale, non appena la notizia della costruzione del Muro ha cominciato a circolare. Fotocamera in mano, è appostato da ore su quel tratto della Bernauer Strasse, pronto a documentare i frammenti di Storia che gli cadranno addosso.

Ma qualche volta alla Storia bisogna un po’ forzare la mano, specie se si sta cercando un buon scatto, la luce migliore. E allora Leibing, che tiene gli occhi fissi su Schumann da un po’, prende a rivolgersi a lui e ai suoi compagni, apostrofandoli con esortazioni dirette, invitandoli a disertare. “Quando vorrete andarvene, non potrete più farlo, ci sarà il Muro e l’ordine di sparare! Venite, venite ora!” Dal gruppetto vicino, qualcuno gli fa eco: “Vi stanno sprangando dentro, saltate!”.

Fierus e Kröger, i due che affiancano Schumann, serrano le labbra, e voltando le spalle alla folla, con calma si allontanano. Erano stati avvertiti, i nemici del Socialismo avrebbero cercato di irretirli con falsa propaganda, avrebbero cercato di minare la loro risolutezza, la loro fede nella vera Democrazia. Schumann li osserva allontanarsi, ma non li segue. Accende invece l’ennesima sigaretta, aspira voracemente, lascia che le volute di fumo gli arrivino in faccia. I minuti scappano via silenziosi, uguali l’uno all’altro.

I compagni sono poco distanti, ma gli danno la schiena. I fucili, le ruspe, il filo spinato, la finestra temporale che si riduce in fessura. Sotto l’elmetto del sottufficiale Schumann si scatena molto probabilmente una battaglia. O forse no. Forse invece nella sua testa si crea il vuoto, e vi rimbomba soltanto lo scalpiccio ritmico dei suoi scarponi, non appena comincia a correre verso il confine.

Un tonfo più forte, e con un salto si alza sopra il filo spinato, le spalle basse, il viso a terra, il braccio destro teso all’indietro sulla scia della spinta. È un attimo. Peter Leibing è lì di fronte, rapido inquadra e scatta, scatta, scatta ancora. Quando il fotografo solleva lo sguardo dall’obbiettivo, la Storia, attesa e stuzzicata, ha fatto capolino: il caporale Schumann è atterrato nel settore Ovest, il soldato era il primo fuggitivo dopo la costruzione del Muro.

La Storia non lascia eroi sul campo, solo un gran casino di date e nomi, che vengono raccolti, setacciati e ricomposti in graziosi pacchetti, quindi lasciati circolare. Così il giorno successivo, nella Berlino Est, si parla di fuga, tradimento, diserzione; per il soldato Schumann viene emesso un mandato di cattura, il suo nome iscritto sui registri neri dei Nemici della Repubblica.

Nell’Ovest invece la macchina mediatica gli cuce addosso le vesti dell’eroe coraggioso che ha scelto la Libertà: giornali e radio si contendono il giovane rifugiato per interviste e dichiarazioni, la foto del suo salto diventa l’emblema della lotta contro la repressione sovietica.

E in mezzo a queste due correnti narrative divergenti, c’è Conrad Schumann, non un eroe, non un traditore, ma un ragazzo di diciannove anni, che appena arrivato alla centrale di polizia nel settore americano, la prima cosa che ha chiesto è stata un panino con la salsiccia.

P.S. Se questo articolo ti è piaciuto, segui Il Mitte su Facebook!

1 COMMENT

Comments are closed.