I onLy cOme ouT at niGht: KitKat mon amour
Peso pochissimo. Sono alto e sono sempre stato magro, ma l’ultima volta che ho pesato così poco dovevo aver avuto quindici anni. Questo è il peso minimo che abbia mai raggiunto da allora. Mangio con appetito, ma a volte gli eventi si susseguono in modo così repentino da non darmi tempo.
Venerdì sono stato al KitKat. Vicino all’ingresso due ragazzi mi hanno chiesto perché non fossi dentro, “ti hanno forse lasciato fuori? Noi non siamo riusciti a entrare!”. I dress code dei night club berlinesi sono noti a tutti, per chi è abituato a frequentarli non è nulla su cui dover spendere troppo tempo, altri devono stare un po’ più attenti ai “dettagli”, ma… il KitKat, ragazzi! Ho chiesto “di dove siete?”, uno dei due aveva pantaloncini di jeans e t-shirt rossa. Mi ha risposto “ich bin ein Berliner!”. Allora ho rilanciato, “ma sai che posto è il KitKat? Io non vi farei entrare mai, non vi vorrei lì dentro!”. Il suo amichetto era vestito in modo pseudo-elegante, ad un matrimonio sarebbe stato troppo casual, a lavoro troppo pacchiano. Io indossavo un completo semplicissimo, leggings di latex, anfibi, e una maglietta che avevo creato tra un gin e tonic e l’altro, avevo una sorta di collana con sottili strisce di cotone che pendevano dal collo e un taglio laterale che mi lasciava il torace scoperto per metà. Come sempre ho dovuto legare la maglia da dietro a mo’ di corsetto, perché non ho abbastanza pelle per riempirla.
All’interno ho ritrovato un grande salotto. Mi è venuta subito incontro una ragazza che ho conosciuto tre anni fa, ormai, abbiamo un po’ parlato della sua galleria d’arte e di ciò che fa al momento. Non appena l’ho lasciata, ho fatto pochi metri e qualcuno mi ha baciato. Gli ho chiesto se ci conoscessimo. Apparentemente gli avevo venduto la t-shirt che indossava, allora ho ricordato tutto: degli amici si erano esibiti alla Fête de la Musique, ero andato a salutarli ed ero stato al merch per un po’, a parlare con un’amica che stava dando loro una mano. Gli avevamo venduto questa maglietta ed effettivamente gli avevo chiesto di indossarla lì, “davanti a me”. Berlino è grande, ma non abbastanza. Chi lo avrebbe detto! “Ci vediamo dopo”, mi ha detto lui. Io mi sono servito ad un solo bar, da una sola barista, che alle mie continue richieste (“più gin”) mi guardava sconcertata. Baby, I know. Non so come mi sopporti, ma non penso mi sopporti poi tanto. Abbiamo in comune gli Einstürzende Neubauten, è una lunga storia. Un’altra ragazza è venuta ad abbracciarmi, ha detto che ci incontriamo spesso e che dobbiamo rivederci, io ricordo il suo viso, ma non ho idea di chi possa essere. Poi ho rivisto un paio di conoscenze del circuito dark/post-punk, è stato piacevole scambiare due chiacchiere. Considerando il pre-serata, dovevo già aver bevuto una bottiglia di gin almeno, ach Mann! Ricordo di aver trascorso tanto tempo con una persona. Era tutto molto piacevole e ho chiesto che lo fosse ancora di più. Mentre ci stavamo avviando romantici verso il nostro obiettivo, qualcuno mi ha preso improvvisamente per mano. Mi sono voltato, si trattava del tipo della t-shirt. Ho scelto lui e ce ne siamo andati in giro per il KitKat, sempre mano nella mano. C’era davvero troppa gente. Volevo più privacy, “let’s go home”.
Non ho paura e sono estremamente versatile nella gestione delle stronzate della vita quotidiana. Tuttavia non ho un aspetto del tutto “comune” e questo sposta l’attenzione di passanti e rompicogl***i su di me. Devo sempre preoccuparmi di cosa mi succede attorno e capire se qualcuno mi stia fissando in modo particolarmente cattivo. Dopo un paio di bicchieri di generico alcol, divento sempre più disinvolto e spavaldo, abbasso la soglia dell’attenzione e del controllo, soprattutto dell’autocontrollo, così mi è successo di ritrovarmi un sabato notte alle quattro del mattino per strada, mezzo nudo, con addosso brandelli di pantaloncini di jeans, quasi come un teenager, ma con un paio di elementi kinky.
Mi sono mosso in alcune strade laterali di Kreuzberg, quando si è messo a piovere. Ho visto sul marciapiede un ammasso di vestiti, ho rovistato alla ricerca di qualcosa della mia taglia e ho trovato un cappotto invernale. L’ho indossato e ho sentito alle mie spalle “hey, vuoi una sigaretta?”. Io non sono il tipo di persona che fermerei per strada, ma sono il tipo che fermerebbe qualcuno in piena notte senza un nobile motivo.
Una volta qualcuno, attraversando la strada, mi ha detto “I love you”, ho teso la mano e ne sono seguiti mesi di drama. Ad ogni modo, col mio nuovo cappotto verde scuro, mi sono riparato davanti all’ingresso di un palazzo e mi sono messo a discutere con la mia nuova conoscenza. Ho chiesto se avesse del vino a casa, ha assentito. Ho detto che me ne sarei dovuto andare, ha assentito. Ho detto che avrei dovuto prima farmi un bicchiere di vino e poi andare. Ha acconsentito.
È tutto troppo pericoloso, assolutamente ambiguo, potrebbe finire molto male, in questa città gira troppa droga. Non è una buona idea. Ma io non ho mai buone idee, allora sono salito nel suo appartamento.
Il dolore cura altro dolore, o meglio ne attutisce la violenza, perché procura esso stesso una violenza nuova, più incisiva e pungente. Sono rientrato a casa con alcuni lividi, una bottiglia di Trebbiano d’Abruzzo in mano e non solo con la mia nuova giacca verde scuro, ma anche con una profumatissima t-shirt che ho ricevuto in regalo.
Ein Arschloch è un verme metropolitano che vive soprattutto di notte.
Ama l’anatomia, l’arte e, paradossalmente, la campagna.
Odia i tovaglioli di carta, la plastica e svegliarsi al mattino.
Nightwalker, musicista, post-modern dj, D.I.Y. creative.
Ich bin kein Künstler, ich bin ein Arschloch.