47 vittime in vent’anni: in Germania l’estremismo non è ancora morto
30 Settembre 1996, Trebbin. Il muratore italiano Orazio Giamblanco viene colpito alla testa con una mazza da baseball dallo skinhead Jan W., militante di estrema destra. La sua colpa? Essere italiano. Subisce delle lesioni gravissime, i medici riescono a salvargli la vita dopo due operazioni d’urgenza, ma sarà affetto da una grave disabilità per il resto della propria vita. Siamo nel pieno dell’escalation di violenza xenofoba che si è registrata negli anni ’90, in concomitanza con la caduta del muro di Berlino e con la riunificazione della Germania.
In una nazione dove la presenza di stranieri è particolarmente elevata, grazie soprattutto ai gastarbeiter invitati dal governo tedesco dopo la fine della seconda guerra mondiale, la CDU ha buon gioco a soffiare sul fuoco dell’odio razziale, proponendo una politica di forte restrizione nei confronti di stranieri e richiedenti asilo. Il risultato è una serie impressionante di aggressioni a stampo xenofobo, di cui alcune particolarmente efferate.
Il 28 Maggio 1993, quattro skinhead tedeschi danno fuoco alla casa di una famiglia turca a Solingen: 3 ragazze e 2 donne morte, numerosi feriti.
Il 18 Gennaio 1996, viene dato fuoco ad un centro di richiedenti asilo a Lubecca: 3 adulti e 7 bambini perdono la vita. I responsabili non sono mai stati trovati.
Questi sono solo i casi più eclatanti: dalla riunificazione, secondo i dati ufficiali del governo, i morti a causa di aggressioni riconducibili agli ambienti di estrema destra sono 47, e le aggressioni continuano anche ai giorni nostri. Tuttavia, questa cifra è stata spesso oggetto di critiche, che ritengono i criteri troppo stringenti: le statistiche annoverano infatti esclusivamente i casi in cui la matrice estremista sia stata riconosciuta come determinante in sede di giudizio.
Associazioni come Mut gegen rechte Gewalt, fondata dalla rivista Stern, parla di un numero molto più elevato, attorno alle 182 vittime. Ovviamente, i casi come quello di Giamblanco non rientrano in queste cifre, perché non hanno avuto un esito mortale. Possiamo quindi immaginare il numero reale di aggressioni perpetrata da militanti di estrema destra nel paese dopo la riunificazione: si tratta di un costante e inesorabile stillicidio di violenza.
Casi come quello della cellula terroristica neonazista di Zwickau, che è stata lasciata agire indisturbata per oltre un ventennio, testimonia chiaramente il lassismo delle autorità tedesche nei confronti di questo grave problema, peraltro ben mascherato dalle continue azioni simboliche intraprese dai governi che si sono alternati al potere. Il che ci riporta alla cronaca degli ultimi giorni. La totalità (ad eccezione dell’Assia, che si è astenuta) dei ministri dell’interno dei Länder tedeschi, infatti, si è pronunciata la scorsa settimana a favore di una nuova procedura di messa fuorilegge nei confronti della NPD, equivalente tedesco di Forza Nuova.
Si tratta di una questione che va avanti da più di un decennio, in cui prima il governo Schröder (2001), poi il ministro dell’interno bavarese Herrmann (2009) hanno tentato analoghe azioni, senza successo. La Corte Costituzionale di Karlsruhe, l’unica dotata del potere necessario per dichiarare un partito fuorilegge, non si è mai trovata davanti a prove inconfutabili dell’incostituzionalità della NPD, nonostante la forte connessione di quest’ultima con gli ambienti più violenti della destra estrema sia comunemente nota.
Se si pensa che, nel 2003, la Corte afferma di non poter emettere un verdetto perché non è riuscita a stabilire se i contenuti contrari alla Costituzione rinvenuti nei dibattiti interni alla NPD fossero spontanei o suggeriti dagli stessi agenti infiltrati dall’Ufficio di Protezione della Costituzione, si capisce come il dubbio che gli ambienti di estrema destra godano di protezione ad alti livelli trovi sinistre conferme. Questo tipo di inquinamento di prove e confusione burocratica è esattamente il modo in cui la cellula di Zwickau è stata protetta.
Se, da una parte, l’antifascismo convinto e militante della maggioranza della popolazione tedesca è fuori discussione, dall’altra rimane il sospetto fondato che qualcuno, ai piani alti, sia nostalgico del passo dell’oca. Nel cuore di una crisi profonda e strutturale come quella che stiamo vivendo di questi tempi, questa dinamica è a mio parere particolarmente pericolosa, perché se un ritorno al passato è, per sua stessa definizione, impossibile, il ripresentarsi di vecchie ideologie sotto nuove insegne è invece un rischio concreto, come ciò che sta avvenendo in Grecia e in Ungheria testimonia indiscutibilmente.
Sembra che, al di là delle belle parole e delle iniziative benefiche, le vittime della violenza di estrema destra come Orazio Giamblanco abbiano insegnato poco alla politica tedesca, e il rischio di ritrovarsi davanti a nuovi casi di violenza sussista tutt’ora. D’altronde, come ho scritto qualche giorno fa, se si evita di indagare le cause genetiche-politiche del diffondersi dell’estrema destra, si lascia un pericoloso spiraglio ad una sua ricomparsa.