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L’immigrazione in Germania: mamma, li turchi!

© Montecruz Foto_CC BY SA 2.0
Una manifestazione turca a Berlino [© Montecruz Foto / CC BY-SA 2.0]
di Alessandro Brogani

einwandererChe quello dell’immigrazione sia un argomento d’interesse comune oramai lo si evince dall’ampio spazio che negli ultimi tempi gli è stato dato da libri sul tema (vedasi ad esempio il recente libro di Leopoldo Innocenti “Auf Wiedersehen Italia, in fuga verso il futuro”), oppure dalle innumerevoli pagine che quotidiani e settimanali nazionali e stranieri gli hanno dedicato.

In Germania, Paese oggetto del presente articolo, ampio spazio è stato riservato a questo fenomeno dal settimanale Der Spiegel.

Quest’ultimo ha pubblicato in meno di otto mesi due servizi: il primo nel settembre dello scorso anno, dedicandogli addirittura la copertina con il titolo di Die neuen Gastarbeiter (I nuovi lavoratori stranieri)*.

Il secondo, di poche settimane fa, è un’intervista fatta all’esperto di demografia Reiner Klingholz, professore presso l’università d’Amburgo. Ciò che emerge dall’analisi fatta in uno studio scritto dal professore assieme a Franziska Woellert, dal titolo Neue Potenziale, zur Lage der Integration in Deutschland (Nuovo potenziale, stato attuale dell’integrazione in Germania), è che il fenomeno dell’immigrazione odierna in Germania è complesso, necessario e completamente diverso da quello che è stato nel passato.

Nell’intervista emergono sostanzialmente due problematiche differenti: la prima è quella dell’integrazione, che passa anche attraverso la conoscenza della lingua tedesca; la seconda è quella del progressivo invecchiamento della popolazione lavorativa tedesca e del bassissimo incremento delle nascite;

Proprio quest’ultimo aspetto fa sì che l’immigrazione non sia più soltanto un problema di sicurezza per il Ministero degli interni, ma soprattutto un’opportunità da seguire attentamente per quello dell’Economia.

Riguardo la comunità turca Klingholtz mette in evidenza nell’intervista come in passato la vecchia migrazione si dovesse accontentare di lavori sottopagati, con una pensione bassissima, quando addirittura non trovasse affatto lavoro (Cfr accordi bilaterali Germania-Turchia del 1961).

Le problematiche d’integrazione di una comunità come quella turca sono legate per lo più ad un basso tasso di scolarità. Solo un bambino turco su 4 arriva all’Abitur (maturità), percentuale questa che tutto sommato non è neanche delle peggiori considerando che il mancato raggiungimento di tale titolo di studio sale al 57% (oltre 2 bambini su 4) fra quanti, nelle altre comunità straniere (italiana compresa), nascono in Germania.

Una volta cresciuti preferiranno accettare, a parità di qualifica, lavori spesso sottopagati offerti da loro connazionali. Questo probabilmente perché hanno avute cattive esperienze d’integrazione, facendo sì che perdano la speranza in una scalata sociale, anche nel caso in cui raggiungano una migliore formazione.

Tale sfiducia ha causato una chiusura della comunità turca in se stessa. Inoltre ha fatto sì che i turchi tedeschi guardino tanto il premier Erdogan, quanto il boom economico della Turchia come un modello ed un punto di riferimento migliore e di maggior peso di quello del Paese nel quale vivono. Le colpe della politica tedesca al riguardo sono evidenti: si è pensato maggiormente in passato a come “proteggersi” più che a come affrontare la progressiva decrescita demografica, con politiche d’integrazione adeguate.

Naturalmente non per tutti è così. Ad esempio Mustafà, emigrato da Istanbul a Berlino nel lontano 1981, ora proprietario di un noto e rinomato negozio di frutta e specialità di ogni parte del mondo, non lontano dalla famosa Bergmanstraße nel Bezirk (quartiere) di Kreuzberg a Berlino.

Lo incontro in un momento di pausa dal continuo lavoro e mi spiega: “Quando arrivai a Berlino, molti anni fa, decidemmo assieme a mia moglie che le nostre due figlie fossero libere di scegliere la loro strada lontano dalla nostra comunità e che si sarebbero dovute integrare nel mondo tedesco il prima possibile”. In effetti oggi la più grande si è laureata in giurisprudenza, mentre la seconda sta frequentando l’istituto di alta moda.

