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Gay ed ebreo sotto il nazismo: la storia di Gad Beck

Di poche circostanze si può dire che rendano la vita impossibile e pericolosa come nascere gay ed ebreo nella Germania degli anni ’20 del XX secolo. Tecnicamente, Gad Beck non era ebreo al 100%, era quello che i nazisti chiamavano con disprezzo “mischling”, un “mezzosangue”, poiché solo suo padre era ebreo per nascita, mentre sua madre si era convertita all’ebraismo per sposare il marito. La sua condizione, in tempi normali, avrebbe fatto sollevare qualche sopracciglio anche negli ambienti dell’ortodossia religiosa, poiché la tradizione ebraica è matrilineare e prevede che solo i figli di madri ebree siano automaticamente ebrei. 

Una famiglia con due religioni

Tutto questo non importava alla famiglia Beck: Gad e sua sorella gemella Miriam furono allevati in un ambiente improntato all’apertura, all’armonia, all’amore, alla capacità di apprezzare le diversità. La famiglia celebrava sia le festività cristiane che quelle ebraiche con uguale entusiasmo. Più avanti, scrivendo le proprie memorie, Gad Beck descrisse così il rapporto della sua famiglia con la tradizione religiosa: “Una forma così devota, aperta e serena di ecumenismo cristiano-ebraico, piena di buon cuore, avrebbe potuto forgiare nuove direzioni per la cultura dell’Europa centrale se Hitler non avesse distrutto tutto”.

Facciamo un passo indietro: Gad Beck nacque nel 1923 a Berlino. Il padre, Heinrich, era un uomo d’affari ebreo austriaco, la madre, Hedwig, era tedesca e, secondo i canoni nazisti, “ariana”. Quando Gad e Miriam nacquero, i Becks vivevano nello Scheunenviertel, un quartiere povero del centro di Berlino che ospitava molti immigrati ebrei provenienti dall’Europa orientale. Nel 1929, la famiglia si trasferì in un appartamento più grande in un quartiere periferico della città. Le cose si mettevano bene, per loro: potevano permettersi un bell’appartamento e fare progetti. Le cose, però, stavano cambiando.

Il primo ad accorgersene fu proprio Gad, che aveva appena nove anni quando i nazisti salirono al potere, nel 1933. Nella sua scuola, i bambini ebrei erano appena una dozzina e i loro compagni, assorbendo le notizie e i commenti che iniziavano a circolare, presero a perseguitarli e insultarli. Beck ricorda nelle sue memorie che i bambini “ariani” chiedevano di non sedersi al banco accanto a lui, sostenendo che nella classe ci fosse “puzza di ebrei”. Per cercare di farlo vivere in un ambiente più sereno, i Beck ritirarono il figlio da scuola e lo iscrissero a una scuola ebraica, ma il bambino dovette abbandonare anche quella a 12 anni, poiché la retta era troppo cara per la famiglia, che cominciava a soffrire le difficoltà dell’ostracismo lavorativo nella Germania nazista.

Foto: James Steakley, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Gad, neppure adolescente, trovò lavoro come commesso in un negozio. La situazione, per i Beck, continuava a peggiorare: nel 1938 la famiglia fu costretta a lasciare la propria casa per tornare nel vecchio quartiere, più povero e destinato agli ebrei. Poi arrivò la Notte dei Cristalli, uno dei primi Pogrom del regime. Gad ricorda di aver dovuto ripulire il negozio di abbigliamento in cui lavorava dopo che era stato saccheggiato, vandalizzato e imbrattato dalle squadracce naziste.

La resistenza e l’amore: Gad Beck e Manfred Lewin

Nonostante le leggi razziali e la persecuzione sistematica degli ebrei, Beck riuscì a sopravvivere nella capitale tedesca durante il regime nazista. Nel frattempo, crescendo, aveva scoperto la propria omosessualità e la viveva, per l’epoca, con non comune tranquillità. Aveva un compagno e maturava, in silenzio, una coscienza politica.

A 19 anni, quando vide iniziare le prime deportazioni dei suoi amici della comunità ebraica, si unì al gruppo di resistenza ebraica Chug Chaluzi, un’organizzazione che si dedicava a sostenere gli ebrei, a nasconderli e a cercare di salvarli dalle persecuzioni. Beck, approfittando della sua condizione di “mischling”, che ancora lo tutelava almeno in parte, si impegnò attivamente per aiutare altri ebrei a fuggire dalla Germania e mettersi in salvo dalle persecuzioni. Organizzò fughe, fornì documenti falsi e supportò quanti cercavano di sfuggire alla cattura, mettendo a rischio la propria vita ogni giorno. Fra il 1940 e il 1941, anche Gad aveva pensato di emigrare, ma si ammalò e perse la nave che avrebbe dovuto portarlo via dalla Germania.

