Il prossimo 3 ottobre si celebrerà il 35esimo anniversario dell’Unità Tedesca, un evento cardine che ha contribuito a porre fine a quella che all’epoca si conosceva come “Guerra Fredda”. Tutto ciò che viviamo oggi, nel contesto dell’evoluzione dei rapporti di potere fra i diversi “blocchi” – non più due – che influenzano la politica mondiale, è una conseguenza di quel 1989 tempestoso e dei cambiamenti che allora ebbero luogo. Il processo di riunificazione dei due Paesi non era che l’inizio di una serie di tentativi di sanare una frattura che ancora oggi, a distanza di 35 anni, lascia segni profondi nella società tedesca e anche oltre.
Vale la pena, mentre ci prepariamo a un anniversario così importante, ripercorrere le tappe principali che hanno segnato la rivoluzione pacifica nell’ex Germania dell’Est, culminata con la caduta del Muro di Berlino, ma anche le trattative fra le superpotenze che hanno condotto, infine, all’unità tedesca. All’epoca nessuno se la sentiva di dire che quel 1989 non era un punto d’arrivo, ma un punto d’inizio. Oggi, a quasi quattro decenni di distanza, sappiamo che da lì è iniziata una storia che ci riguarda molto da vicino.
La caduta della DDR
Nella metà degli anni ’80, l’Unione Sovietica, sotto la guida di Michail Gorbaciov, avviò una serie di riforme economiche e sociali, note come Perestrojka (riforma, riorganizzazione) e Glasnost (trasparenza), volte a dare un nuovo volto al Paese. Si trattava di modernizzare, di fare i conti con il passato, ma anche di un tentativo di placare la crisi interna che stava affliggendo l’Unione. Seguendo l’esempio sovietico, molti stati dell’Europa orientale iniziarono a considerare riforme simili e di fare i conti con i problemi che accomunavano l’intero blocco sovietico – trasformandolo in un conglomerato di nazioni i cui cittadini dovevano essere costretti con la forza a non scappare dai rispettivi Paesi. La Repubblica Democratica Tedesca (DDR), in un primo momento, resistette a tali cambiamenti. Ma la popolazione, sempre più insoddisfatta, iniziò a chiedere a gran voce libertà e democrazia e a protestare: il Muro di Berlino era il simbolo di un’oppressione che intrappolava l’intera popolazione in un sistema rigidissimo, che poteva funzionare solo se imposto con la forza e che non lasciava spazio al dissenso.
Nel maggio 1989, fu la scoperta del fatto che un’elezione locale era stata truccata a costituire la scintilla che innescò imponenti manifestazioni pacifiche, che si tenevano ogni lunedì e venivano represse dalla polizia. Nonostante la repressione, il movimento per la libertà e la democrazia crebbe a dismisura. Contemporaneamente, molti tedeschi dell’Est approfittarono delle aperture nelle frontiere dei paesi vicini per fuggire a Ovest.
Il regime della DDR, di fronte a una pressione interna ed esterna crescente, cedette sostituendo il leader Erich Honecker e promettendo concessioni significative, come la possibilità di viaggiare liberamente fuori dal paese. Queste promesse portarono all’apertura quasi “inaspettata” del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 (in quella svolta inaspettata, ebbe un ruolo un giornalista italiano: ne abbiamo parlato qui). Poco dopo, il regime della DDR crollò, sostituito da un governo provvisorio che si impegnò a negoziare quella che sarebbe stata una transizione lunga e complessa.
Il percorso verso l’Unità Tedesca
Il cancelliere della Germania Ovest Helmut Kohl, in tutto questo tempo, era stato un fervente sostenitore di una riunificazione rapida. Nel frattempo, a Est, i partiti favorevoli all’unione ottennero una vittoria schiacciante nelle prime elezioni libere del marzo 1990, portando al potere il nuovo governo guidato da Lothar de Maizière. I due governi iniziarono a negoziare i termini dell’unificazione, ma nel discorso entrarono anche le quattro potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale – Stati Uniti, Unione Sovietica, Regno Unito e Francia – che dal 1945 avevano diritto di parola sulla Germania e, quindi, dovevano dare il loro assenso.
