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La rivista tedesca boccia Shein: sostanze tossiche nei vestiti low cost

Della rivista tedesca Öko-test abbiamo parlato in più occasioni: è una testata che si dedica ad analizzare prodotti e servizi disponibili in Germania, pubblicando poi valutazioni non solo sulla qualità di ognuno, ma anche sulla sostenibilità e sulla trasparenza della comunicazione. La redazione di Öko-test ha recentemente condotto un’indagine approfondita su 21 capi di abbigliamento offerti dal popolarissimo rivenditore online cinese di fast fashion Shein, un’azienda che si è rapidamente affermata nel mercato globale grazie ai prezzi stracciati e alla strategia di marketing che punta soprattutto sugli influencer.  I risultati dell’analisi sono stati tutt’altro che rassicuranti: ben due terzi degli articoli esaminati non hanno superato i test, principalmente a causa della presenza di sostanze chimiche tossiche.

L’analisi di Öko-Test: metalli pesanti, coloranti cancerogeni e sostanze vietate

Il test ha preso in considerazione una vasta gamma di capi di abbigliamento, destinati a consumatori di diverse fasce d’età, dalle scarpine per neonati alle giacche in ecopelle per adulti, passando per sandali da uomo e da donna, camicie e abiti per adolescenti. I risultati non sono affatto rassicuranti: la qualità e la sicurezza di questi articoli si sono rivelate estremamente discutibili, nella maggior parte dei casi.

Tra le sostanze nocive rilevate nei capi di abbigliamento Shein, si annoverano antimonio, dimetilformammide, piombo, cadmio, ftalati vietati nell’industria tessile, naftalene e idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Queste sostanze chimiche sono note per i loro effetti dannosi sulla salute umana e, in alcuni casi, sono state classificate come potenzialmente cancerogene. Ad esempio, un vestito da bambina, messo a contatto con una soluzione che simula il sudore umano, ha rilasciato antimonio, un metallo altamente tossico, il cui avvelenamento presenta sintomi simili a quello da arsenico, e che può essere assorbito attraverso la pelle. Un abito da adolescente, invece, conteneva dimetilformammide, una sostanza classificata nell’Unione Europea come potenzialmente dannosa per la fertilità.

I sandali si sono rivelati i prodotti testati più problematici. Un paio di sandali da donna con plantare ha superato i limiti previsti dalla normativa europea REACH per il contenuto di piombo e cadmio. Questi metalli pesanti si accumulano nell’organismo senza venire smaltiti e, sul lungo periodo, possono causare danni estremamente gravi. Inoltre, il contenuto di ftalati vietati in questi sandali superava di ben 15 volte il valore limite consentito. Di questi composti chimici si sospettano effetti che interferiscono con la fertilità e che possono causare danni al nascituro, se assunti o assimilati durante la gravidanza. I sandali contenevano anche naftalene, una sostanza potenzialmente cancerogena, e cloruro di dimetile, che può avere effetti nocivi sul feto.

Nenche i sandali da uomo hanno superato la prova di Öko-test. Il laboratorio incaricato dei test ha rilevato livelli di IPA cancerogeni fino a 22 volte superiori al limite consentito, oltre a un cocktail di altre sostanze tossiche. Per di più, entrambi i modelli di sandali si sono rotti rispettivamente dopo 14.000 e 5.799 passi simulati nel test di resistenza dei materiali, il che fa pensare a una possibilità di utilizzo di pochi giorni. Se, da un lato, questo dato ridurrebbe il tempo in cui le sostanze potenzialmente pericolose possono entrare a contatto con l’organismo, dall’altro si mette in evidenza il devastante impatto ambientale della moda usa e getta: un acquisto di pochi Euro, che non pesa troppo sulle tasche dell’utente, arriva però in Europa in aereo dalla Cina, scaricando nell’atmosfera tonnellate di CO2, per finire, entro poche settimane, nelle enormi discariche di prodotti tessili e calzaturieri che il nostro continente smaltisce in diversi Paesi del continente africano e del Sud America, contribuendo in modo allarmante all’emergenza ambientale.

Tornando ai prodotti, nelle scarpe per bambini, quasi una su due conteneva anilina, un colorante considerato potenzialmente cancerogeno. In un caso, sono stati trovati anche cromati cancerogeni.

Shein non risponde alle domande sulla sicurezza ed equità della produzione

Oltre a non superare il test della sicurezza, i capi di Shein lascerebbero a desiderare anche dal punto di vista della qualità e usabilità: dopo pochi lavaggi, infatti, la maggior parte degli abiti si restringono o si rompono. Alcuni articoli, inoltre, contrariamente a quanto indicato sul sito di Shein, potevano essere lavati solo a mano, mentre il sito del rivenditore menzionava la possibilità di lavarli in lavatrice.

Infine, Öko-test ha lamentato la mancanza di trasparenza di Shein riguardo alle condizioni di produzione. L’azienda, con sede a Singapore, fa cucire i suoi capi in circa 5.000 fabbriche cinesi, ma non ha fornito risposte concrete alle domande della rivista su aspetti cruciali come il rispetto delle norme fondamentali dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), la produzione in condizioni sostenibili e il pagamento di stipendi adeguati, nonché la regolamentazione delle sostanze chimiche utilizzate nei processi produttivi. Non è stato possibile escludere nemmeno l’uso di cotone proveniente dai campi di lavoro forzato dello Xinjiang, una regione che è stata al centro di numerose controversie internazionali per le accuse di violazioni dei diritti umani e pratica del lavoro forzato.

I risultati dell’analisi di Öko-test, che saranno disponibili gratuitamente a questo link fino al 29 agosto, stanno generando, in Germania, una più ampia discussione sul lato oscuro del fast-fashion e della moda a basso prezzo. La strategia promozionale di Shein si basa, come accennato, prevalentemente sull’influencer marketing. Gli influencer acquistano moltissimi capi alla volta e poi li scartano e li provano a favore di telecamera, nel tipo di contenuti video che vanno sotto il nome di “haul” e che sono popolarissimi su YouTube, TikTok e Instagram. Naturalmente, si prevede che il contenuto degli “haul” sia destinato alla discarica senza neppure essere mai davvero utilizzato, ma il loro effetto è quello di stimolare negli utenti la voglia di acquisti veloci e a prezzi contenuti, che soddisfano una sorta di compulsione, offrono gratificazione istantanea e, in qualche modo, invitano a disinteressarsi delle conseguenze che quella scelta d’acquisto avrà sul pianeta.

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