Militando nella resistenza, incontrò Manfred Lewin. I due giovani si innamorarono e iniziarono una relazione. Manfred, tuttavia, a differenza di Gad, era ebreo al 100% e molto più esposto al rischio della deportazione. Nel novembre 1942, a Manfred e alla sua famiglia fu ordinato di presentarsi in un campo di raccolta. I Lewin furono deportati nel centro di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Manfred non sopravvisse all’Olocausto. 

Nonostante fosse impossibile anche solo pensarlo, Gad ci provò a salvare Manfred. Si appropriò di un’uniforme della Gioventù hitleriana e si presentò sotto mentite spoglie al comandante del campo di raccolta, convincendolo che aveva bisogno di Manfred per un breve periodo: capitava che imprenditori tedeschi richiedessero prigionieri ebrei per farli lavorare nelle proprie aziende. I due uscirono dal campo, ma Manfred non acconsentì a salvarsi da solo. Spiegò a Gad che non poteva lasciare la sua famiglia. Manfred tornò al centro di detenzione, alla deportazione e alla morte ad Auschwitz. 

Nelle memorie di Gad Beck si legge un resoconto straziante del momento in cui il suo compagno scelse di tornare dalla sua famiglia e andare incontro alla morte: “Gad, non posso venire con te. La mia famiglia ha bisogno di me. Se li abbandonassi ora, non potrei mai essere libero”. Beck commenta quel momento dicendo “Nessun sorriso, nessuna tristezza. Aveva preso la sua decisione. Non ci siamo nemmeno salutati. Si girò e tornò indietro. In quei secondi, guardandolo andare via, sono cresciuto”.

Il rischio della deportazione

Nel frattempo, le cose si mettevano male anche per i “mischlinge” e per i “traditori della razza”, come Gad e suo padre. Nel febbraio 1943, Gad, Miriam e Heinrich furono arrestati e condotti, insieme ad altri ebrei con parenti ariani, nel Centro della comunità ebraica di Rosenstraße. Quello fu uno dei pochi casi in cui una protesta popolare riuscì a fermare una detenzione: le donne ariane parenti dei detenuti, fra cui la madre di Gad, protestarono per una settimana davanti alla prigione, per ottenere il rilascio dei loro cari. Dopo circa una settimana, i Becks furono rilasciati.  

Dopo essere sfuggito alla deportazione, le attività di resistenza di Gad si intensificarono. Assunse un ruolo di primo piano nel Chug Chaluzi, un gruppo di resistenza ebraica collegato a una rete europea coordinata dalla Svizzera. Il suo lavoro era organizzare rifugi, consegnare denaro e assistere gli ebrei nei tentativi di fuga dalla Germania.

Due anni dopo, nel 1945, Beck fu nuovamente arrestato. La situazione sembrava disperata, ma ancora una volta il destino gli fu favorevole: venne liberato dall’Armata Rossa quando la guerra volse al termine con la sconfitta della Germania nazista. La liberazione di Berlino segnò per Beck la fine di un incubo e l’inizio di una nuova fase della sua vita.

Dopo la guerra

Dopo la guerra, Beck prese una decisione significativa: lasciare la Germania. Nel 1947 emigrò in Palestina, dove prese parte attivamente alla guerra che portò alla nascita dello Stato di Israele. Negli anni ’70 Gad Beck fece ritorno a Berlino, perché sperava di poter contribuire alla ricostruzione della vita ebraica e LGBT nella sua città d’origine.

Gad Beck fu uno dei primi sopravvissuti gay dell’Olocausto a parlare apertamente e pubblicamente delle drammatiche esperienze vissute in quegli anni bui. Le sue memorie, pubblicate in inglese con il titolo “An Underground Life: Memoirs of a Gay Jew in Nazi Berlin”, offrono uno spaccato unico della vita di chi apparteneva a due minoranze perseguitate sotto il regime.

Beck visse a Berlino fino alla sua morte, sopraggiunta nel 2012 all’età di 88 anni.

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