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Fuga da Berlino Est su un carro armato rubato: la storia incredibile di Wolfgang Engels

Wolfgang Engels non aveva nessun motivo per scappare dalla DDR e non ci aveva neppure mai pensato. Tantomeno aveva pensato di farlo a bordo di un carro armato rubato. Certo, c’erano degli aspetti della sua vita che non gli andavano giù. Tanto per cominciare, lui, a est, non ci era nato. Era nato a Düsseldorf nel 1943 e lì aveva trascorso i primi anni di scuola, in una Germania ancora piagata dalla guerra. Per I bambini, però, contano più gli amici, le voci care e conosciute, i parenti, la casa – specie quando la casa non viene rasa al suolo, perché non si vive nell’occhio del ciclone. A portarlo nella DDR era stata, nel 1952, sua madre, senza chiederglielo. 

Muro di Berlino
Reazione sul lato di Berlino Ovest in occasione delle elezioni per la Camera dei Rappresentanti di Berlino del 17 febbraio 1963 (prima elezione dopo la costruzione del Muro; la SED ottenne l’1,4%). Foto: Ulrich Waack, CC BY-SA 2.0 DE, via Wikimedia Commons

I primi anni nella DDR: la famiglia socialista e l’esercito

A dire il vero, nessuno lo aveva chiesto neppure a lei. Faceva parte del KPD, il partito comunista tedesco, che si riprendeva dagli anni di clandestinità e celebrava il successo di una Germania socialista sotto l’egida dell’Unione Sovietica. Più avanti, il partito sarebbe stato sciolto e soppiantato dalla SED, l’unico partito presente nella DDR, ma, in quel 1952, esisteva ancora e muoveva i suoi uomini e donne sullo scacchiere internazionale in omaggio a interessi superiori, che non tenevano certo conto dei desideri di un bimbo di 9 anni. Alla madre di Wolfgang fu ordinato di trasferirsi a est e la donna non fece alcuna obiezione, obbedì. In un’intervista rilasciata mezzo secolo più tardi, Wolfgang la definì “una fanatica” del partito e del socialismo. La donna entrò nella Stasi, fece carriera, sposò un maggiore in servizio presso il Ministero dell’Interno. La famiglia di Wolfgang Engels, insomma, era una di quelle che, nel regime dell’est, non se la passavano affatto male. Per Wolfgang, insomma, il Muro di Berlino non era affatto una gabbia. Anzi, aveva contribuito a difenderlo, quel muro, quando era stato tirato su.

Engels entrò nell’esercito a 17 anni e fu mandato proprio a berlino quel 13 agosto 1961 nel quale fu posato il primo mattone. Se avesse voluto scappare, ebbe occasione di dire in seguito, avrebbe potuto farlo molte volte in quei giorni frenetici.

La prepotenza delle guardie e la decisione di andare all’ovest

A convincerlo a scappare furono proprio gli uomini preposti a evitare che i berlinesi dell’est se la svignassero a ovest: le guardie di frontiera. E ci volle pochissimo: bastò un pomeriggio di pessime maniere.

Era un fine settimana come tanti, quando il diciannovenne Wolfgang Engels, che nel frattempo aveva abbandonato il servizio militare attivo per diventare autista dell’esercito, si trovava a Berlino, per la precisione a Mitte, con la ragazza e un amico. Bighellonavano per il quartiere, con l’idea di andare a passare la serata in un pub. I tre, mentre decidevano i piani per la serata, si fermarono in una stradina laterale non lontano dal muro, a leggere dei manifesti pubblicitari. A quel punto, arrivarono le guardie di frontiera e intimarono ai tre adolescenti di mettersi immediatamente faccia al muro, con le mani in alto e le gambe divaricate.

Muro di Berlino
Foto: Bundesarchiv, B 145 Bild-F079010-0037 / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 DE, via Wikimedia Commons

Wolfgang, però, non si sentiva particolarmente docile, non gli piaceva il modo in cui i militari li trattavano e, oltretutto, gli si stancavano le braccia, quindi riabbassò le mani. “Tieni in alto le zampe, maiale!” Gli intimò uno dei soldati. Arrivò un furgone e i tre furono portati nel tristemente noto edificio di Friedrichstraße per essere interrogati, accusati di aver tentato di scappare all’ovest. Vedendo il tesserino di autista di Engels, gli ufficiali della Stasi gli dissero che i suoi superiori sarebbero stati informati del fatto. I tre furono interrogati separatamente e a lungo, con urla e improperi, ma, dal momento che non avevano, effettivamente, alcun progetto di fuga, non furono trovate prove a loro carico e furono rilasciati.

