Vera Gheno a Lipsia. Le organizzatrici dell’evento: “Quel linguaggio che sfida il potere”
Il 23 ottobre, presso l’Università di Lipsia, ci sarà un incontro con la famosa sociolinguista Vera Gheno, intitolato “Siamo le parole che usiamo“. L’evento si svolgerà in italiano e tedesco, sarà moderato dal Prof. Klaus Grübl ed è finanziato dal Centro Interdisciplinare per la Cultura Italiana dell’Università di Lipsia (CiCi), dall’Associazione Italiani a Lipsia, da Rete Donne e dal Blog Le Donne Visibili. Dopo aver intervistato Vera Gheno, Lucia Conti ha intervistato le organizzatrici dell’evento: Lilly Bozzo Costa, architetta, curatrice e attivista, Margherita Siegmund e Paola Mirenda, entrambe docenti di italiano presso l’Istituto di Romanistica dell’ateneo.
Il 23 ottobre Vera Gheno sarà presso l’Università di Lipsia per l’evento da voi organizzato, “Siamo le parole che usiamo”. Com’è nata l’idea di questo incontro?
È nata dalla consapevolezza che la lingua, le parole, contribuiscono a costruire la nostra identità e rendono riconoscibile l’appartenenza ad una comunità, ad un gruppo. In un’epoca che vede il proliferare della comunicazione a ogni livello, le parole hanno acquisito un ruolo centrale nella nostra vita. Mai come oggi si passa così tanto tempo a leggere messaggi sull’Iphone, o a vedere video su Tiktok o Youtube. Tuttavia sembra che ci sia stata, al contempo, una perdita crescente di un uso consapevole del linguaggio.
L’idea dell’evento nasce allora dalla necessità di affrontare l’intolleranza verso l’uso di parole nuove ed educarci a una maggiore apertura mentale?
Siamo partite anche dalla voglia di confrontare i cambiamenti della lingua in Germania e in Italia. Il “maschile sovraesteso”, che pure esiste nella lingua tedesca, non è così dominante come nella lingua italiana. Nella nostra università è già nel livello A1 che, quando si parla dei nomi delle professioni, cominciano domande come “Qual è il femminile di *medico*?”, oppure “Perché sul libro c’è scritto che si dice *architetto* e *ingegnere* anche se si parla di una donna?”. Non usare le forme femminili rende invisibile l’identità femminile di chi, ad esempio, ricopre un ruolo pubblico. Non usare le forme femminili anche per ruoli finora prevalentemente maschili vuol dire ignorare cambiamenti sociali in atto, vuol dire voler perpetuare la divisione tra ruoli pubblici e posizioni di potere, riservati all‘uomo, e ruoli privati e di accudimento, riservati alle donne.
Perché è importante partecipare a questo evento?
Perché crediamo che partecipare possa essere un arricchimento per tutte e tutti. Vera Gheno, anche se è molto conosciuta, non è solo un “personaggio”, ma in primo luogo una sociolinguista esperta della materia. Quindi ascoltare una discussione sul tema fatta da persone competenti è sempre molto utile. In generale è un’occasione per riflettere su quanto la lingua sia uno specchio dei tempi e della società e su come sia in cambiamento. Così come la maggiore presenza della tecnologia ha creato la necessità di molti nuovi termini (taggare, scrollare etc.), allo stesso modo la maggiore presenza e importanza delle donne dovrebbe automaticamente portare a rendere quotidiano l’uso di termini che già esistono, ma che non vengono sempre usati.
Per le persone già interessate al tema è l’occasione per avere un quadro aggiornato delle ultime tendenze in Italia. Per gli/le insegnanti di italiano in Germania, anche per ricevere stimoli e idee su come trasportare nelle classi una lingua “gender fair”.
Sarebbe molto bello e stimolante avere tra il pubblico anche persone che ritengono il tema superfluo, inutile o addirittura dannoso perché questo renderebbe la discussione molto più fruttuosa.
Il titolo dell’incontro è “Noi siamo le parole che usiamo”. Che vuole dire esattamente?
Come usiamo le parole, come le pronunciamo, dice molto del nostro carattere, chi siamo da dove veniamo, cosa facciamo. Possiamo parlare senza empatia e rispetto verso chi ci ascolta, ci diamo del tempo e scegliamo con peso le parole che usiamo. “Noi siamo le parole che usiamo” è una frase che viene dal lavoro di Vera Gheno. L’abbiamo scelta perché definisce bene la relazione tra l’essere umano e il mondo circostante. Quando scegliamo – consciamente o inconsciamente – le parole da usare diamo un indirizzo ben preciso al nostro discorso: possiamo scegliere di essere autoritar*, amichevoli, moralist*, gentili, gradevoli o sgradevoli.
Nanni Moretti, nel film “Palombella Rossa”, durante l’intervista con la giornalista le risponde urlando irritato dal modo in cui lei formula le domande “Ma Lei come parlaaaaa! Le parole sono importanti!”.
Sì, le parole sono importanti e per questo vale la pena conoscerle a fondo.
E il “genere” delle parole è solo uno degli aspetti di questa nostra scelta. Certamente è quello su cui oggi si concentra più l’attenzione, ma è diventato anche uno stimolo a riflettere sulla complessità del nostro linguaggio. La lingua italiana presenta a livello morfologico tutte le premesse per una declinazione al femminile dei nomi. Il non farlo è quindi una scelta ideologica basata su stereotipi culturali che permangono e sulla volontà di non modificare le strutture di potere esistenti.
Cosa vi appassiona del lavoro di Vera Gheno?
La sua passione e la sua pazienza, sicuramente, ma anche l’ostinazione e la perseveranza. Vera Gheno ha capito, nel momento giusto, la necessità di scrivere un libro come “Femminile singolare” e mettere su un podcast come “Amare parole”, facendo chiarezza e sbrogliando una matassa fatta di malintesi, ignoranza e arroganza, con pazienza, ostinazione, coraggio… il tutto arricchito da un grande senso dell’umorismo.
Nel lancio del vostro evento si parla della lingua come di un “politikum”. Che si intende esattamente con questa espressione?
Il linguaggio è diventato un politikum da quando ha “scavalcato” il campo della comunicazione per arrivare a condizionare scelte politiche, creare crisi di partito, condizionare scelte concrete che vanno al di là di uno scambio democratico di opinioni. Ha creato schieramenti politici, divieti, restrizioni, ostilità. Decidere se usare o meno le forme femminili è diventato sempre più un atto politico, una dichiarazione di appartenenza ad una fazione.