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10 anni di Disruption Network Lab: intervista con Tatiana Bazzichelli

Tatiana Bazzichelli è la fondatrice e direttrice del Disruption Network Lab, un’organizzazione no-profit con sede a Berlino che lavora producendo eventi e ricerca all’intersezione fra politica, tecnologia e società. Dal settembre 2023, Bazzichelli dirige anche il Disruption Network Institute, un centro di indagini sull’impatto delle nuove tecnologie sulla guerra. Il 29 e 30 novembre il Disruption Network Lab celebrerà i dieci anni di attività al Kunstquartier Bethanien con la trentaquattresima conferenza dal titolo Investigating the Kill Cloud: Information Warfare, Autonomous Weapons & AI, durante la quale importanti whistleblower e giornalisti investigativi parleranno degli effetti dell’intelligenza artificiale sulle guerre di oggi e di domani.

Dieci anni di Disruption Network Lab: un anniversario importante dopo un percorso che ha portato il DNL a diventare una delle più interessanti e importanti realtà berlinesi, dal punto di vista della cultura e dell’attivismo. Ti va di raccontarci perché è nato il Disruption Network Lab? Quale esigenza mirava a soddisfare questo progetto?

Disruption Network Lab è nato a Berlino nel 2014 con l’obiettivo di connettere arte, diritti umani e tecnologia. Lo scopo principale è proporre una critica costruttiva dei sistemi politici, tecnologici e sociali dall’interno e denunciare le ingiustizie e i soprusi di potere. Da dieci anni ci occupiamo di forme di azione sociale e politica nell’ambito della cultura digitale e delle tecnologie dell’informazione, e lo facciamo mettendo in rete artisti, attivisti, giornalisti investigativi, esperti di tecnologia e diritti umani, e whistleblower – i cosiddetti informatori che denunciano le forme di ingiustizie, abuso e comportamenti illeciti di cui vengono a conoscenza lavorando all’interno dei sistemi. 

Circa dieci anni fa, quando il whistleblower Edward Snowden e il film Citizenfour di Laura Poitras hanno reso noto il sistema di sorveglianza a livello di massa da parte dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale americana (NSA), a Berlino si è creata una rete interessante di attivisti, artisti, giornalisti investigativi ed esperti di tecnologia. Era centrale discutere insieme su temi come il tracciamento dei dati e la sorveglianza, la libertà di parola e di espressione, la privacy e il cambiamento sociale, con l’obiettivo di creare consapevolezza e ispirare nuovi immaginari. All’interno di questa rete, e portando avanti questa esigenza, è nato il Disruption Network Lab

Parliamo del tuo percorso personale: che cosa ti ha portato a sviluppare un interesse per i temi che vengono affrontati nelle conferenze del DNL?

Da quindici anni mi occupo di lavorare sul concetto di “disruption”. È il risultato di una riflessione politica nata dalla mia esperienza di ricercatrice, attivista e networker all’interno della scena indipendente della cultura hacker, dell’arte digitale e di rete degli anni Novanta in Italia. Soprattutto, la violenza della polizia al G8 di Genova nel 2001, ha condizionato la mia riflessione politica e teorica successiva, e la necessità di immaginare pratiche che vadano oltre l’azione diretta frontale, che rischia spesso di diventare una trappola. 

Al Disruption Network Lab, il concetto di “disruption” informa la pratica di smascherare i sistemi di potere e di ingiustizie. L’obiettivo è comprendere la logica di questi sistemi, che sono di solito inaccessibili ai più, e poi sfruttarla per generare un cambiamento che proviene dall’interno. Questo processo di cambiamento attivo, e spesso creativo, genera una reazione molto interessante, in quanto può portare a esiti del tutto inaspettati. Anche il whistleblowing può essere descritto come un meccanismo che cerca di portare l’inaspettato all’interno di un sistema chiuso per creare un cambiamento profondo. L’intero concetto alla base del Disruption Network Lab si basa su questo approccio, che può essere applicato al settore politico, tecnologico e artistico.

Nel corso di questi anni, le vostre conferenze hanno ospitato personaggi di spicco in moltissimi settori dell’attivismo, cultura digitale, giornalismo e whistleblowing, alcuni dei quali hanno avuto un impatto significativo sulla nostra storia collettiva e sulla società in cui viviamo. Quali sono quelli che ti hanno colpito maggiormente o gli interventi che hai trovato più significativi?