Come è facile immaginare, Wolfgang tornò a casa carico di indignazione e frustrazione per il trattamento ricevuto, ma, ricordò anni dopo in un’intervista, non trovò alcuna comprensione. Secondo sua madre, dalla quale il ragazzo di aspettava almeno una parola di consolazione, le guardie non avevano fatto altro che il loro dovere e lo avevano fatto benissimo. Fu allora che il giovane soldato Wolfgang Engels, privilegiato figlio di una famiglia vicina al partito, decise che sarebbe scappato alla prima occasione.

Come rubare un carro armato

L’occasione arrivò ad aprile di quello stesso anno, il 1963. A fornirla fu una truppa dell’esercito popolare, che arrivò a Berlino con una flotta di carri armati BTR-152 nuovi di zecca. Wolfgang non aveva un piano: agì d’impulso. Gli venne in mente che quei blindati erano davvero forti, così forti che avrebbero potuto sfondare un muro di cemento. Anche due. 

La sequenza di come si svolse la fuga è degna di un film, specialmente per il modo ironico in cui Engels ha saputo raccontarla negli anni – forse esorcizzando il fatto che il suo tentativo di fuga, pur riuscito, gli sia quasi costato la vita.

Come si ruba un carro armato? Prima di tutto, bisogna sapere come funziona. Engels non era del tutto digiuno in materia: la sua esperienza nell’esercito gli aveva permesso di ottenere la patente di carrista, però non conosceva questi particolari modelli. E qui arrivò il primo colpo di genio: come si fa a farsi raccontare da un soldato come funziona il suo carro armato? È facilissimo: basta chiedere. O, per meglio dire, basta presentarsi a bordo di una vettura di servizio dell’esercito, una EMW, una macchina di lusso come i soldati non ne avevano mai viste e che replicava in tutto e per tutto una BMW, e mettersi a parlare di motori. Sfoggiare e ammirare, parlare di assi e di cambi, confrontarsi sulle esperienze di guida, chiedere quali siano i piaceri maggiori dei rispettivi mezzi e quali le maggiori difficoltà. Magari, anche ingraziarsi i soldati permettendo loro di guidare, in tondo nel cortile, il macchinone di servizio degli ufficiali. Avete mai chiesto a un uomo appassionato di auto di spiegarvi nel dettaglio come funziona la sua? Può andare avanti per ore.

“Io taglio la corda, chi viene con me?”

E così fu. Entro l’ora di pranzo, quando i soldati si allontanarono per andare a mensa, Wolfgang sapeva tutto quello che c’era da sapere su come si guida un carro armato BTR-152. Quindi ci saltò dentro e partì. Sì, qualcuno cercò di fermarlo, ma, senza armi anticarro, ci vuole il fegato di uno studente cinese per restare fermo davanti a un blindato che avanza. E gli ufficiali che ci provarono con Engels, semplicemente, si fecero da parte. Il carro armato rubato ruppe qualche elemento all’ingresso del cortile e si diresse comodamente verso il muro, lungo la Frankfurter Allee – che, dopo tutto, era stata fatta così grande proprio per lasciar passare i carri armati, specialmente quelli russi, se fosse servito convocarli per reprimere un’altra rivolta popolare.

Uno dei passaggi più surreali su il momento in cui, a circa 100 metri dal muro, la portiera si aprì e a Wolfgang toccò uscire dall’abitacolo per chiuderla. Passavano dei ragazzi. “Io taglio la corda, qualcuno viene con me?” Disse Engels. I passanti lo guardarono attoniti, nessuno si mosse, nessuno parlò. D’altra parte si sa: è imprudente accettare passaggi dagli sconosciuti, specie se guidano un panzer. Wolfgang si rimise in marcia, raggiungendo la massima velocità che un veicolo del genere consentiva all’epoca, ovvero fra i 70 e gli 80 chilometri orari. 

E si schiantò contro il muro. E lo sfondò. Quasi. 