 [© Andrew Czap / CC BY SA 2.0]
Elçin, una ragazza turca [© Andrew Czap / CC BY SA 2.0]

Altro caso che non rientra nella tipica casistica riportata dalle analisi statistiche è quello di Müzi, giovane ragazza di origine curda, venuta in Germania quando aveva soli 5 anni assieme ai genitori ed al fratello più piccolo. Il luogo era un altro, Amburgo per la precisione. È importante rilevarlo perché la collocazione geografica conta e non poco sul fenomeno dell’integrazione, ivi compresa quella degli italiani.

Incontro Müzi nella scuola di lingue dove insegna tedesco agli stranieri, sempre qui a Berlino. Oggi è una giovane donna di 27 anni laureata in sociologia, che parla perfettamente 4 lingue oltre quella d’origine. «Sono a Berlino da 3 anni. L’adolescenza l’ho passata ad Amburgo dove i miei si erano trasferiti fuggendo dal villaggio della Turchia dove vivevamo (cfr i problemi della comunità curda in Turchia a partire dal Governo di Atatürk). Successivamente ci trasferimmo a Kiel, ancora più a nord, quasi al confine con la Danimarca.

«Devo dire che l’integrazione con i tedeschi è stata tanto un percorso “obbligato”, essendo la nostra una comunità molto piccola, quanto abbastanza facile. La mentalità dei tedeschi del Nord è più aperta e ci sono meno pregiudizi nei confronti degli stranieri, eccezion fatta per qualche episodio riscontrato nella scuola primaria (Grundschule).

«La stessa apertura mentale non l’ho avvertita quando sono stata in Baviera. Una cosa che mi ha molto colpita, venendo a Berlino, è come qui la comunità turca sia più chiusa e, se così posso dire, retrograda rispetto al nord della Germania. Per me è normale indossare una minigonna od un bikini anche davanti a mio padre, mentre qui sono stata fortemente criticata per il mio modo di vestire da persone di origine turca che neanche mi conoscevano».

Questo dato della maggiore chiusura della comunità turca berlinese odierna mi è stato confermato anche da Roberto Giardina, il decano dei corrispondenti italiani in Germania, che il Paese lo conosce a fondo essendoci arrivato circa 40 anni fa, prima ad Amburgo, per poi trasferirsi a Bonn ed infine approdare, subito dopo la caduta del Muro, a Berlino.

«In effetti ci sono delle contraddizioni fortissime all’interno del mondo turco tedesco: queste si manifestano tanto nei costumi, quanto nell’integrazione sociale. Mentre infatti da un lato 25 anni fa, appena caduto il Muro, potevi osservare a Berlino donne turche girare vestite esattamente come le loro coetanee tedesche, oggi non sempre è più così. Spesso indossano gli abiti tradizionali che coprono gran parte del corpo. Dall’altro lato però possiamo vedere che nel Parlamento tedesco siedono undici deputati di origine turca su un totale di 35 di origini straniere: di italiani non ce n’è neanche uno. Eppure per certi versi la comunità italiana è quella che maggiormente ha modificato i costumi della Germania negli ultimi 30 anni. E questo lo si percepisce nettamente nel modo di vestire e di mangiare dei tedeschi di oggi, che è sensibilmente migliorato proprio grazie agli usi ed ai costumi dei nostri immigrati».

Questo un breve spaccato della comunità turca. Ed i nostri connazionali?

Prosegui la lettura e vai al secondo capitolo: «Italiani in Germania: Storia di una generazione»

Questo articolo fa parte dell’inchiesta “Einwanderer – L’immigrazione italiana (e non solo) in Germania” realizzata da Alessandro Brogani nel luglio 2014. Clicca qui per leggere la prefazione e sfogliarla capitolo per capitolo.

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* A dire il vero si trattava di una vera e propria inchiesta sul fenomeno dell’immigrazione giovanile qualificata in Germania, soprattutto a partire dal 2012, data nella quale nel solo primo semestre ben 32.633 nuovi italiani, 27.056 spagnoli, 26.382 greci e 9.914 portoghesi hanno ufficialmente varcato i propri confini per venire a lavorare nel paese della Merkel.

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