Il 1 luglio 1990, la DDR adottò l’economia di mercato e il Marco tedesco come valuta, segnando un passo significativo verso l’integrazione economica. A settembre, con il Trattato “2+4”, vennero definite le condizioni di politica estera e di sicurezza per la Germania unita. Il Trattato di Unificazione, firmato il 31 agosto e reso operativo dal 3 ottobre, completò il processo di riunificazione, segnando anche la data che viene celebrata ancora oggi.
Dopo più di 40 anni di divisione, la Germania era nuovamente unita. Almeno formalmente
Il trattato di unificazione e la nuova Germania
Il processo che portava all’unità tedesca non si limitò agli aspetti diplomatici; per applicare il sistema politico ed economico della Germania Ovest all’Est furono necessari centinaia di aggiustamenti organizzativi e giuridici. Si trattò di modificare leggi, regolamenti e strutture in ogni ambito, dal sistema parlamentare all’istruzione, tentando di uniformare un contesto che era fortemente disomogeneo, perché strutturato in base a valori molto diversi. Berlino tornò a essere la capitale, anche se il trasferimento completo del parlamento e del governo si sarebbe completato solo nel 2000.
Fra le altre cose, furono creati ex novo cinque stati federali che compongono la parte orientale del paese: Brandeburgo, Meclemburgo – Pomerania Anteriore, Sassonia, Sassonia-Anhalt e Turingia.
La notte tra il 2 e il 3 ottobre si svolsero celebrazioni ufficiali nella centralissima Porta di Brandeburgo, dove centinaia di migliaia di persone si riunirono per festeggiare. Era l’inizio di una nuova nazione, destinata a cambiare ancora molto nel corso degli anni a venire.
Le grandi sfide per costruire l’unità
L’integrazione di un sistema economico totalmente diverso non fu priva di difficoltà. Negli anni successivi all’unione, molte grandi imprese statali della Germania Est fallirono, causando un picco di disoccupazione. Ristrutturare infrastrutture fatiscenti richiese un investimento enorme da parte dello stato federale e creò un divario che, in molte zone dell’est, viene avvertito ancora oggi ed è causa di diffuso scontento sociale.
Solo nel 2001, dopo 10 anni dall’unificazione, terminò il trasferimento delle istituzioni da Bonn a Berlino. Anche le forze armate dell’Est e dell’Ovest dovettero affrontare la sfida di unificare gestione, mezzi ed equipaggiamenti. Inoltre, fu necessario smantellare gli armamenti nucleari e gestire il ritiro graduale delle truppe russe dai territori della ex DDR. La fine della Guerra Fredda, inoltre, permise la riduzione delle forze NATO stanziate in Germania.
Anche il panorama politico subì cambiamenti significativi: dopo 16 anni di governo, nel 1998 la coalizione socialdemocratica guidata da Gerhard Schröder sostituì il cancelliere Helmut Kohl. Le nuove sfide affrontate dalla Germania riguardavano l’immigrazione, le riforme economiche e il sempre difficile confronto con il passato totalitario, sia nazista che comunista.
La Germania unita nel nuovo scenario internazionale
La nuova Germania ha acquisito progressivamente un ruolo di primo piano nell’Unione Europea e nella NATO, sia politicamente che economicamente. È stata tra i principali sostenitori dell’allargamento dell’UE verso l’Est e dell’introduzione dell’euro.
Allo stesso tempo, con la fine della divisione in blocchi contrapposti, la Germania ha assunto nuove responsabilità, inviando proprie truppe in missioni ONU di peacekeeping, a partire dal Kosovo nel 1999. Oggi la nazione tedesca è un leader indiscusso nel commercio mondiale.
Nonostante gli incredibili passi in avanti fatti dopo l’unità tedesca, le differenze economiche e culturali tra Est e Ovest sono ancora palpabili anche dopo 30 anni dall’unificazione. Il lungo processo di unificazione può essere considerato ancora in corso, tra successi e problemi ereditati da una storia travagliata. Il futuro della Germania unita è ancora tutto da scrivere, con la consapevolezza che le sfide del passato possono diventare le opportunità di domani.