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Hashtag, codici, emoji: come riconoscere l’estremismo di destra sui social

Abbiamo già parlato di come i movimenti di estrema destra, da quelli più “moderati” fino ai veri e propri neonazisti, utilizzino spesso le emoji e gli hashtag per comunicare messaggi che altrimenti non potrebbero essere condivisi sui social media. E, d’altra parte, questo stratagemma non è certamente specifico delle destre: il livello di censura di singole parole e contenuti su piattaforme con TikTok e Facebook è ormai talmente mal automatizzato e mal gestito da raggiungere picchi comici e obbligare anche gli utenti che non stanno diffondendo odio né messaggi pericolosi a utilizzare simboli e giri di parole. Questo vale anche per i media (compreso il nostro) e per i singoli giornalisti che fanno informazione. 

Per esempio, se un utente vuole riferire, anche a fini di denuncia o di informazione, che qualcuno ha commesso o è stato accusato di un abuso sessuale, nel mondo anglofono utilizzerà l’emoji che rappresenta un grappolo d’uva (in inglese, “grape”, per la sua assonanza e quasi omografia con “rape”, ovvero “stupro”).

Nel caso dei contenuti di estrema destra, però, le emoji e soprattutto gli hashtag hanno, sempre più spesso, la funzione di “chiamata alle armi”. Gli hashtag, in particolare, permettono di identificare facilmente i contenuti “affini”, per condividere e commentare, generando interazioni e coinvolgimento online e, soprattutto, mobilitando eserciti di “troll” contro chi condivide contenuti sgraditi o critica le figure politiche di riferimento.

Recentemente, la testata tedesca Katapult, ha pubblicato un elenco compilato esaminando diverse testate e gruppi di utenti di destra, compresa la rivista “Compact”, che è stata da poco messa al bando in quanto apertamente estremista. Qui di seguito, integriamo la lista che avevamo già pubblicato (e che potete trovare qui) con alcuni nuovi simboli e hashtag e i relativi significati.

Emoji con significati estremisti

Ok 👌

Non sentitevi in colpa: l’abbiamo usata tutti, in alternativa al “pollice alzato”, per acconsentire a un programma o a un’idea o per chiudere una discussione. Questo semplice gesto, però, nella realtà prima che in forma di emoji, è stato progressivamente “acquisito” dai suprematisti bianchi – in origine prevalentemente negli Stati Uniti – come simbolo di identificazione. Dal vivo, quando viene messo in atto in questo senso, è abbastanza riconoscibile, sia perché è molto raro che qualcuno usi il gesto “OK” con la mano nella vita di tutti i giorni, sia perché gli estremisti tendono a compierlo in modo leggermente innaturale, con la mano ben alzata davanti al corpo, per mettere in mostra il fatto che le tre dita sollevate vanno a formare una “W”, mentre il pollice e l’indice a cerchio rappresentano la parte superiore di una “P”, che si completa nella linea retta dell’avambraccio. Le due lettere, in combinazione, significano “White Power”, ovvero “Potere Bianco”.

Donna con hijab e aereo 🧕✈️

Questa combinazione di emoji è cresciuta in popolarità nell’ultimo anno e significa “espulsione” o “deportazione”. Non è difficile intuirne il senso: chi la utilizza suggerisce di caricare le persone di religione musulmana e, presumibilmente, di provenienza mediorientale o comunque non europea, su un aereo e portarle fuori dalla Germania.

Animali 🐒🐖🐭🐁

Nella nostra ultima lista figurava soltanto la pecora, simbolo di coloro che, secondo gli estremisti di destra, si sottomettono volontariamente all’ordine costituito. Anche in questo caso, gli animali sono utilizzati per insultare le categorie di persone sgradite, ma, in questo caso, il paragone dispregiativo è molto più forte. Si tratta di un’evoluzione visiva del concetto di “Untermensch”, ovvero “subumano” e riprende la tendenza pericolosissima a disumanizzare i gruppi che si desidera escludere. Queste emoji, in questo contesto, sono utilizzate praticamente solo come insulti razzisti verso persone di etnie diverse, che vengono paragonate a scimmie, maiali, topi o ratti.

