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“Che genere di donna?”: intervista a Lisa Mazzi ed Elettra de Salvo

Il volume “Che genere di donna? Retrospettive femministe di due expat tra Italia e Germania” scritto da Lisa Mazzi ed Elettra de Salvo, è un testo che si propone di arricchire la memoria storica del femminismo, con particolare attenzione al contesto del rapporto tra Italia e Germania. Organizzato per temi, questo lavoro, approfondito e dettagliato, esplora i cambiamenti culturali, politici e sociali dei due Paesi, dalla metà del Novecento fino al presente. Le esperienze personali e professionali delle autrici, inoltre, offrono un ritratto non solo del femminismo italo-tedesco, ma anche delle implicazioni globali di questioni di genere sempre più articolate e ampie. Abbiamo intervistato le autrici per cercare di saperne di più.

Lisa Mazzi

Nel libro descrivi momenti privati che riflettono il tuo impegno femminista, se letti in chiave sociologica. C’è un episodio in particolare che ritieni particolarmente significativo, in questa direzione?

Direi che tutto il mio contributo è un susseguirsi di momenti significativi, sia per quel che riguarda le mie esperienze in Italia che quelle in Germania. Forse il più significativo è stato quello di presentarmi alla prova orale del concorso per titoli ed esami e per un posto di associato all’università del Saarland con una conferenza sull’importanza del Referendum per la depenalizzazione dell’aborto, portando con me una copia di quel numero dell’Espresso che riportava in copertina la foto di una donna in stato di avanzata gravidanza crocifissa come Gesù di Nazareth, copia che dopo pochissimi giorni fu fatta ritirare per vilipendio alla religione. Senza minimamente riflettere sul fatto che la Commissione, composta da colleghi docenti e studenti, si potesse scandalizzare davanti all’immagine e alla mia veemenza oratoria abortista, ero convinta che fosse mio dovere di femminista parlarne anche in quella sede. E vinsi il concorso!

Quali erano le caratteristiche del femminismo italiano e tedesco degli anni ’70 e secondo te c’è dialogo, oggi, tra i femminismi dei due Paesi?

Il femminismo tedesco degli anni 70 è sorto e si è sviluppato in modi differenti. È nato insieme al coming out di gay e lesbiche e queste ultime hanno dato una forte e importante impronta al movimento, sottolineando la totale indipendenza dai dettami maschili anche sull’aspetto esteriore delle donne e rifiutando tutti i canoni della “grazia” e “bellezza” femminile, cosa che dalle donne italiane in Italia fu accettata solo in minima parte. Oggi il dialogo tra i due Paesi è apertissimo, grazie agli scambi interculturali tra gruppi presenti non solo in Europa ma in tutto il mondo, grazie alla Convenzione di Istanbul e sopratutto grazie alla mediazione e mobilitazione dei media, che non era possibile prima.

Che cosa rende l’impegno femminista diverso, per una donna che sia anche expat, e quali caratteristiche particolari assume questa prospettiva?

Credo che una expat riesca a fare maggiori esperienze grazie alla vita in un nuovo Paese, da un lato, ma pur sempre grazie al legame con quello di origine, che permette un’ottica doppia e differenziata. Credo che ci si pongano maggiori interrogativi e si acquisti con l’esperienza all’estero una maggiore sensibilità e un maggior senso critico nei confronti di tutti gli avvenimenti che ci riguardano. Sopratutto quando gli anni di permanenza lontano da casa superano quelli passati in Italia. Prendiamo ad esempio il femminicidio, il fenomeno più preoccupante a livello mondiale, che viene visto e trattato sia dal punto di vista mediatico, ma anche penalmente, in modo diverso da Paese a Paese. L’ottica doppia e lo scambio continuo con le origini aprono orizzonti più ampi, facilitando dialogo e comprensione.

Elettra de Salvo © Manuela Luise

Elettra De Salvo

In un’intervista hai detto che, solo dopo la proposta di collaborazione di Lisa, sei diventata pienamente consapevole di quanto il femminismo abbia influenzato il tuo lavoro artistico. Potresti spiegarcelo meglio?

Lavorando alla stesura della mia parte del libro, mi sono resa conto per la prima volta di quanti spettacoli e performance incentrate su questioni femminili e femministe avevo fatto, senza per altro definirmi tuttora un’attrice e regista “gender specific”. Ho capito però che per me era stato semplicemente ovvio, scontato, urgente dedicarmi anche ad autrici come Marina Zwetajewa, Dacia Maraini, Alda Merini, oppure alle artiste espressioniste e surrealiste, l’altra metà dell’avanguardia storica, mai nominate prima della famosa mostra di Lea Vergine a Roma, nel 1980. Oppure occuparmi, con Marguerite Duras o Laure Bataille, di letteratura erotica al femminile, da sempre roccaforte delle scrittura maschile, o infine elaborare anche temi scottanti e urgenti come l’infibulazione, per cui feci una performance con 40 donne: mi invitò anche Marina Abramovic a presentarla all’accademia delle belle arti in cui insegnava.

Negli anni ’70, ma anche oggi, l’attivismo passa anche dall’affermazione che a volte il privato è politico. Cosa significa tutto questo per te?

Il personale è ancora e sempre politico, assolutamente. Anche nel femminismo di nuova generazione questo slogan è attualissimo, contro un personale individualista economico neo-liberal. Lo slogan era della scrittrice americana Carol Hanish, che nel 1969 affermava che i problemi e le loro soluzioni non sono mai solo personali, ma collettive, pubbliche quindi politiche. E riguarda ogni discriminazione, non solo nei confronti delle donne, ma la violazione di tutti i diritti civili. Anch’io, come Lisa, prendo ad esempio la dolorosa e ancora inarrestabile tematica della violenza di genere, dei femminicidi, del revenge porn e di tutto quanto sia legato al sessismo. Non è mai solo un fatto privato di una singola donna, ma un fenomeno che colpisce tutta la collettività femminile e in quanto tale va combattuto con soluzioni e azioni politiche.

Quale pensi sia il ruolo dell’arte in questo dibattito e pensi che possa contribuire a favorire una maggiore presa di coscienza?

L’arte, la cultura hanno da sempre svolto un ruolo importante di sensibilizzazione e di riflessione per la società, per la coscienza collettiva. E hanno una grossa responsabilità, un importante compito di denuncia, protesta, educazione. Si sta lavorando sempre di più per un’immagine e un trattamento paritetico della donna e di ogni genere discriminato o non considerato del tutto. Con un quadro, una performance o un’opera lirica o teatrale, anche con la musica pop o per esempio con una Biennale Arte di Venezia come quella di quest’anno, “Stranieri ovunque”: puoi smuovere gli animi, illuminare aspetti della nostra storia passata o realtà recente, animare ulteriori azioni di dissenso. Forse aprire gli occhi anche ai nostri politici, che si occupino di armamenti, di immigrazione o di cultura. E far comprendere che proprio la mancanza di cultura e di arte è sempre stato substrato nocivo, anzi pericoloso, aprendo la strada a derive destabilizzanti, autoritarie, totalitarie. Anche oggi, sopratutto oggi, nell’era della falsa cultura del fake.

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