Cities: Skylines II – il videogioco che ha risolto la crisi degli alloggi
La prima volta che ho giocato a Sim City non avevo internet in casa e la grafica mi sembrava assolutamente strepitosa. Credo fosse la primissima versione di quel videogioco e forse la giocavo su uno dei miei primissimi Windows. O era addirittura un Amiga? Il dettaglio non è abbastanza rilevante per googolare le date. Sta di fatto che, da quel momento, si è inaugurata la mia passione per tutti i giochi di simulazione con la sola eccezione di The Sims, che mi ha sempre annoiato. Sim City mi piaceva perché bisognava risolvere tanti problemi contemporaneamente e, all’epoca, lo scopo era rendere la propria città bella e ricca. Non potevo immaginare che, oltre 30 anni dopo, un erede di Sim City come Cities: Skylines II offrisse ai giocatori missioni ben più serie. Come risolvere la crisi degli alloggi nel mondo reale, per esempio.
Di cosa stiamo parlando (paragrafo per quelli che non giocano ai videogame)
Andiamo con ordine: per chi non fosse pratico di videogame, vale la pena di menzionare il funzionamento di base di tutti questi giochi di simulazione. Il giocatore si trova nel ruolo dell’amministrazione comunale o del governo locale (o nazionale, dipende dal gioco) e deve compiere una serie di scelte nella costruzione e amministrazione di una città. Per esempio, deve scegliere dove costruire, su che tipo di terreno, alla presenza di quanti e quali corsi d’acqua, in che clima; deve decidere dove installare quartieri residenziali e monumenti, costruire le infrastrutture in modo che tutte le abitazioni abbiano accesso ad acqua, gas, elettricità e internet, distribuire le zone commerciali in modo che siano abbastanza raggiungibili dalle abitazioni per avere senso, ma tenendo presente che hanno un impatto sul valore dei terreni; deve collocare le strutture che nessuno vuole vicino a casa propria, ma che da qualche parte devono pur stare, come le carceri o gli inceneritori , scegliere se costruire centrali termonucleari, a carbone o parchi eolici, discariche o centri di riciclo, definire dove si troveranno le aree destinate alla coltivazione e all’allevamento, ma anche assicurarsi che la prossimità con le aree industriali non porti a contaminazioni pericolose del terreno. Infine, deve stabilire quanto esigere dai cittadini in termini di tasse, quanto investire in infrastrutture pubbliche come parchi, scuole, ospedali e università, quanto in polizia e vigili del fuoco, se e quanto chiedere in prestito. È il tipo di gioco dal quale si può diventare dipendenti e che ti può risucchiare per ore, settimane, giorni, fino a quando non devi decidere coscientemente di porti un limite, perché altrimenti rischi di non avere una vita.
Se, nel rapporto fra simulazione e realtà, il giocatore è l’amministrazione locale, allora gli abitanti siamo tutti noi, che nelle città viviamo, mentre gli sviluppatori del gioco sono, in un certo senso, il sistema-mondo, quelli che stabiliscono le regole che valgono per tutti. In altre parole, il capitalismo. Questo concetto ci servirà più avanti.
Simulazioni troppo reali
Cosa è successo fra il primo Sim City e Cities: Skylines II? È successo che le tecnologie che stanno alla base del gaming si sono sviluppate per oltre trent’anni diventando esponenzialmente più complesse. In ogni nuova versione, gli sviluppatori, potendo contare su grafiche dalla qualità ormai filmica e simulazioni sempre più potenti, in grado di macinare quantità di dati differenziati sempre maggiori, hanno inserito nuovi elementi, per rendere il gioco quanto più vicino possibile alla realtà. Nella prima versione che ho giocato, per esempio, gli abitanti erano tutti uguali: non c’erano differenze di reddito fra le famiglie e i quartieri si riempivano o si svuotavano semplicemente in base al rapporto matematico fra zone verde chiaro (residenziali economici), verde scuro (residenziali costosi), giallo (industriali leggeri), arancione (industriali pesanti) e, mi pare, blu o viola (commerciali).
