Intervista a Toni Servillo: “Non c’è niente di più volgare dell’ipocrisia”
di Lucia Conti
L’incontro di Toni Servillo con gli spettatori del suo ultimo film, “Lasciati andare”, proiettato al CineStar della KulturBrauerei di Berlino sabato 11 novembre, è stato denso di parentesi ironiche piacevolmente complementari all’austerità che siamo normalmente portati ad associare a Servillo.
Non sono ovviamente mancati riferimenti al suo rapporto con Sorrentino. “Il regista abusa dell’attore. Ne abusa innamorandosene” ha scherzato Servillo dopo la proiezione, così come ha riso dicendo “La cosa buffa è che io sono un appassionato cultore di musica classica e quando Sorrentino ha fatto un film su un direttore d’orchestra (“Youth”, ndr) ha chiamato Michael Caine!”.
Non sono mancati neanche riferimenti alla Germania, legati soprattutto al film “Una vita tranquilla” e frasi pungenti sulla mediocrità televisiva, come “Continuo a sentire mio un celebre detto di Marlon Brando: il cinema è dei registi, il teatro degli attori e la tv dei residui”.
Ieri si è tenuto invece un bellissimo reading di brani di Pirandello presso l’Ambasciata d’Italia a Berlino, che ha concluso degnamente l’Italian Film Festival di Berlino. In questo contesto l’attore campano ha ricevuto una standing ovation dopo la magistrale lettura della novella “La carriola” di Pirandello e di due toccanti poesie di Eduardo De Filippo.
Io ho intervistato Servillo a Berlino il giorno prima che tutto questo avesse luogo, in una mattina grigia e piovosa, perfettamente rappresentativa del clima cittadino.
Seduti l’uno di fronte all’altra abbiamo parlato di cinema. E di coerenza.
Partiamo da “Lasciati andare”, proiettato anche nell’ambito di questo Berlin Film Festival. In questo film, lei appare in un ruolo prettamente comico
In realtà io avevo detto da tempo che mi sarebbe piaciuto recitare in una commedia cinematografica, anche perché volevo sfuggire a quei facili etichettamenti che ti incasellano come attore che si dedica solo a un certo tipo di cinema autoriale, impegnato e siccome io sono un attore di teatro e mi sono misurato molte volte in teatro con la commedia e ho avuto il piacere di godere di quel momento liberatorio ed entusiasmante in cui si ride dal palcoscenico e con la platea tutti quanti insieme e non mi era mai capitato al cinema, ho messo un po’ in giro la voce che mi sarebbe piaciuto misurarmi con questa difficoltà. Parlo della difficoltà di interpretare un personaggio leggero, da commedia.
E quindi è arrivato “Lasciati andare…”
Sì, è arrivata questa sceneggiatura, che mi è sembrata molto efficace, con un personaggio molto bello. È una commedia elegante, raffinata, che guarda a Lubitsch, a Billy Wilder e quindi diversa da certe commedie usa e getta che sono confezionate solo mettendo insieme qualche sketch e qualche battuta a effetto e questo devo dire ha incontrato anche il favore del pubblico, perché il film è andato molto bene, in Italia.
Mi fa anche piacere che in questa rassegna berlinese, in cui sono in programma “Il divo” e “La grande bellezza”, siano incluse anche questa commedia ma anche un film come “Viva la libertà”, di Andò, che per quanto parli di un argomento serio, che è la politica, ha però toni da commedia, se non altro perché io interpreto due gemelli e quello dei gemelli è un topos della comicità classica, a partire dalle commedie plautine…
Quindi c’è spazio per la commedia di qualità, in Italia…
Volendo sì, perchè veniamo da un paio d’anni in cui il pubblico, con intelligenza, ha cominciato a rifiutare la commedia usa e getta. Io credo che ci sia sempre uno spazio per la qualità, il pubblico è sempre più intelligente di chi propone, è capace di riconoscere, di rifiutare e di premiare.
Tutti i personaggi che hai interpretato hanno sempre un fondo di malinconia ruvida. È una cosa che fa parte di lei o quando costruisce un personaggio si allontana da se stesso in modo radicale?
Io cerco di allontanarmi completamente da me stesso, non mi piace propormi, mi piace nascondermi dietro i personaggi, sono forse gli autori che vedono in me una possibilità di raccontare questa sfumatura… nel caso di Sorrentino sicuramente. Il cinema di Sorrentino è un cinema straordinario, in cui la componente della malinconia gioca un ruolo molto grosso, però la malinconia non è un tratto distintivo del mio carattere né intendo imporlo, probabilmente accade involontariamente. Il protagonista di “Lasciati andare” non è neanche malinconico, è più che altro un orso che viene stanato dalla sua personal trainer.