La prima conferenza che abbiamo organizzato è stata “Drones: Eyes from a Distance“ e il nostro relatore principale era il whistleblower Brandon Bryant

Bryant era un sensor operator dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti che ha denunciato gli abusi perpetuati sui civili con i droni, in guerre operate a distanza. Una grossa fonte di ispirazione per il Disruption Network Lab è stata anche Chelsea Manning, un’analista di intelligence statunitense che ha fatto luce sulle violazioni dei diritti umani nelle guerre in Afghanistan e Iraq, consegnando a WikiLeaks documenti segreti di grosso impatto

Il tema della guerra e delle tecnologie belliche connesse ad atti coraggiosi di whistleblowing ha ispirato molti eventi del nostro programma. Abbiamo inviato whistleblower dell’Aeronautica militare statunitense come Lisa Ling, Cian Westmoreland, Reality Winner, ma anche whistleblower che lavoravano alla CIA come John Kiriakou, all’MI5 come Annie Machon, e alla NSA come Thomas Drake. Conoscere queste persone è un’esperienza straordinaria, perché hanno avuto la forza di informare tutti noi su ingiustizie e soprusi che, senza di loro, non avremmo mai potuto sapere, e di darci la consapevolezza necessaria per capire meglio come funzionano i sistemi di potere, pagando spesso un grosso prezzo a livello personale. 

Disruption Network Institute: come è nato e in cosa consiste questo ulteriore step evolutivo della vostra organizzazione nel settore dell’intelligenza artificiale? Come opera, chi ne fa parte e su cosa si sta focalizzando in questo momento?

Sulla base dei risultati della nostra conferenza del marzo 2022 “The Kill Cloud” e del libro “Whistleblowing for Change”, abbiamo inaugurato il Disruption Network Institute nel settembre 2023, che si occupa di analizzare l’uso dell’intelligenza artificiale in guerra come arma letale. Può sembrare fantascienza, ma purtroppo è già in atto, come riportato da riviste coraggiose come +972, che hanno rivelato l’uso di sistemi come Lavender e Gospel da parte di Israele a Gaza.

Il Disruption Network Institute è una piattaforma di indagine sull’uso della connettività globale nel campo bellico e sulle implicazioni sociali ed etiche dell’uso degli algoritmi nello sviluppo di tattiche di controllo, tracciamento dei dati e sorveglianza. Il nostro obiettivo è contribuire il più possibile a garantire che l’impiego dell’intelligenza artificiale sia progettato tenendo conto dell’interesse pubblico e non come arma che non garantisce legalità, moralità ed etica. Stiamo lavorando sulle sfide che l’IA e la guerra basata sui dati comportano per la democrazia, i diritti umani e la società civile. Le indagini sono condotte da quattro ricercatori: Lisa Ling (whistleblower, menzionata sopra), Jack Poulson (whistleblower e direttore esecutivo di Tech Inquiry), Naomi Colvin (Blueprint for Free Speech) e Joana Moll, un’artista e ricercatrice che sta elaborando artisticamente le relazioni di co-dipendenza tra Ad Tech (la tecnologia per la pubblicità digitale) e il complesso militare-industriale.

Il 29 e 30 novembre a Berlino organizzeremo la conferenza Investigating the Kill Cloud per presentare al pubblico il risultato di queste ricerche e per discutere l’impatto dell’IA e delle tecnologie orientate ai dati sulle guerre di oggi e di domani. Parleremo anche della guerra a Gaza, invitando relatori come Matt Mahmoudi (Amnesty Tech), Sophia Goodfriend (+972 Magazine), Khalil Dewan (SOAS University). Sarà con noi anche il celebre whistleblower Thomas Drake, ex dirigente della NSA, che ci racconterà del clima negli Stati Uniti dopo le elezioni di Donald Trump. 

Come immagini il progetto Disruption fra altri 10 anni? Che risultati ti piacerebbe aver raggiunto? Lo immagini con lo stesso formato di oggi o in qualche misura differente?

Questa è una domanda difficile perché è sempre più evidente che i soldi per la cultura e per un programma come il nostro scarseggeranno in un contesto politico europeo e statunitense che sta tendendo all’estrema destra. Abbiamo pronto un nuovo programma per il 2025, toccando temi come il rafforzamento della democrazia attraverso l’arte e la tecnologia digitale, la lotta all’estremismo di destra e la comprensione delle tecniche di misinformazione online, la denuncia dei crimini di guerra basati sull’uso pervasivo della tecnologia, e la traduzione in tedesco del nostro libro Whistleblowing for Change. Nel 2020 abbiamo ricevuto il Festivalfonds, che ci ha garantito un sostegno costante da parte del Senato di Berlino per quattro anni e quest’anno i fondi della Cultura capitale di Berlino (HKF). Ma al momento non abbiamo ancora notizie del rinnovo di fondi pubblici per il prossimo anno e ci stiamo aprendo a donazioni private. 

Siamo consapevoli che molte porte si stiano chiudendo nel nostro settore. Ma anche se siamo in una fase buia e preoccupante, non voglio essere pessimista e voglio credere che ci saranno ancora persone che pensano che sia importante supportare eventi e ricerca coraggiosi in un clima di crescente polarizzazione, discriminazione e purtroppo violenza su diversi fronti. Al momento, lascio il futuro all’immaginazione. Un futuro per cui è urgente lavorare con impegno e determinazione.

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