Immortalare un momento. Comprendere una consapevolezza improvvisa.

[© Matt Mechtley / CC BY SA 2.0][© Matt Mechtley / CC BY SA 2.0], immortalare
[© Matt Mechtley / CC BY SA 2.0], immortalare
di Federico Valensise

Immortalare un momento. Comprendere una consapevolezza improvvisa.

Ultimo giorno anche qui. Altra fine di altri giorni. Tra dormitori, metropolitane, felicissime assenze di cellulari, feste, nuove conoscenze, innamoramenti in versione tascabile e… dopo tutto ciò, mi ritrovo qui ad immortalare il momento. Quasi non ci credo.

Sono davanti a quella che potrebbe essere l’evoluzione darwiniana del chiosco da strada. Un “locale” orientaleggiante – Cina, Vietnam, Thailandia, Kamchatka – che funge anche da kebapparo. I due colossi alimentari del junk food da strada, da fame chimica e da post party, che si uniscono.

Come se Apple & Microsoft si fondessero fisicamente! Lo schermo blu e la mela argento. Come se Dio e Maometto avviassero una startup in un god-working space. Il monopolio delle anime.

Scompiglio, gioia, paura, adorazione, il tutto ad un prezzo modico.

La ciliegina è che mentre mangio il mio cino-thai-viet-arab-kebap, il deejay-affettatore di carne di Fortunadrago, propone una playlist alquanto sdolcinata che raggiunge il suo simultaneo culmine-fondo già alla seconda traccia: la famosa-famigerata-mitologica “Can’t Live” di Miss Mariah C.

Il karma ascolta musica tramite cuffie giganti e insonorizzate, non collegando lo spinotto alla mia vita.

Probabilmente è solo il risultato di un’indagine di mercato dell’appena nata lobby dei cino-kebappari. Che ci sia un collegamento tra canzoni romantiche e cibo? Cosa innesca il tutto? Il cibo oppure la musica romantica? Sarebbe la base su cui fondare una genuina attività di junk food chimico di strada. La cellula Europea della lobby, venuta a conoscenza del Teorema di Marco Masini (lo ascolto perché son triste o sono triste perché lo ascolto), ha deciso di procurare sia abbondante musica romantica che junk food. La fidelizzazione ė l’assuefazione.

Ora. In mezzo a legni verdi vissuti. Probabilmente reincarnati, ma sempre-verdi. Quel verde a tonalità vomito di piselli della giovane Linda Blair, circondato da menù, sottomenù, combo alimentari, sconti e insegne involontariamente lampeggianti. Forse involontariamente luminose.

Ora. Ho come compagni di pasto un lavavetri – a meno che la bottiglietta di plastica con acqua e sapone non faccia parte del menù del giorno – e un clochard ballerino con l’occhio spiritato – quello spirito che, santo o no, si trova sempre in bottiglia o tetrapak.

Ora. Credo sia uno dei miei migliori pranzi. E non vorrei mai chiedermi perché.

Adesso parte anche “Careless Whisper” di George Michael ed io sono rimasto solo tra i tavoli. Vado via. Prima che lo chef abbia l’ardire di preferirmi al tronco di kebap.

Una fine di giornata degnamente in linea con l’inizio.

Un tizio che, sulle scale mobili, con una mano tiene il mezzo litro di birra che sorseggia e con l’altra regge l’undicesimo dito, mingendo sulle scale. Ha capito tutto. Nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Inoltre, in un mondo fatto a scale, lui stava già su quelle giuste. Aveva-capito-tutto.

Forse capisci tutto finché non ti accorgi di aver capito tutto.

La consapevolezza non implica necessariamente la comprensione. La consapevolezza è il punto di partenza. Qui è come viaggiare senza muoversi.

Forse è solo l’effetto che si ha guardando le nuvole in questa città. Forse è solo il cino-kebap che mi sta fidelizzando cominciando dallo stomaco.

Beh. La canzone è quasi finita. È il momento di un finto caffè e poi direzione Aeroporto. Il mio posto è qui. Come se non avessi mai avuto dubbi, ma li avessi cercati. Per essere più sicuro.

Preparo la valigia.

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Questo racconto breve è stato scritto da uno degli studenti di “Le Balene Possono Volare”, un progetto di Laboratori di Scrittura Creativa per Italiani che ha preso vita a Berlino nell’estate del 2013 per iniziativa di Mattia Grigolo.

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