Adesso, gestire una città in Cities Skylines II è quasi come essere l’intero senato di Berlino, un minotauro metà Kai Wegner e metà Franziska Giffey (andate a dormire con quest’immagine, mi ringrazierete poi). Esistono famiglie con redditi diversi, esistono cittadini che acquistano case per affittarle, diventando padroni di casa che devono realizzare un margine di guadagno dagli appartamenti che affittano, esistono inquilini che si lamentano e protestano in modo vibrante se gli affitti sono troppo alti e che, se la città diventa invivibile, semplicemente se ne vanno, decretando il vero fallimento del giocatore, che non è riuscito a rendere la propria città prospera, desiderabile, un bel posto in cui vivere.
“Cities: Skylines II” – quando l’intelligenza artificiale inventò il socialismo. Quasi.
Perché ne stiamo parlando? Perché le priorità di questa simulazione sono diverse da quelle della vita reale, ma i problemi sono gli stessi. Mi spiego meglio: i problemi sono gli stessi perché gli sviluppatori si sono preoccupati di fare in modo che sia così: esistono costi, tasse, investimenti da fare, edifici da manutenere, decisioni da prendere, strade, aeroporti, scuole pubbliche, aziende private e così via. Le priorità sono diverse perché, per vincere, bisogna che i cittadini vogliano restarci, in città. E, possibilmente, che siano felici di farlo. Va da sé che questa non è la priorità assoluta di quasi nessuna amministrazione comunale, almeno non dei comuni nei quali ho vissuto in vita mia. Se non che, a un certo punto, il gioco è diventato troppo difficile.
Nei subreddit dedicati e nei commenti sulla piattaforma di gaming Steam si leggevano gli sfoghi dei giocatori frustrati. “Per l’amor di Dio non riesco a risolvere il problema degli affitti alti. Qualsiasi cosa io faccia, cambiare il piano regolatore, la destinazione d’uso delle zone, più posti di lavoro, meno posti di lavoro, tasse alte o basse, tempi di attesa nel gioco. Aumento dell’istruzione, diminuzione dell’istruzione. I servizi comunali non servono a niente. Sembra che qualsiasi cosa io provi a fare non serva a nulla. Finisco sempre per vedere spuntare uno o due annunci di affitti troppo alti e poi lentamente tutti diventano troppo alti” scriveva un utente ad aprile del 2021. Il sistema, insomma, era diventato talmente complesso da generare al proprio interno la stessa crisi degli alloggi che si riscontra in quasi tutti i Paesi industrializzati e soprattutto in grandi città come Berlino, Londra e Milano.
Dal momento che gli sviluppatori conoscono la differenza fra un videogioco che costituisca una sfida appassionante e uno che porti solo alla frustrazione di non poter vincere mai, e dal momento che pure loro devono pagare l’affitto, si sono messi al lavoro per risolvere il problema. Serviva una “patch”, ovvero un’aggiunta che correggesse un errore di impostazione nel meccanismo di gioco. Ovviamente, in questo caso, la soluzione viene cercata impostando simulazioni con un algoritmo di intelligenza artificiale.
Occhio, però, non stiamo parlando di I.A. come Chat GPT, che non fa che googolare al posto nostro e poi riorganizzare tutto quello che già sappiamo, producendo riassunti, ma di algoritmi pensati per calcolare le conseguenze di una serie di opzioni all’interno di un sistema chiuso. Come i simulatori di volo, per capirci, che funzionano nello stesso modo degli aerei veri. Insomma, stiamo parlando di un algoritmo non pensato per produrre ovvietà copiate da Twitter – che poi è il motivo per cui questi videogiochi costano molto più di una sottoscrizione a Chat GPT.
La soluzione – efficace – a questo problema è stata sorprendente: l’eliminazione della figura del padrone di casa. All’interno del gioco, con l’aggiustamento proposto dall’I.A., i cittadini, che sono gestiti dall’algoritmo stesso per fare i propri interessi in qualsiasi condizione si trovino, hanno sì l’opzione di acquistare una casa per sé, ma non hanno più l’opzione di affittarla ad altri. I costi di gestione e manutenzione dei condomini sono divisi fra tutti gli inquilini, senza figure intermedie né speculazioni. Il risultato, nella simulazione, è stato rapido: un crollo dei prezzi delle proprietà, un aumento del numero di cittadini e famiglie che acquistano case, una stabilizzazione dell’economia.