Muro di Berlino
Il Muro di Berlino nei pressi di Elsenstraße, vicino al punto da cui Wolfgang Engels scappò. La scritta dice “ci sposiamo”. Foto: Klimper, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Proiettili, filo spinato e un pub

La prima fortificazione cedette di schianto, ma poi, inevitabilmente, il mezzo perse l’inerzia necessaria a sfondare anche la successiva, rallentato dalle lastre di cemento, che erano impilate su tre altezze. Doveva anche aggirare la recinzione di filo spinato: troppa energia cinetica per un mezzo già lento, che aveva appena spaccato un muro di cemento. Il carro armato arrivò a fare un altro buco e poi si incagliò nel fosso anticarro, tirandosi dietro pezzi di metallo e filo spinato e il motore si spense.

A quel punto, Wolfgang uscì dall’abitacolo, sperando di proseguire a piedi, ma rimase bloccato nel filo spinato che si era trascinato dietro. Da est, il primo ad arrivare fu la guardia di frontiera Paul Hohmuth. “Non sparare!” gridò Engels. E Hohmuth sparò. Da circa cinque metri, un paio di colpi, uno solo dei quali raggiunse il bersaglio, colpendo Engels a un fianco, da dietro e passando il suo corpo da parte a parte. Engels cercò di risalire sul mezzo dall’altro lato e fu colpito di nuovo, questa volta non da un proiettile, ma da schegge di metallo che un altro colpo mancato aveva fatto schizzare intorno e che lo raggiunsero a una mano.

E a salvarlo furono proprio le schegge dei colpi mancati, poiché una colpì, di striscio, un poliziotto dell’ovest che era di vedetta. I poliziotti dell’ovest non potevano salvare gli aspiranti fuggitivi dell’est, almeno non fino a quando non arrivavano oltre il muro, ma potevano anzi dovevano rispondere al fuoco. E quella scheggia di muro, spaccata da un proiettile, contava come “fuoco nemico”. A quel punto, le guardie di frontiera dell’est, che nel frattempo erano arrivate sul posto smisero di sparare a Engels e iniziarono a sparare ai soldati dell’ovest, che avevano aperto il fuoco. Wolfgang si accucciò contro una parte di muro ancora intatta, per mettersi al riparo dal fuoco incrociato, sentendo fischiare i colpi sulla sua testa. Da lì, i militari dell’ovest riuscirono, laboriosamente, a tirarlo giù e, naturalmente, lo portarono nel luogo dove chiunque vorrebbe essere condotto, dopo essersi beccato un proiettile per aver sfondato il Muro di Berlino con un carro armato rubato: in un pub.

Lo fecero, ovviamente, perché il povero Engels doveva pur essere portato da qualche parte, mentre si aspettavano i vigili del fuoco e l’ambulanza. Di quei momenti, Wolfgang Engels ebbe, in seguito, ricordi confusi. Ricordò come nessuno si fosse accorto della grave ferita al fianco, perché un taglio sulla testa che si era fatto sbattendo contro il muro, meno grave ma molto più appariscente, aveva attirato l’attenzione. Ricordò come lo avessero adagiato su un materasso improvvisato e come la proprietaria del pub avesse preso ad abbracciarlo e baciarlo, scambiandolo per un parente che viveva a est. Ricordò un vecchietto “molto ubriaco”, che si tolse la cintura per permettere ad altri di legarla intorno alla mano ferita di Wolfgang, per contenere il sanguinamento, e rimase lì, con i pantaloni in mano, cercando di essere utile. Ricordò il mobile del bar, pieno di birra occidentale, segno che la fuga era riuscita.

Il complotto fallito della Stasi

Wolfgang Engels uscì dall’ospedale una settimana dopo, scoprendo di essere diventato una celebrità. I media avevano coperto la notizia e la polizia dell’ovest lo avvisò: doveva stare molto attento, perché la Stasi lo spiava, scriveva rapporti su di lui e aveva in mente di riportarlo indietro. Gli si consigliava di non avvicinarsi se qualcuno cercava di attaccare bottone da dentro un’auto, di non rispondere a nessuna domanda, di bere solo da bottiglie stappate davanti ai suoi occhi.

Il piano della Stasi non fu mai attuato. Wolfgang Engels si rifece una vita e una carriera nella Repubblica Federale Tedesca, dove studiò e poi diventò insegnante. La sua storia è comparsa in diverse pubblicazioni, stampate e online, sulla storia del Muro di Berlino e della DDR, ma, incredibilmente, non è mai diventata un film.

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