Eva Kemlein è stata una delle fotografe più importanti della storia tedesca. Anche se non lo sapete, è molto probabile che abbiate visto le sue immagini, che si tratti della Berlino devastata del dopoguerra o dei ritratti iconici di attori e attrici, soprattutto di teatro (ma anche stelle del cinema, come Sofia Loren). La sua storia personale è abbastanza drammatica e avventurosa da ricordare la trama di un film e, come molte storie del ‘900 in Germania, ha a che fare con il regime, con la guerra e con la morte.
La storia di Eva Kemlein
Nata nel 1909 a Berlino da una famiglia ebrea benestante, Eva Ernestine Graupe mostrò fin da giovane un grande interesse per la fotografia, che però scoprì quasi per caso. Cresciuta nel quartiere di Charlottenburg, dopo aver abbandonato il liceo, si formò come assistente tecnico-medico presso la Scuola Lette, dove imparò anche le tecniche fotografiche che si applicano nella medicina e nella ricerca scientifica, tanto che i suoi primi incarichi furono nell’ambito della medicina legale. Questo lavoro, sebbene macabro, le permise di affinare le sue abilità tecniche e di sviluppare un occhio attento ai dettagli e, soprattutto, di mettere in pratica per la prima volta ciò che sapeva sulla fotografia – una disciplina ancora relativamente giovane.
Fu però il suo incontro con il giornalista Herbert Kemlein, con cui si sposò nel 1933, a cambiare il corso della sua vita. Si conobbero in Italia e i loro animi si infiammarono per le stesse cause. Kemlein aveva lo spirito del rivoluzionario e documentava i cambiamenti che si apprestavano a sconvolgere l’Europa. La coppia si trasferì in Grecia, arrivandoci in moto – un viaggio che Eva documentò con numerosissime fotografie. Entrambi lavoravano per la stampa tedesca, ma le origini ebraiche di Eva la resero ben presto bersaglio delle persecuzioni naziste. Prima il regime rese impossibile per Eva l’essere retribuita dai datori di lavoro tedeschi. Poi anche Herbert finì nel mirino, “colpevole” di aver contratto un matrimonio misto. Costretti al divorzio formale nel 1935, Eva e Herbert continuarono a vivere insieme, finché nel 1937 furono espulsi dalla Grecia e costretti a tornare a Berlino. Già divorziati, non sopravvissero come coppia a questo nuovo sconvolgimento: Herbert fu costretto a occuparsi della propria famiglia e così anche Eva, che però si trovava di fronte a pericoli ben più gravi.
Resistenza e clandestinità
Di fronte all’escalation delle politiche antisemite, Eva entrò in clandestinità insieme al suo nuovo compagno, l’attore e regista Werner Stein. Per quasi tre anni, i due si nascosero spostandosi continuamente, riuscendo persino a organizzare una cellula di resistenza contro il regime. Stein era un fervente antifascista, che scelse di avere un ruolo attivo nella resistenza. Durante questo periodo, Eva supportò le attività della resistenza e aiutò Stein a diffondere materiali di propaganda contro il regime. I due purono infine liberati dall’Armata Rossa nell’aprile del 1945, mentre erano nascosti in una cantina di Schöneberg. Quel momento segnò l’inizio di una nuova fase nella vita di Eva, che recuperò la sua Leica e tornò, finalmente, a fotografare.
Fotografa della Germania divisa
Uscita dalla clandestinità, Eva Kemlein riuscì a dedicarsi a tempo pieno alla sua passione per la fotografia. Impiegata presso la neonata Berliner Zeitung, immortalò la città devastata dalle macerie, le Trümmerfrauen, il mercato nero e la vita quotidiana dei berlinesi. Il suo archivio di oltre 330.000 negativi è una fonte preziosa di documenti storici.
Negli anni successivi, Eva si trovò a navigare tra le due Germanie, lavorando come freelance sia per la stampa di Berlino Est che di Berlino Ovest. Sebbene i suoi lavori venissero boicottati a Ovest a causa delle sue simpatie per la DDR, continuò imperterrita a fotografare la ricostruzione e la vita culturale di entrambe le parti della città divisa. Le sue fotografie offrono una prospettiva unica sulla vita quotidiana e sugli eventi culturali di entrambe le Berlino, rendendola una delle poche fotografe a documentare in modo così completo la realtà della città divisa. Le simpatie socialiste, che condivideva con Stein, erano la diretta conseguenza dell’esperienza di oppressione sotto il nazismo. Tuttavia, dopo un periodo di impegno alle dipendenze dei giornali dell’est, Eva tornò a lavorare da freelancer, poiché mal sopportava che le venissero imposti temi e soggetti da trattare. Fu comunque una delle poche professioniste del settore a poter fare regolarmente la spola fra Est e Ovest.
Il teatro
Grazie alla vicinanza con Stein, Eva Kemlein sviluppò una profonda affinità con il mondo del teatro. Rimasta affascinata dalla prima tedesca di “Madre Coraggio” di Bertolt Brecht, Eva iniziò un lungo sodalizio con i palcoscenici di Berlino, diventando la fotografa di scena più amata e rispettata. La sua passione per il teatro non era solo professionale, ma anche personale. Eva trovava nel teatro un rifugio, un luogo dove l’arte e la realtà si intrecciavano, offrendo una via di fuga dalle difficoltà quotidiane.
Per oltre 50 anni, documentò quasi tutti gli spettacoli dei palcoscenici berlinesi, dalle prove alla prima. I suoi scatti in bianco e nero, eseguiti sempre con grande rispetto per l’arte e l’espressività degli attori, le valsero l’apprezzamento di registi e compagnie teatrali. La sua capacità di catturare l’essenza delle performance teatrali, l’emozione e la tensione degli attori, la rese una figura amata e rispettata nel mondo del teatro.
L’archivio di Eva Kemlein
Alla sua morte nel 2004, poco prima del suo 95esimo compleanno, l’immenso archivio di Eva Kemlein è stato acquisito dallo Stadtmuseum di Berlino. Oltre 330.000 negativi che raccontano la storia di una città e di un’epoca, attraverso gli occhi di una coraggiosa fotografa che ha sfidato i confini e le avversità per inseguire la sua passione. Questo archivio non è solo una raccolta di immagini, ma una testimonianza vivente della storia di Berlino e della Germania.