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Ida Siekmann: in memoria della prima vittima del muro

Il Muro di Berlino non esisteva nemmeno da 10 giorni, quando fece la sua prima vittima. Normalmente si parla di Günter Litfin come prima vittima del Muro e la sua fu senza dubbio la prima “fuga” come la immaginiamo oggi. Due giorni prima della sua morte, però, quando il Muro non era ancora finito, una donna prese una decisione estrema. Era il 22 agosto 1962 e Ida Siekmann avrebbe festeggiato il suo cinquantanovesimo compleanno proprio il giorno seguente. Non sappiamo se questo pensiero abbia influito sulla sua scelta di tentare una fuga disperata, non sappiamo se avesse concepito quel tentativo come una speranza di festeggiare quel compleanno a ovest, in un mondo che somigliasse di più a quella che era stata la “normalità” fino a meno di due settimane prima.

Dal confine al Muro

Una “normalità” fra virgolette, certo: la normalità di un Paese che si stava riprendendo dalla guerra e dalla dittatura più devastanti della sua storia, che nemmeno vent’anni prima era stato raso al suolo dalle bombe alleate, che aveva visto i campi di concentramento, il pugno di ferro del regime nazista contro l’opposizione e che, piano piano, con il beneplacito della comunità internazionale, tornava a fare, appunto, cose “normali”. “Normali” come passeggiare da un lato e dall’altro del fiume, “normali” come vivere in un quartiere e lavorare in un altro, “normali” come frequentare amici e parenti che vivevano all’ovest, anche se si viveva all’est e l’est, tecnicamente, non era un altro quartiere, era un altro Paese. E, nel caso di Berlino, era l’ovest a formare un’enclave della Repubblica Federale all’interno della Repubblica Democratica Tedesca. E, dal momento che sempre più berlinesi dell’est e brandeburghesi si riversavano all’ovest, perché la vita nella DDR non era ciò che desideravano, la dirigenza del partito, che coincideva con il governo e che lavorava in accordo con Mosca, decise che quel viavai doveva finire.

Ida Siekmann Foto: Brewer Bob, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons [cropped]

Quell’agitatissimo agosto del 1961 vide la città di Berlino venire lentamente divisa in due dalla costruzione del Muro, che passò dall’essere un fumoso progetto all’essere una solida realtà la mattina di domenica 13 agosto. 

La storia di Ida Siekmann

Ida Siekmann era nata a Gorken, un piccolo villaggio che all’epoca apparteneva al distretto prussiano occidentale di Marienwerder e che oggi fa parte della Polonia, ma viveva da sola a Berlino. E non in un punto qualunque di Berlino: ida viveva in Bernauer Strasse 48 a Mitte. Oggi, passando per quella via, si vede il Memoriale del Muro: sono quelle le coordinate geografiche della “ferita” architettonica più celebre della storia. Come tutti gli edifici e le proprietà sul lato sud della strada, il suo condominio si trovava nel distretto amministrativo di Mitte, quindi apparteneva a Berlino Est, alla DDR. Ma la strada, compreso il marciapiede davanti all’ingresso dell’edificio, apparteneva al distretto amministrativo di Wedding, quindi faceva parte di Berlino Ovest. Bernauer Straße era uno dei luoghi che, più di altri, mostravano l’assurdità di una divisione che certo, doveva pur iniziare da qualche parte. Che cosa poteva essere un metro, un passo? Nel caso di Ide Siekmann, per esempio, fu la differenza fra la vita e la morte. Dal 1945, questo confine fungeva anche da linea di demarcazione tra il settore sovietico e quello francese di Berlino, ma, per i residenti, in quei 15 anni era cambiato relativamente poco. Mentre il confine di settore era ancora aperto, tra le aree residenziali densamente popolate esistevano stretti contatti familiari e rapporti di vicinato. E, d’altra parte, perché non avrebbe dovuto essere così? Si vive in una casa, si esce in strada, si parla con i vicini: nulla di più normale. Ida Siekmann, d’altronde, poteva rientrare in casa solo dalla strada, cioè da ovest. Anche fosse stata la più fervente sostenitrice della DDR, non avrebbe potuto passare un’intera giornata senza mettere piede nella Repubblica Federale Tedesca.