In tutta la sua carriera lei si è sempre mantenuto fedele a uno standard qualitativo molto alto. È stato più naturale o più difficile?
Intanto il teatro mi dà un grande equilibrio in questo senso. Non mi vedo costretto ad accettare qualsiasi cosa, perché se qualcosa non mi piace ho il teatro che occupa la mia mente, il mio tempo, le mie giornate. Io sono un attore di teatro che recita mediamente duecento sere all’anno, tutti gli anni, in giro per l’Italia e per il mondo, quindi non concepisco il teatro come anticamera per aspettare che arrivi il successo cinematografico. Anzi, direi che una buona parte degli spettatori che vengono a vedermi al cinema mi hanno conosciuto proprio a teatro. Il mio ultimo spettacolo è stato in scena per tre mesi di fila, al Piccolo Teatro di Milano, e a Milano abbiamo fatto più di 30.000 spettatori. Il teatro è uno splendido risultato.
Io ho visto una sua bella interpretazione nella commedia “Sabato, domenica e lunedì”…
Quello spettacolo lo abbiamo portato anche qui a Berlino, al Belle Teather, un po’ di anni fa. Quindi credo che sia questo che mi impedisce di avere, con il cinema, una qualunque relazione di natura mercenaria. Io faccio un film se trovo che in quel film ci siano delle difficoltà eccitanti da affrontare e se posso condividere con il regista un profilo umano e un orizzonte intellettuale. E poi, e in questo mi rivolgo soprattutto ai giovani, questo equilibrio a volte si costruisce quando si dicono più no che sì. A volte per dire dei no bisogna avere la consapevolezza di rinunciare a delle cose, anche allettanti. Però si dice no. Se invece diventa automatico dire sempre sì, tutto diventa indistinto e anche il tuo modo di fare e questo mestiere diventano indistinti. Quindi vanno operate delle scelte, si decide di far parte di una cosa e di non far parte di un’altra.
Qual è l’ultimo film che ha visto e che le è piaciuto?
Ho trovato “Dunkirk” straordinario. In quest’epoca di serialità, televisione e cinema fatto per riempire le sale in maniera un po’ superficiale, è uno di quei film che ti fanno dire, quando esci dalla sala: “Accidenti, ma allora esiste ancora quest’arte!”. Si parla di una tragedia reale, realmente vissuta, e di un episodio storico, commovente, avvenuto durante la seconda guerra mondiale, quello di Dunkirk, e il tutto è raccontato esclusivamente con i mezzi del cinema: montaggio, inquadratura, sorprendente incastro drammaturgico. È la magia del cinema che da solo può raccontare tutto, è un film dove i dialoghi sono ridotti all’osso, perché l’eloquenza dell’immagine, e il cinema è immagine in movimento, è straordinaria.
E il lavoro degli attori?
Il lavoro degli attori, per quanto interessante, fa anch’esso un passo indietro, perché il vero protagonista che ossessivamente si impossessa del cuore e della mente dello spettatore è l’orrore della guerra. Io sono cresciuto vedendo i più bei film sulla guerra, che non si limitavano a essere film di denuncia, ma entravano in profondità, anche nella complessità dell’animo umano… basta citare “Il cacciatore” di Cimino o “Apocalypse Now”, parliamo dei veri capolavori che hanno formato la mia generazione, film che ho visto da ragazzino. Beh, devo dire che, pur non raggiungendo quelle vette, “Dunkirk” di Nolan si può inscrivere nella sequenza di questi grandi film.
Per converso cosa non le piace sullo schermo? Cosa trova volgare o sbagliato?
L’ipocrisia. Fingere di voler raccontare qualcosa con fini e obiettivi nascosti che invece vogliono ottenere tutt’altro, per esempio fingere di fare una commedia per far ridere il pubblico e invece ricorrere ai sentimenti più bassi e agli istinti più retrivi, trattare il pubblico come un consumatore che entra in un supermercato, obbligarlo a vedere certe cose perché lo si è costretto, prima che entrasse in sala, a orientare il suo gusto in quel senso. Questa la trovo una cosa veramente brutta.
Io la ringrazio del suo tempo e le faccio un’ultima domanda, un po’ irrituale. Una mia cara amica sta attraversando un brutto periodo. Abbiamo visto e amato insieme molti dei suoi film e quando ha saputo che l’avrei intervistata mi ha chiesto di farle una domanda da parte sua. La domanda è: “Come si fa a resistere?”
Oddio, mi dà una grande responsabilità… non so quale sia il problema specifico della sua amica, ma per quanto riguarda me io trovo molto conforto nel silenzio e nella musica. Alternate.