Numeri, parole e hashtag dei movimenti di estrema destra

L’abitudine di utilizzare numeri come significanti di parole “proibite” non è certo nuova. Per esempio, l’utilizzo del numero “88” come sinonimo di “Heil Hitler” (l’ottava lettera dell’alfabeto è la “H”) è invalsa da decenni. Lo scopo, in questo caso, non è tanto non farsi scoprire da chi legge, ma non farsi censurare dagli algoritmi di piattaforme come TikTok e Instagram, che cancellerebbero senza dubbio un contenuto apertamente inneggiante al dittatore nazista, ma che non possono, per ovvi motivi, essere programmati per bloccare automaticamente tutti i messaggi che contengono un certo numero.

Per lo stesso motivo, quindi, chi vuole parlare apertamente di Hitler, chiamandolo per nome, lo fa spesso utilizzando il numero 18 (corrispondente alle lettere “A” e “H”). Lo stesso criterio si applica anche ad altri concetti e nomi.

Se vi capita di leggere, nel contesto di un commento politico, il numero 444, per esempio, saprete che l’autore intende utilizzare tre volte la quarta lettera dell’alfabeto, la “D”, per dire “Deutschland den Deutschen”, ovvero “La Germania ai tedeschi”. Lo scopo è, evidentemente, escludere le persone con un background di immigrazione, ma anche i tedeschi musulmani o ebrei. Strettamente legata a questa combinazione numerica c’è la curiosa espressione “Döp dödö döp“, che non è altro che l’onomatopea tedesca fatta per ricordare la hit di Gigi D’Agostino “L’Amour toujours”. Sul brano dell’incolpevole artista italiano, come abbiamo già detto più volte, vengono infatti cantate strofe razziste, fra le quali proprio “la Germania ai tedeschi”. Il “Döp dödö döp” ne ricorda solo la parte strumentale ed è un po’ l’equivalente dei cori che i tifosi italiani intonano su “Seven Nation Army” dei White Stripes.

Sempre all’uso di “L’Amour toujours” si riferisce anche l’acronimo “arardddar”, che sta per “Ausländer raus, Ausländer raus, Deutschland den Deutschen, Ausländer raus” ovvero “Fuori gli stranieri, fuori gli stranieri, Germania ai tedeschi, fuori gli stranieri”, che è poi il coro per esteso, così come normalmente viene cantato sulla melodia che corrisponde a “Döp dödö döp”.

Gli hashtag sono meno criptici e spesso usano frasi che, di per sé non veicolano concetti vietati o frasi razziste, ma che servono a raggruppare gli utenti negli ambienti estremisti. Fra i più comuni ci sono quelli con la semplice chiamata al voto per AfD, come #AfDwählen o #AfDwirkt (letteralmente “vota AfD” e “AfD funziona”). Altri hashtag, particolarmente cari ai movimenti identitari di estrema destra, non solo in Germania, ma in tutta Europa, reiterano la retorica dell’invasione e ripropongono l’idea che l’identità europea sia sotto attacco per opera degli immigrati, soprattutto mediorientali e africani e, in generale, di religione musulmana. In questo caso, gli hashtag potrebbero essere #DefendEurope o #DefendEuropa. Nel 2017, questi hashtag sono stati utilizzati principalmente per chiedere di porre fine ai salvataggi in mare, laddove “difendere l’Europa” da un’invasione avrebbe significato, secondo i movimenti identitari, lasciar annegare nel mediterraneo coloro che fuggivano dalle coste del Nord Africa. Oggi, questi due hashtag sono utilizzati dai gruppi che chiedono l’espulsione dei rifugiati e lo stop alla concessione dell’asilo politico. Più specificamente tedeschi sono #Volk e #Vaterland, rispettivamente “popolo” e “patria”. In questo caso, il “popolo” si intende non come insieme dei cittadini, ma come comunità omogenea dal punto di vista etnico, politico, culturale, religioso. Non a caso, in Germania, AfD è stata più volte accusata di essere un partito “vöklisch”, ovvero di promuovere l’idea di un etnostato che non contempla diversità e integrazione. Naturalmente, in questo concetto, la “patria” è diritto e pertinenza esclusiva del “popolo”, il quale ha il diritto di escludere tutti gli indesiderabili.

Infine, l’hashtag #Linksextremismus (Estremismo di sinistra), viene utilizzato per diffamare gli oppositori politici, indipendentemente dal reale livello di “estremismo” degli stessi. L’hashtag potrà essere quindi utilizzato indifferentemente per i gruppi ambientalisti o per i partiti della coalizione di governo, alimentando la retorica per la quale l’Europa in generale e la Germania in particolare sarebbero, al momento, governate da un’élite di estrema sinistra impegnata nella distruzione sistematica dei valori tradizionali e delle identità nazionali.

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