Bernauer Strasse Ida Siekmann
Monumento commemorativo in più parti per Ida Siekmann in Bernauer Strasse a Berlino Foto: Singlespeedfahrer, CC0, via Wikimedia Commons

Come centinaia di migliaia di berlinesi, da un giorno all’altro, Ida si vide tagliata fuori da tutta la rete di parenti e conoscenti che vivevano nell’altra parte del confine. Bernauer Straße, in quei giorni, era frenetica: moltissimi residenti cercarono di fuggire dalle case di confine. Per qualche giorno, alcuni ci riuscirono: era ancora fisicamente possibile uscire dalla porta d’ingresso degli edifici e trovarsi a ovest. Naturalmente, la dirigenza del partito non poteva permettere che sussistesse una così grande “falla” nella recinzione di sicurezza presidiata delle guardie armete. Il 18 agosto, quindi, tutte le porte d’ingresso che davano sul marciapiede di Berlino Ovest furono murate o sbarrate con assi e chiodi, mentre nuovi ingressi venivano aperti attraverso i cortili sul retro, rompendo i muri. I membri della milizia operaia e delle unità di polizia erano appostati nei corridoi e nelle scale degli edifici e controllavano i documenti di chiunque volesse entrare in un edificio o in un appartamento.

Non potendo più scappare dalla porta, i residenti iniziarono a saltare dalle finestre (infatti, più avanti, anche molte finestre furono bloccate). Le poche foto che documentano questo fenomeno sono agghiaccianti. I residenti di Bernauer Straße saltavano come se il palazzo fosse in fiamme, pronti ad affrontare la morte e la menomazione, pur di non vivere all’est. I vigili del fuoco di Berlino Ovest si attrezzarono per cercare di salvare più persone possibile, piazzandosi sul marciapiede con grandi reti di salvataggio. Il 21 agosto, poco prima delle 7 del mattino, saltò anche Ida Siekmann. La precedettero i bagagli: lenzuola ed effetti personali volarono giù dalla sua finestra del terzo piano. Poi saltò anche lei. Lo fece di fretta, senza guardare. Forse aveva paura che, se si fosse fermata a soppesare il suo gesto, avrebbe finito per cedere alla paura naturale dell’altezza e sarebbe rimasta a casa, per di più senza lenzuola. Forse temeva che le guardie la scoprissero e le impedissero di fuggire. Ida saltò e i vigili del fuoco non fecero in tempo: nulla attutì la sua caduta dal terzo piano. Ferita gravemente e con numerose fratture, Ida Siekmann morì durante il tragitto verso il vicino ospedale Lazarus.

Ida Siekmann memoriale Bernauer Strasse
Monumento commemorativo alle vittime del Muro di Berlino, Bernauer Straße 69-70, Berlino-Gesundbrunnen Foto: OTFW, Berlin, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

La sua morte suscitò sdegno e indignazione nell’opinione pubblica dell’Ovest, ma venne rapidamente rimossa dalla narrazione ufficiale della Germania Est, nonostante fosse stata accuratamente documentata. Solo nel corso dei decenni successivi, il suo sacrificio ha iniziato a essere ricordato e onorato come simbolo della drammatica separazione imposta ai berlinesi.

Il 29 agosto, si tenne un solenne funerale per Ida Siekmann, che vide una partecipazione piuttosto folta. C’erano sicuramente i suoi conoscenti dell’ovest, ma anche tanti che ritenevano Ida un tragico simbolo della disperazione dei loro concittadini al di là del Muro. La sua bara fu ricoperta dai colori di Berlino Ovest e le sue spoglie trasportate nel cimitero di Seestrasse, a Wedding. Nello stesso luogo dove Ida Siekmann aveva perso la vita, l’amministrazione del distretto di Wedding eresse un piccolo memoriale, fatto di tronchi di legno avvolti dal filo spinato. Negli anni a venire, quel luogo divenne meta di pellegrinaggio per politici ed esponenti della società civile, che vollero onorare il sacrificio di questa donna semplice e anonima, diventata involontariamente il simbolo della tragedia del Muro di Berlino.

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