Ravers for Palestine e il boicottaggio del Berghain: ecco cosa sta succedendo
Nella seconda stagione della serie tedesca Kleo, uno dei personaggi incarna lo stereotipo romanticizzato del raver della Berlino ovest post-riunificazione, immerso nella psichedelia e nelle teorie più assurde, impegnato a organizzare feste con musica elettronica e sostanze che “aprono le coscienze”. Un altro personaggio, legato alla CIA, commenta favorevolmente la nascita di una grande manifestazione di musica techno (evidentemente la Love Parade), dicendo che, per i poteri occulti che guidano la società, è un bene che i giovani si dedichino all’edonismo e alle droghe, poiché questo li rende innocui e più facili da controllare. Questo è evidentemente solo uno dei punti di vista sulla questione, ma non certo l’unico. Per moltissimi, infatti, la cultura dei rave è una cultura politica, dal punto di vista sia concettuale che pratico. Ed è per questo che, negli ultimi mesi, ha guadagnato forza e notorietà il collettivo Ravers for Palestine, che sta conducendo, con crescente successo, un boicottaggio del Berghain.
Ravers for Palestine, Arabian Panther e il boicottaggio del Berghain
Facciamo un passo indietro: che cosa contrappone i fondatori di Ravers for Palestine (le cui identità non sono note) al più famoso club techno del mondo? Il collettivo ha avviato a gennaio una campagna di boicottaggio contro il Berghain e altri locali, per non aver preso posizione sulla crisi umanitaria a Gaza e sull’operato di Israele, che è risultato nella morte di oltre 45.000 civili, in gran parte bambini, ma anche sugli attacchi al Libano. L’iniziativa ha guadagnato terreno, attirando l’attenzione di numerosi artisti e del pubblico e arrivando anche ai media internazionali, dal New York Times al Guardian.
Diversi artisti hanno annunciato il loro ritiro dalle programmazioni del club. Il DJ franco-libanese Arabian Panther ha denunciato la cancellazione di un suo evento da parte dello stesso Berghain, sostenendo che il club lo abbia escluso dalla programmazione a causa dei suoi post pro-palestinesi sui social media. Nel frattempo, anche l’etichetta discografica Pan ha ritirato la sua partecipazione a un evento previsto.
Il Berghain, finora, non ha commentato la situazione, continuando la sua normale attività e sostituendo i DJ e le etichette che, progressivamente, cancellavano la propria partecipazione. Tuttavia, il silenzio del club non ha placato le critiche, anzi, ha alimentato ulteriormente il dibattito. In alcuni post comparsi sulla piattaforma Reddit, presumibilmente da ambienti vicini al club, si chiedeva al pubblico di scrivere alle etichette discografiche, esortandole a non cancellare gli impegni con il Berghain. I commenti ai post esprimono, per la stragrande maggioranza, posizioni pro-palestina e critiche veementi al Berghain.
Il paragone con la presa di posizione per la guerra in Ucraina
Anche la leggendaria “riservatezza” dei gestori del club non riesce a valere come giustificazione per una mancata presa di posizione in merito, dal momento che il Berghain, così come altri locali della scena techno europea, si erano espressi senza mezzi termini a sostegno dell’Ucraina dopo l’attacco russo nel 2022. “I club occidentali erano unanimi nell’indignazione quando la Russia ha invaso l’Ucraina” si legge in un post di Ravers for Palestine, pubblicato due mesi fa su Instagram “ora che Israele si prepara a invadere il Libano, dopo un anno di genocidio, nemmeno uno si è espresso”.
La vicenda si inserisce in un contesto più ampio di tensioni in Germania riguardo alle posizioni assunte dal governo e da molte istituzioni culturali in merito al massacro di civili a Gaza. La politica tedesca mantiene una posizione di sostegno a Israele e non di rado lo fa menzionando la responsabilità storica della Germania in materia di lotta all’antisemitismo. Chi critica questa posizione sottolinea la necessità di disgiungere il concetto di antisemitismo da quello di critica alle scelte di uno specifico governo di uno specifico Stato, ritenendo inaccettabile che la condanna a quelli che la commissione delle Nazioni Unite ha definito crimini di guerra possa essere considerata implicitamente antisemita.
L’intera scena techno berlinese, recentemente riconosciuta come patrimonio culturale dall’UNESCO, si trova ora al centro di questo dibattito politico.
Il collettivo “Ravers for Palestine” è nato nell’ottobre 2023 con una lettera aperta firmata da oltre 50 artisti londinesi, il gruppo ha raccolto fondi per sostenere gli artisti in sciopero e promuove azioni di boicottaggio e sensibilizzazione politica, oltre a raccogliere fondi per il supporto e l’evacuazione di famiglie e individui da Gaza. Il collettivo ha dichiarato di voler “ricollegare la cultura rave alle sue radici di resistenza attraverso boicottaggi, azioni autonome, aiuto reciproco ed educazione politica”. Secondo l’organizzazione, il boicottaggio mira a contrastare i tentativi israeliani di utilizzare la cultura rave per normalizzare la propria immagine internazionale, in particolare attraverso la promozione della vita notturna di Tel Aviv.
Hatim Belyamani, fondatore di Remix-Culture, ha espresso il suo sostegno al boicottaggio, sottolineando l’importanza di dare voce ai musicisti palestinesi e alle persone sistematicamente emarginate. Belyamani ha dichiarato che la musica e la cultura possono essere potenti strumenti di resistenza e cambiamento, e che è fondamentale che la comunità internazionale ascolti e supporti le voci oppresse.