di Pasquale Episcopo
Angela Merkel ha vinto le elezioni e tuttavia la vera perdente è lei, anche se governerà la Germania per i prossimi quattro anni. L’SPD è l’altro grande sconfitto. Ha ottenuto il peggior risultato dalla fine della seconda guerra mondiale. CDU-CSU e SPD sono i due principali partiti storici tedeschi. Per tre legislature (1966-1969, 2005-2009 e 2013-2017) hanno formato una “Große Koalition”, cioè, per dirla all’italiana, un governo di larghe intese. Avrebbero ancora insieme i numeri per formare un governo di coalizione, tuttavia difficilmente ciò potrà accadere.
Passiamo ai veri vincitori. Sono tutti gli altri partiti, in primis AfD, che si è aggiudicato il terzo posto, seguito a ruota dai liberali della FDP. Gli altri due partiti “vincenti” sono Die Linke (la sinistra) e i Verdi che, seppur di poco, hanno migliorato i risultati delle precedenti elezioni. Sia AfD che FDP non erano presenti nella precedente legislatura perché nelle elezioni del 2013 non avevano raggiunto la soglia di sbarramento del 5% prevista dalla legge elettorale tedesca. Ma c’è un distinguo da fare. Mentre l’FDP è un partito con una lunga storia alle spalle (ha fatto parte di precedenti governi e per anni ha svolto la funzione di ago della bilancia tra CDU-CSU e SPD) AfD è una “new entry” nel panorama politico tedesco essendo stata fondata nel 2013. Nel Land della Sassonia, nella ex-DDR, AfD è diventato il primo partito in assoluto col 27% delle preferenze. È il Land con capitale Dresda, città in cui è nato, nel 2014, il movimento xenofobo e anti-islamista denominato Pegida. Nell’intera Germania orientale, l’ex-DDR, AfD è il secondo partito dopo l’Unione CDU-CSU.
Finora non sono successe grandi cose, a parte la designazione di Wolfgang Schäuble (CDU) a presidente del Bundestag e l’elezione della signora Andrea Nahles a rappresentante l’SPD nel nuovo parlamento. Le negoziazioni sulla composizione del nuovo governo si stanno rivelando piuttosto difficili e presumibilmente dureranno ancora giorni, se non settimane. Le possibilità non sono poi molte. Nel momento in cui scriviamo appare sempre più probabile una coalizione tra Unione, liberali e Verdi (cosiddetta Giamaica) rispetto a una riedizione della “Große Koalition”. Meno scontato sarà capire il peso che la vittoria dell’AfD avrà a livello locale ed europeo. Alcune considerazioni possono essere fatte fin da subito. Vediamo.
In ambito europeo e fatta eccezione per l’Inghilterra (che però con Brexit è ormai fuori dall’Europa) la Germania è l’unico grande Paese in cui i principali partiti storici non sono scomparsi. Essi sono nati alla fine del secondo conflitto mondiale quando il paese era distrutto, le città un ammasso di macerie senza paragoni nel vecchio continente, la popolazione stremata e decimata dopo sei anni di una guerra causata dalla pazzia nazionalsocialista. Il riferimento è d’obbligo perché negli ultimi settanta anni la mentalità e la cultura tedesche sono state segnate come in nessun altro Paese, in Europa e nel mondo, dagli orrori della guerra. Lo sterminio di sei milioni di ebrei ha lasciato un profondo senso di colpa in quasi tutto il popolo tedesco. Questo sentimento ha di fatto giocato un ruolo non secondario in termini di scelte elettorali. Accanto al senso di colpa delle generazioni più vecchie, in anni più recenti nei più giovani è sorto un desidero di affrancarsi dal fardello del passato, da colpe che, dicono, non sono le loro, semmai dei padri e dei nonni. Probabilmente questo diverso modo di percepire la storia si è tradotto in opinioni, valori e modi diversi di interpretare la politica.
Se c’è un aspetto che la società tedesca dovrà comprendere e analizzare prossimamente è come sia stato possibile che un partito nazionalista ed anti-europeista come AfD, dichiaratamente xenofobo, abbia potuto ottenere un così largo consenso da raggiungere quasi il 13% delle preferenze, diventando il terzo partito del Paese. Va detto che il successo di AfD non si è limitato ai Länder orientali, come la Sassonia. In Baviera, da sempre roccaforte della CSU, AfD ha avuto un successo ancora più sorprendente con il 12,4% delle preferenze, risultato molto vicino al 15,3% dell’SPD.
In una circoscrizione elettorale del comune di Deggendorf, cittadina di 30.000 abitanti vicino al confine con l’Austria, AfD ha persino superato la CSU col 31,5% dei voti rispetto a un miserrimo 24,4% dei cristiano-sociali. La causa (malcelata) di questo risultato sono loro, i profughi: esattamente due anni fa ne arrivarono centinaia di migliaia grazie alla decisione di Angela Merkel e del suo governo. È contro quella decisione che AfD ha impostato gran parte della sua campagna elettorale scegliendo manifesti e proclami (“Bund statt Burka”) offensivi per la dignità dei richiedenti asilo. Nonostante oggi a Deggendorf i profughi siano solo poche centinaia, è chiaro che la propaganda populista di AfD ha fatto breccia.
Ma torniamo alla Germania nel suo complesso. Se, dunque, c’è un aspetto che osservatori e analisti dovranno chiarire nei prossimi giorni, settimane o mesi è come mai, dopo decenni di dittatura nella ex-DDR e dopo un evento come la caduta del Muro di Berlino, il seme del nazionalismo e della xenofobia sia potuto rinascere così forte nel Paese. Quattro anni fa soltanto per una manciata di voti AfD non era riuscita a entrare in parlamento. Ora ben 94 deputati siederanno nei seggi del Bundestag. Tra loro c’è un po’ di tutto: nostalgici della dittatura, negazionisti dell’olocausto e persino un ex-impiegato della Stasi (Staatssicherheit, Sicurezza dello Stato) la polizia segreta dell’ex-DDR magistralmente descritta nel film “La vita degli altri”. Tra loro c’è anche Björn Höcke, presidente del gruppo AfD al parlamento del Land della Turingia. Costui in un discorso tenuto a Dresda nello scorso gennaio ha affermato che i tedeschi sono “l’unico popolo al mondo ad aver piantato un monumento della vergogna nel cuore della propria capitale”. Il monumento in questione è il memoriale della Shoah con 2711 stele grigie di calcestruzzo inaugurato nel 2005 a due passi dalla Porta di Brandeburgo a Berlino.
Le elezioni tedesche aggiungono non pochi elementi di incertezza e di inquietudine al variegato quadro politico e sociale europeo e il tradizionale asse portante franco-tedesco ne risulta indebolito. Il populismo che nelle recenti elezioni francesi e olandesi aveva conosciuto una netta battuta d’arresto è tutt’altro che morto. Il 24 settembre in Germania la democrazia ha subito un duro colpo e questo Angela Merkel l’ha capito bene. I prossimi quattro anni saranno gli ultimi della sua lunga carriera politica. Il suo compito più difficile sarà quello di sventare il pericolo di una svolta populista che nel giro di pochi anni potrebbe trasformare radicalmente la società tedesca. Da questa trasformazione potrebbe cominciare il lento ma inesorabile declino dei due principali partiti della Germania.