Non esageriamo con le ambizioni
Attenzione, questo editoriale forse qualche aspirazione ce l’ha, ma ci sono due cose che NON sto cercando di fare. Non sto suggerendo che il divieto per i privati di affittare a terzi sia una soluzione praticabile (la ritengo giusta, ma non praticabile) e non sto suggerendo che si debba cercare di risolvere i problemi della società affidandosi esclusivamente alle simulazioni dell’I.A. (non l’ho mai pensato, lo penso ancora meno dopo aver intervistato Milagros Miceli su questo argomento). Però un elemento di “storiella con una morale” c’è. E vale soprattutto per chi vive il senso di precarietà di una società che sta attraversando una crisi degli alloggi estrema, in città dove si può avere un lavoro a tempo pieno e dormire in macchina, magari sentendo ancora le prediche della generazione precedente che ci ricorda che “io alla tua età avevo già finito di pagare il mutuo e avevo due figli all’università” (e poi scopri che la casa, in proporzione, l’ha pagata tre noccioline, un pacchetto di gomme e due mattoncini Lego).
E la storiella morale viene dopo aver letto gli ennesimi resoconti di truffe immobiliari basate sulla disperazione: non si truffano mica i milionari, si truffano quelli che guadagnano 1000 Euro al mese. Non perché sia “giusto” truffare chi guadagna di più, ma perché farlo è molto più difficile. I disperati si fanno truffare molto più volentieri, in cambio di un brandello di speranza. Si truffano quelli che cercano, sui portali tedeschi, affitti da 500-600 Euro, che riusciranno a pagarsi lavorando in due e stando stretti e che sono talmente angosciati da essere pronti inviare i propri dati a chiunque sembri affidabile e prometta un appartamento accessibile. Quando la domanda è tale e tanta da generare disperazione e quando la disperazione è tale e tanta da far venire l’acquolina in bocca a chi vuole lucrare sfruttandola, possiamo cominciare a dire di avere un problema serio. E questo tipo di problema non si risolve continuando a dire, come fa il comune di Berlino, “costruiremo più case”, per poi non farlo.
I berlinesi l’avevano capito prima – ma il loro governo non li ha ascoltati
Fa anche un po’ riflettere il fatto che i berlinesi abbiano usato un referendum per giungere alla stessa conclusione raggiunta dall’intelligenza artificiale: i mega-proprietari privati che possiedono migliaia di appartamenti sono un male per la società e la maggior parte delle abitazioni della città dovrebbero essere pubbliche, il padrone di casa dovrebbe essere lo Stato.
Non ci vuole un algoritmo potentissimo per capire che, se al referendum fosse seguito, come richiesto dai votanti, l’esproprio, il costo degli affitti sarebbe precipitato, così come il costo delle proprietà in vendita. E non ci vuole un cervellone elettronico nemmeno per indovinare quali aziende abbiano minacciato di ritirare tutti gli investimenti possibili e immaginabili e tutto il supporto ai propri politici di riferimento, se questa misura scelleratah e comunistah fosse stata messa in atto. E così ci ritroviamo, a tre anni di distanza, con una crisi talmente grave che il gruppo di lavoro federale sull’assistenza ai senzatetto denuncia il crescente numero di famiglie con bambini e persone giovani che finiscono, letteralmente, in mezzo a una strada. Perché viviamo, localmente e globalmente, in un’economia che riconosce diritti “personali” alle aziende, ma a malapena funzionali agli individui. Per cui, di fronte al tentativo dello Stato di imporre pratiche commerciali o produttive che non ledano i diritti di base degli individui, l’azienda, come fosse una persona, può sentirsi lesa nei suoi diritti e rispondere “e allora io vado a investire da un’altra parte, vado a investire dove mi si lasciano ledere tutti i diritti che voglio e già che ci sono mi porto via anche il pallone”.
Sono qui per deludervi
Se siete arrivati fin qui aspettandovi di sapere, secondo me, come se ne esce, resterete delusi: non ne ho idea. Come vi è venuto in mente di chiederlo a me? O meglio, secondo me se ne esce statalizzando la stragrande maggioranza degli edifici residenziali e ponendo limiti draconiani agli alloggi turistici a breve termine, ma io mica faccio la sindaca, l’assessora all’edilizia o all’economia. Io ne so quanto voi. Io volevo solo svagarmi un po’ con un videogioco e poi è arrivata un’intelligenza artificiale che ha inventato il socialismo.