“La bellezza si crea quando qualcuno dice ‘guarda!'” – Intervista a Désiré Feuerle
Visitare la Collezione Feuerle, a Berlino, è un’esperienza che non somiglia a nessun’altra, nel panorama museale della capitale tedesca. Perfino il verbo “visitare” non si presta alla perfezione a descrivere quello che ci si trova a vivere all’interno di questo bunker di cemento trasformato in ode alla bellezza. Questo è vero anche nel caso della collezione permanente, della quale parleremo più avanti, ma lo è in modo particolare nel caso di “Natural Beauty. Curated Nature”, una mostra temporanea, visitabile dal 13 settembre al 2 febbraio, a cura di Désiré Feuerle.
Proprio con lui, che è anche il curatore della splendida collezione permanente, ho avuto modo di parlare dopo la presentazione in anteprima di questa mostra. Prima di riportare il nostro breve dialogo, però, vale la pena raccontare l’esperienza che lo ha preceduto.
La mostra “Natural Beuty. Curated Nature”
In generale, vale la pena di sapere che le opere d’arte della Collezione Feuerle non sono solo quelle esposte nelle teche o sui piedistalli: l’opera d’arte è il fatto stesso di trovarsi all’interno dell’edificio. Non l’edificio, attenzione, non da solo almeno, ma la nostra presenza e il nostro muoverci al suo interno. L’opera d’arte è una struttura di cemento fatta per intimidire e per resistere alle bombe, spoglia, senza orpelli né concessioni all’estetica, nella quale siamo entrati, per venire immediatamente diretti in una sala buia (la Silk Room), dove due elementi dominavano i sensi: il potente odore di incenso e i singoli, affilati raggi di luce, diretti esclusivamente verso gli oggetti dell’attenzione. E li chiamo “oggetti dell’attenzione” perché “opere” sarebbe un termine riduttivo, oltre che tecnicamente sbagliato. L’opera d’arte non sono gli oggetti (non solo), ma il loro essere collocati, illuminati e giustapposti per emozionare. E, infine, l’opera d’arte stessa non si genera fino a quando non si genera l’emozione.
Fra gli oggetti si trova un tavolo da pittura cinese datato fra il XVI e il XVII secolo, fatto di legno di acacia giapponese, giustapposto a un vaso che contiene un fiore secco, proveniente dal Costa Rica. C’è poi una placca “Fu” in legno, proveniente dalla Cina, di epoca imperiale, per la precisione risalente al XVIII secolo, con un’iscrizione calligrafica attribuita a un imperatore non identificato della dinastia Qing, che reca simboli di benedizione e invocazione di buona fortuna. Ma c’è anche altro. C’è una piuma. Piccolissima, leggerissima, incastonata su un piccolo blocco di legno, in una delle imponenti colonne di cemento del bunker. Ci sono fiori secchi, piccolissimi, disposti su piedistalli che li sacralizzano per il solo effetto della luce, che li colpisce tagliando il buio circostante. Come per tutti gli altri oggetti esposti come parte della Feuerle Collection, non ci sono etichette, cartelli né pannelli da leggere, non c’è contesto: esiste solo l’esperienza.
Intervista a Désiré Feuerle
Nella presentazione, Désiré Feuerle si sofferma a parlare soprattutto delle giustapposizioni e di come il pregio dell’esposizione consista nell’aver curato la coesistenza di elementi naturali con manufatti, in omaggio ai principi dell’armonia, che sono elementi fondamentali della cultura cinese. Proprio da questa affermazione e dalla storia di un fiore secco, che è arrivato a Berlino, come già detto, dal Costa Rica, passando per il Canada e per New York, prende le mosse la nostra conversazione.
AF: Parliamo di questo, della sua affermazione su ciò che costituisce l’arte. È arte ciò che è fatto per essere arte o quello che noi decidiamo essere arte? Ci troviamo, insomma, di fronte a esempi di Ready Made?
DF: Penso che in generale, un artista abbia una visione, abbia le sue idee e le trasformi in qualcosa che si può vedere. Dal punto di vista dell’artista, si tratta della sua anima. E successivamente, forse, ci saranno persone che daranno un nome a ciò che l’artista sta facendo, che potranno collocarlo. E il passo successivo è il mercato, che porta a ottenere un riconoscimento internazionale. All’inizio, però, si tratta di un piccolo mondo, estremamente personale, di una persona che crea qualcosa. E, in quel momento, non sa fino a dove la sua creazione potrà arrivare. Alcune arrivano molto lontano, arrivano a toccare nel profondo persone di tante nazionalità diverse, ma all’inizio non lo si può sapere. All’inizio, [l’artista] va semplicemente per la sua strada.
AF: La giustapposizione è una caratteristica dominante delle sue collezioni ed è un elemento fondamentale del loro fascino. Ha dichiarato che le opere non sono presentate secondo un criterio storico o cronologico, ma cosa ci dice del suo criterio personale? Come vengono scelti i pezzi che arrivano a essere esposti in una mostra come questa?
DF: Per me la bellezza è molto importante. E si può trovare la bellezza nella natura, in un bell’albero. Si può trovare la bellezza nella spazzatura. A volte mi capita di vedere, per esempio, un bidone straripante di rifiuti in una strada di New York, magari dopo uno sciopero, e pensare “è bellissimo”. Allora lo fotografo. Poi guardo e riguardo la foto e penso che sia una bellissima installazione, anche se si tratta di spazzatura. Credo sia estremamente importante scegliere, avere un occhio selettivo. E credo che questo sia ciò che trasforma un essere umano in un artista: il trovare la propria strada, la propria visione e il proprio modo di scegliere, selezionare e presentare nel modo giusto. Conta anche l’altezza a cui un’opera viene esposta, il punto della stanza nel quale viene collocata, la luce o l’assenza di luce: tutti questi elementi contribuiscono all’essenza di ogni opera. Questa è la creazione. Non è solo il pezzo in sé, ma anche il modo in cui lo si espone.
AF: A questo proposito, vorrei parlare della mostra che è stata presentata oggi. Lei ha parlato in particolare di due pezzi, ovvero la targa portafortuna che si trova all’ingresso e il tavolo da pittura cinese, con il vaso e il fiore. Ma ci sono altri pezzi in esposizione, come i fiori essiccati e la piccola piuma illuminata, incastonata nella colonna. Cosa rende unici questi pezzi? Perché sono stati scelti questi elementi specifici?
DF: Io raccolgo moltissimi oggetti. Prendiamo la piuma, per esempio: io ho moltissime piume. E quando mi sono imbattuto in questa particolare piuma l’ho trovata così delicata, così sottile, ne ho sentito tutta la leggerezza. Mi è piaciuta moltissimo, l’ho conservata in una scatola insieme alle altre e poi ho fatto una selezione. Mi sono guardato intorno: questa è una sala piuttosto ruvida e ho pensato che questa piuma, nella sua delicatezza, fosse quella giusta. Bastava guardarla. E credo che, nel momento stesso in cui questa piccola piuma viene scelta e collocata contro questa parete, finalmente anche gli altri, tanti altri possano rendersi conto della sua bellezza e capire che si tratta di un elemento naturale, un elemento che potrebbe trovare chiunque. È questo che mi attrae: il fatto che tutti possano rendersi conto della sua bellezza, per il solo fatto che è collocata su una parete e illuminata in un certo modo. E magari, se si trovasse per terra, verrebbe calpestata e nessuno l’apprezzerebbe. La bellezza è quella che si crea quando qualcuno dice “guarda!”